I reality sono morti. E poi arriva Temptation Island

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Da killer application a zavorra dei palinsesti. Che i reality fossero in crisi, anzi in agonia, è lapalissiano e i numeri lo rendono innegabile. Il Grande Fratello che arranca, l’Isola dei Famosi ai minimi storici, La Talpa che chiude in anticipo e il disastro The Couple gettano ombre sempre più fitte sul genere. Poi, arriva Temptation Island a “ribaltare il risultato”, squarciando il velo su ogni analisi che consideri il genere superato in modo aprioristico.Ciò che non si è ancora detto abbastanza, invece, sono le ragioni alla base dell’agonia. Perché è vero che una fase di stanca c’è, soprattutto per le declinazioni più classiche spremute fino all’inverosimile, il fenomeno Temptation dimostra che il pubblico ha ancora voglia di nutrirsi del racconto delle sfumature del reale. È vero che il format è più fresco di altri, ma funziona anche – e soprattutto – perché ha un grande cast e un racconto che emerge con forza, diretto e pieno di accadimenti. Cosa che non si può dire per gli altri reality.Il problema, che abbiamo sottolineato per l’ennesima volta in un editoriale sull’Isola dei Famosi, risiede senza troppi giri di parole nel modo in cui vengono prodotti. L’usura del formato e le scellerate strategie di programmazione sono corollari che influenzano, ma non determinano il risultato. L’Isola dei Famosi ha azzeccato il cast, ma non è riuscita a raccontarlo, perdendosi in scalette zeppe di giochi e inutili riempitivi, trascurando il dibattito in studio e in Palapa. The Couple non aveva un’identità, incapace persino di creare hype attorno al premio da un milione di euro. Grande Fratello ha snaturato il format originario: oggi è una sorta di prefabbricato riempito con elementi esterni, quando invece dovrebbe essere costruito mattone dopo mattone, giorno dopo giorno sulla base dell’imprevedibilità degli eventi.In questi anni, sui reality si è detto spesso che contano le storie dei protagonisti ma in realtà ciò che davvero conta è la storia che il concorrente scrive all’interno del gioco, non quella che si porta da casa o che gli piomba dall’esterno. La storia pregressa è utile a contestualizzare il personaggio o rappresentare un jolly per allargare i racconti, ma non è ciò che determina il successo di un reality sic et simpliciter.Quello che potrebbe aiutare davvero il genere è un reset radicale, una vera tabula rasa. Ripartire da zero non significa soltanto cambiare conduzione e opinionisti – e con essi le logiche con cui vengono scelti – ma anche rivoluzionare la squadra di produzione e gli autori. E manca anche un racconto giorno per giorno che avvicini il pubblico al reality. Le strisce quotidiane, ormai micro, hanno perso qualunque senso, sempre più orfane di contenuti perchè i pochi a disposizione vengono riservati alla puntata in prime time. Cosa si aspetta, ad esempio, a realizzare un programma vero e proprio in daytime per raccontare, commentare e amplificare le vicende senza la liturgia e i paletti della prima serata?! Una volta c’erano la Gialappa’s, Buona domenica, persino un programma delsabato ad hoc; adesso, invece, i contenitori del daytime si limitano a mostrare una clip asettica.La discussione è stata derubricata ai social, rappresentando un’arma a doppio taglio tra fandom malati e utenti dalla facile indignazione. Il talk aiuta a “governare” i social e sostenere il prime time alimentando e creando casi e personaggi ma anche a dare un’altra chiave, più dissacrante, al reality stesso. Pensate, con i dovuti distinguo, a quel che succede con Uomini e Donne, più seguito dei reality in prima serata, che ha azione, reazione e fidelizzazione quotidiana.E la produzione, ça va sans dire, è sempre la stessa!The post I reality sono morti. E poi arriva Temptation Island appeared first on Davide Maggio.