“Garlasco? Troppe persone mettono becco su vicende sulle quali dovrebbero stare in silenzio. Dovrebbero stare zitti e studiare, poi in un secondo momento parlare”: così Pablo Trincia

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“Il problema è che troppo spesso troppe persone mettono becco su vicende sulle quali dovrebbero stare in silenzio. Non dovrebbero fare spettacolo”. A dirlo è Pablo Trincia, autore e voce nota di numerosi podcast crime, che ha espresso la sua opinione sul palco del We Make Future 2025, il festival internazionale dedicato al mondo della tecnologia, dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione digitale, che si svolge negli spazi del BolognaFiere dal 4 al 6 giugno. Il riferimento è al caso Garlasco e all’impatto mediatico che sta avendo, nelle ultime settimane, la riapertura delle indagini da parte della Procura di Pavia sull’omicidio di Chiara Poggi, l’allora 26enne uccisa nell’agosto 2007 per cui è stato condannato in via definitiva il suo fidanzato dell’epoca, Alberto Stasi, oggi in semilibertà.Da mesi, infatti, gli inquirenti della nuova inchiesta, in cui l’unico indagato al momento risulta essere Andrea Sempio e sulla quale vige massima cautela, si interrogano sul caso, in attesa dei prelievi di dna e, soprattutto, dell’incidente probatorio (sui reperti, rianalizzati con nuove tecniche o mai repertati) previsto per il prossimo 17 giugno. Secondo Trincia, però, le ricostruzioni svolte da alcuni giornalisti sarebbero frutto di un lavoro negligente. “Migliaia, migliaia di pagine di carte, di perizie, di sentenze, di interrogatori, paragonarli nel tempo, verificare cosa torna e cosa non torna, parlare con decine di persone, vedere filmati, ascoltare gli audio delle udienze. C’è un lavoro immane dietro. La vera domanda è: quante persone lo hanno fatto? Secondo me non molte”, aggiunge il podcaster. Che poi cita il caso del suo ultimo progetto, in uscita proprio in questi giorni, intitolato “Cono d’Ombra: la Storia di Denis Bergamini”, che “è frutto di sei mesi di lavoro – sostiene Trincia -. Senza fare praticamente altro: ti metti lì, ti immergi studi, giri, prendi la macchina, l’aereo, guardi, calcoli le distanze. Ti rendi conto dei luoghi e delle persone che hai davanti”, spiega Trincia.Il giornalista sottolinea come, secondo lui, “troppo spesso, troppe persone mettono becco su vicende sulle quali dovrebbero stare in silenzio, non dovrebbero fare spettacolo. Dovrebbero solo stare zitti e studiare. Poi in un secondo momento parlare, ma con una conoscenza dietro”. Il problema per Trincia non sarebbe una mancanza di tempo, ma una mancanza di volontà nel realizzare un’inchiesta giornalistica: “Prima di affrontare un caso qualsiasi, tu devi studiarlo come se ti ci dovessi laureare, devi sapere tutto e devi farti una tua idea. Purtroppo questo non avviene perché troppo spesso i giornalisti non hanno voglia di fare questo lavoro, che è molto impegnativo. Non hanno tempo? No, se vuoi parlare di Garlasco, il tempo lo trovi, come facevo io con “Veleno” (la serie podcast realizzata da Trincia e uscita nel 2017, ndr) che mi svegliavo alle 5 e lavoravo fino alle 8. Il tempo c’è, chiunque può fare quello che vuole: il tempo uno lo trova. Devi avere voglia di farlo, da noi non si fa”. E, infine, conclude con un monito: “Vi consiglio di stare molto attenti a quello che viene detto su questi casi. Chiedetevi quanto quella persona sappia su quel caso”.Non è la prima volta che il podcaster parla del delitto di Garlasco esprimendo il suo disappunto contro quello che lui definisce come lo “squallore della telecronaca gossippara di giornalisti, personaggi dello spettacolo e opinionisti che si affannano per apparire e dire la loro sul dramma della povera Chiara Poggi”. Già alcune settimane fa, infatti, Trincia aveva sostenuto che “il lavoro giornalistico si fa seguendo un metodo scientifico. Si studia, leggendo per settimane migliaia (sì, migliaia) di pagine di documenti e atti, senza fare nient’altro. Si guardano/ascoltano decine di ore di video/audio. Si va nei luoghi. Si parla con i testimoni. Si cercano nuovi elementi. Si fanno ore e giorni di brainstorming con il proprio team di lavoro. Solo allora, si può aprire la bocca per raccontare o per dire qualcosa”, aveva scritto sul suo profilo Instagram.L'articolo “Garlasco? Troppe persone mettono becco su vicende sulle quali dovrebbero stare in silenzio. Dovrebbero stare zitti e studiare, poi in un secondo momento parlare”: così Pablo Trincia proviene da Il Fatto Quotidiano.