di Giuseppe Gagliano –Pedro Sanchez ha detto no. E non un no qualunque, ma un rifiuto secco e motivato alla proposta del nuovo segretario generale della NATO, l’olandese Mark Rutte, di spingere gli Stati membri a destinare il 5% del loro PIL alla spesa per la difesa. Il premier spagnolo ha affidato la sua risposta a una lettera indirizzata direttamente al vertice dell’Alleanza Atlantica, a pochi giorni dal summit che si terrà il 24 e 25 giugno all’Aia. Il messaggio è chiaro: Madrid non seguirà la corsa al riarmo, almeno non alle condizioni dettate da Washington.Nella sua missiva, Sanchez ha bollato l’obiettivo del 5% come “irragionevole” e “controproducente”, dichiarando che la Spagna non intende vincolarsi a una soglia rigida basata sul PIL. Invece propone una soglia alternativa, più vicina al 2,1%, ritenuta più compatibile con gli equilibri interni e la visione politica di un Paese che difende il proprio welfare e punta alla transizione ecologica. Secondo il capo del governo spagnolo, un simile aumento di spesa militare metterebbe a rischio “il nostro stato sociale” e ostacolerebbe lo sviluppo dell’autonomia strategica europea.Con circa l’1,3% del PIL oggi destinato alla difesa, la Spagna è il fanalino di coda dell’Alleanza Atlantica in termini di budget militare. Tuttavia, non è un Paese assenteista: nell’aprile scorso, Sanchez ha lanciato un piano da 10,5 miliardi di euro per potenziare l’industria nazionale della difesa e raggiungere almeno il 2% entro la fine dell’anno. Ma il salto al 5% richiesto da Rutte, sostenuto apertamente da Donald Trump, rappresenta un’altra cosa: non una semplice crescita tecnica, bensì una trasformazione ideologica dell’intero bilancio pubblico.Sanchez ha sottolineato che l’adesione a una soglia così elevata obbligherebbe il governo a tagliare servizi pubblici e investimenti ambientali, erodendo il consenso interno e mettendo a rischio la coesione sociale. In Parlamento, gli alleati più a sinistra, in particolare Sumar, si sono già smarcati, annunciando la partecipazione a un contro-summit per la pace nei giorni del vertice NATO. Il conflitto si gioca così su due piani: uno strategico e uno elettorale.Sul piano internazionale, Madrid non è sola. Belgio, Canada e Italia si trovano in situazioni simili, con budget militari inferiori alla media e difficoltà a soddisfare gli obiettivi fissati da Bruxelles e Washington. Al contrario, Paesi come la Svezia e i Paesi Bassi hanno già annunciato l’intenzione di raggiungere il 5% entro il 2032, ricorrendo anche all’indebitamento pubblico – nel caso svedese, fino a 300 miliardi di corone. I falchi dell’Est, cioè Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania, si sono già schierati a favore dell’aumento.Ma in questa nuova corsa al riarmo, una questione rimane sospesa: entro quando gli Stati dovranno adeguarsi? La data proposta è il 2032, ma Rutte ha già evocato una minaccia più ravvicinata: secondo l’olandese, la Russia potrebbe attaccare uno Stato NATO entro il 2030. Uno scenario che serve da acceleratore, ma che pone anche un interrogativo di fondo: si tratta di un’esigenza difensiva reale o di una strategia per trasformare l’Alleanza in uno strumento militare a guida unipolare?Sanchez ha risposto con pragmatismo e un pizzico di coraggio politico. Il suo no potrebbe bloccare l’accordo, visto che ogni decisione richiede l’unanimità dei 32 membri. E forse, al di là del dibattito sulle percentuali, la vera posta in gioco è un’altra: il futuro della NATO come strumento multilaterale oppure come piattaforma armata dell’occidente a guida americana.