Tajani salvatore della patria sul terzo mandato. La versione di Sisci

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La questione del limite dei due mandati ai presidenti di Regione è centrale. Ha ragione il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, a essere perplesso perché nel medio e lungo termine l’unità nazionale sarebbe messa a rischio e gli stessi equilibri europei cambierebbero in modo drammatico.Il problema di fondo è il seguente. Oggi i presidenti di Regione, detti non a caso “governatori”, hanno più poteri di un ministro e l’autonomia differenziata gliene dà di più. Inoltre, il Paese è senza troppe sponde in Europa e oltre Atlantico, ed è insidiato come nessun altro dalla sovversione filorussa. All’interno è più che mai incerto, dopo i risultati controversi dei recenti referendum.Metà della popolazione diserta le urne, due milioni dei giovani migliori sono scappati all’estero, due milioni di emigrati legali lavorano, pagano le tasse, ma non votano. Cioè quattro milioni di “diversamente italiani” mancano all’appello. Gli alleati chiedono tutti maggiore impegno sulla difesa ma l’Italia (governo e opposizione) cincischia. Le grandi imprese hanno traslocato fiscalmente fuori e quelle rimaste, piccole e medie, si tormentano su come evadere le tasse.In altre parole, non c’è fiducia interna o esterna nello stato centrale e, come ho scritto in Tramonto Italiano, la disintegrazione della unità politica è già in atto.In queste condizioni un governatore che può restare tale senza limiti di tempo accelera esponenzialmente ogni tendenza centrifuga. In cinque anni, il tempo del rinnovo al quarto mandato, il governo centrale resta solo sulla carta. Già si vedono le diverse politiche interne ed esterne.Il Sud è dominato dal Pd di Vincenzo De Luca e Michele Emiliano. Al Nord c’è invece la Lega di Luca Zaia e Massimiliano Fedriga. I quattro vogliono il terzo mandato, tutti vogliono più poteri per loro contro Roma. Quindi tutti tirano oggettivamente alla spaccatura del Paese.Il fatto che i loro partiti non riescano a dominare la situazione e mettere sotto controllo i capi locali dimostra la debolezza della leadership di Pd e Lega. De Luca o Zaia, in altri tempi avrebbero dovuto essere premiati per i loro successi non con un rafforzamento locale ma con una cooptazione al governo del partito a Roma. De Luca e Zaia dovrebbero essere tra coloro che guidano Pd e Lega. Ma i due segretari di Pd e Lega, rispettivamente Elly Schlein e Matteo Salvini, temono gli altri due. Piuttosto li vogliono in periferia ma non a Roma. Inoltre, più stanno in periferia più i governatori si rafforzano. Quindi non vogliono scambiare il potere certo locale con poteri più eterei centrali.Tajani oggi si erge come una diga per evitare lo sfacelo. Anche perché la frantumazione del Paese non avviene con un progetto politico preciso, ma solo guidato da indifferenza e da profonde derive storiche regionali.L’Italia politica è stata una invenzione di metà ‘800 che ha coagulato ambizioni di Francia, Inghilterra e Prussia ad eliminare il ruolo millenario del sacro romano impero e dello Stato pontificio. Oggi una disintegrazione di fatto dell’Italia politica scombussola il quadro europeo e la traiettoria della Santa Sede, proiettata a guardare il mondo (oggi più che mai con un papa americano) e trascurare invece le beghe italiane. Oggettivamente aiuta solo un progetto di ridisegno europeo di Mosca, erede di Costantinopoli, concorrente storico di Roma.Se Pd e Lega seguono coscienti o incoscienti i piani russi, con il beneplacito della premier di Fratelli d’Italia (sic!) Giorgia Meloni, benissimo, ma che lo si faccia a carte scoperte, coinvolgendo tutti, italiani e stranieri, in questa scelta geopolitica fondamentale.