“Certo che Sangiuliano aveva toccato un nervo scoperto”. Al “Forum in Masseria” di Bruno Vespa, collegata in video da Roma, Giorgia Meloni l’ha detto chiaro. Il sistema del tax credit per il cinema e l’audiovisivo, rivendicato a lungo dall’ex ministro Gennaro Sangiuliano e oggetto di una battaglia politica e culturale anche dentro il governo, viene ora liquidato come un esempio da manuale di spreco e opacità. “Ha generato vere e proprie truffe”, ha detto Meloni, citando “cachet milionari pagati con soldi pubblici a registi e attori per film che poi incassavano, alla prova dei fatti, poche decine di migliaia di euro”. Un meccanismo che, secondo la presidente del Consiglio, è costato allo stato circa sette miliardi di euro negli ultimi otto anni. Il caso Kaufmann — la frode attorno a un film mai realizzato, ma abbondantemente finanziato — viene definito “solo l’epilogo più drammatico e scandaloso” di questo sistema. Ma il vero affondo è rivolto a chi ancora oggi, dice Meloni, “continua a difendere questo modello” in nome del sostegno alla cultura. Parole che suonano anche come una rivendicazione politica. Proprio oggi, venerdì 4 luglio, Il Foglio ha pubblicato una lunga intervista a Gennaro Sangiuliano, realizzata a Parigi. L’ex ministro della Cultura, oggi dimissionario e trasferitosi in Francia, racconta in quelle pagine l’ostilità subita — anche dentro il governo — per aver messo mano alla riforma, difende il proprio operato, e rivendica l’idea che la cultura debba rispondere anche a criteri di trasparenza e sostenibilità. Ora quella riforma viene rilanciata da Palazzo Chigi: tetti ai compensi per attori e registi, sanzioni più severe, controlli più stretti. “Serve meritocrazia e trasparenza. Vogliamo che chi merita possa lavorare con tranquillità, mentre i soldi che finivano sempre agli stessi — quelli con il portafoglio pieno e la sala vuota — vengano usati meglio”, ha detto oggi Meloni. La stagione del tax credit all’italiana sembra davvero arrivata ai titoli di coda. E il nome di Sangiuliano, seppure uscito di scena, rimane sullo schermo. Come firma iniziale — o postuma — della resa dei conti.