La tregua tariffaria tra Cina e Stati Uniti è salva. Ma la “trade war” continua sotto nuove forme. Negli ultimi giorni prima l’attesa telefonata tra Donald Trump e Xi Jinping, poi un secondo round di negoziati commerciali hanno rimesso in carreggiata le relazioni tra le due superpotenze dopo le montagne russe dell’ultimo mese. Sventata una collisione imminente, il rischio di uno schianto è ancora dietro l’angolo. Le due parti restano infatti divise su quasi tutti i principali dossier. Persino sull’entità delle concessioni offerte.Dopo due giorni di colloqui a porte chiuse, martedì i rispettivi negoziatori hanno dichiarato di aver definito un quadro di massima che permetterà di tradurre in pratica il consenso raggiunto dai due leader durante la conversazione della scorsa settimana (la prima del secondo mandato di Trump), nonché gli obiettivi precedentemente fissati a Ginevra per disinnescare la guerra tariffaria tra i due paesi. Allora le due parti avevano annunciato la sospensione reciproca di alcune tariffe per 90 giorni, mentre Pechino si era impegnata a ritirare le ritorsioni “non commerciali”. Locuzione che a Washington aveva fatto sperare un rapido allentamento delle restrizioni cinesi sull’export di terre rare e magneti, indispensabili per l’industria bellica americana. Ma dopo pochi giorni la lenta emissione delle licenze aveva spinto l’amministrazione Trump a lamentare una violazione dei termini accordati. La Cina dal canto suo aveva denunciato l’introduzione di nuove norme sulla vendita di tecnologia americana, oltre alla chiusura delle università statunitensi ai propri studenti.Con le interlocuzioni di Londra, viene ribadita la disponibilità di entrambi a proseguire il dialogo. Non sembra invece esserci (ancora) alcuna novità tangibile sui dossier più spinosi. Né ci sono conferme del cosiddetto “accordo” che The Donald dà per concluso e in attesa solo della firma di Xi. Sebbene il segretario al Commercio Howard Lutnick, tra i capi negoziatori, abbia dichiarato che il problema dei materiali critici “verrà risolto con il nuovo quadro” e che in cambio Washington alleggerirà “il controllo sulle esportazioni dagli Usa”, la Cina si è mantenuta molto più cauta. Pur definendo i colloqui “franchi e approfonditi”, si è limitata a menzionare generici “progressi nell’affrontare le reciproche preoccupazioni economiche e commerciali”.Piuttosto che segnare un miglioramento, il secondo round negoziale sembra quindi sventare un peggioramento delle relazioni bilaterali. Priorità e approcci differenti restano il vero ostacolo. Se l’obiettivo di Trump consiste essenzialmente nel raddrizzare la bilancia commerciale, per la Cina – che ormai si considera una potenza alla pari degli Stati Uniti – è invece sempre più una questione di principio: Pechino continua a chiedere quel “rispetto” che ritiene le sia stato negato con l’introduzione di provvedimenti potenzialmente devastanti per i propri piani di sviluppo. Facendo seguito all’incontro di Ginevra, l’account social media Yuyuantantian, vicino alla tv di Stato cinese, ha messo in chiaro come la Cina non sia soddisfatta e si aspetti una revoca di “tutte le misure negative”, compresi le tariffe annunciate durante il primo mandato di Trump.Ma parlando di “rispetto” Pechino allude a molto di più. A chiarirlo è stato Xi Jinping in persona quando al telefono con l’omologo americano il 5 giugno ha auspicato un miglioramento della “comunicazione negli affari esteri, esercito e applicazione della legge”, chiedendo inoltre che “la questione di Taiwan venga trattata con cautela” per evitare che un “numero molto limitato di indipendentisti” di Taipei “trascini la Cina e gli Stati Uniti in una pericolosa situazione di conflitto e scontro”. Che lettura americana non presenti nulla in proposito lascia intendere una scarsa sensibilità rispetto alle “linee rosse” tracciate da Pechino.Per Zhao Suisheng, direttore del Centro per la cooperazione Cina-USA presso l’Università di Denver, le recenti tensioni su terre rare e tecnologia distolgono l’attenzione dal problema di fondo: “La volontà e il forte stile personale dei due leader domineranno le rispettive strategie nazionali – spiega il professore al Fattoquotidiano.it – “Trump è estremamente umorale: si concentra su guadagni e perdite specifici ponendo l’accento sull’economia e sulla risoluzione dei problemi contingenti. Xi invece ha una visione strategica. Enfatizza la necessità di una cooperazione reciprocamente vantaggiosa per stabilizzare la situazione generale, ed è preoccupato per l’imprevedibilità del presidente americano”.Non giovano le divergenze affiorate tra i negoziatori americani. Secondo il Nikkei Asia Review, le responsabilità di Lutnick, del segretario al Tesoro Scott Bessent e del rappresentante per il Commercio Jamieson Greer “si sovrappongono complicando i colloqui tariffari”. Proprio il mancato coordinamento tra i due dipartimenti sarebbe anche alla base del recente divieto sull’utilizzo dei chip avanzati di Huawei, esteso da Trump ai paesi terzi. L’Ufficio per l’Industria e la Sicurezza del Dipartimento del Commercio, che sovrintende ai controlli sulle esportazioni, “non ha seguito la consueta procedura interagenzia prima di emettere la notifica”, sostengono fonti del Wall Street Journal.L'articolo La tregua tariffaria tra Cina e Stati Uniti è salva, ma la guerra commerciale continua sotto altre forme proviene da Il Fatto Quotidiano.