La vicenda è nota: il 7 febbraio del 1945 un gruppo di gappisti, al comando di Mario Toffanin, raggiunge alcune malghe nella località di Porzûs, in alto Friuli, dove sorprende e disarma una ventina di partigiani della brigata Osoppo. I capi vengono uccisi subito, gli altri osovani nei giorni successivi; in tutto le vittime saranno sedici o diciassette. Anche le responsabilità dirette sono state stabilite con certezza dalla magistratura, e gli esecutori sono stati condannati in via definitiva (ancorché in contumacia, e in seguito amnistiati). E’ rimasta aperta però la domanda decisiva: chi ha ordinato la strage? E perché? Per decenni, la risposta ufficiale del Pci e dei vertici della brigata Natisone – la locale formazione di partigiani comunisti – è stata: fu un’iniziativa autonoma di Toffanin, istigato dagli sloveni, che voleva vendicare il tradimento degli osovani, accusati di essere in combutta con i fascisti. La realtà però è diversa. Per ricostruirla Tommaso Piffer, docente di Storia contemporanea a Udine, parte dalle vicende storiche della Benecia e del Collio (le regioni in cui prese corpo la vicenda, da sempre intreccio di sloveni e italiani) e ricompone pazientemente i rapporti fra i soggetti implicati nella vicenda. Molti, e con interessi divergenti: i partigiani sloveni, decisi ad annettere la zona alla nascente Yugoslavia, e determinati perciò a portare sotto il proprio controllo le formazioni comuniste e a liberarsi degli osovani; il Pci, fedele alla linea del Cln, che al contrario non vorrebbe rompere il fronte antifascista; la brigata Natisone, stretta fra le richieste perentorie degli sloveni e le indicazioni che faticosamente arrivano da Togliatti; infine la brigata Osoppo, composta di cattolici e azionisti, antifascisti quanto anticomunisti, decisi a opporsi alla cessione alla Yugoslavia dei territori contesi, e per questo vittime di una feroce propaganda denigratoria. Fonti – anche inedite – alla mano, la conclusione di Piffer è netta: “I gappisti guidati da Toffanin si limitarono a realizzare quel che il comando della Natisone aveva stabilito di fare due mesi prima. E’ al comando della Natisone che si deve ricondurre la genesi dell’operazione e il clima di odio che la rese possibile”. “Oggi – conclude Piffer – il mondo all’interno del quale maturò l’eccidio di Porzûs non esiste più. E’ così possibile consegnare definitivamente alla storia Porzûs, il dolore delle vittime e la furia dei carnefici”. Ma per farlo occorre raccontare tutta la verità. Sangue sulla Resistenza Tommaso Piffer Mondadori, 264 pp., 23 euro