Come da attese la tassa minima globale del 15% sulle multinazionali, già depotenziata da molte scappatoie, ora diventa un colabrodo. Ieri il segretario al Tesoro Usa Scott Bessent ha infatti annunciato che “dopo mesi di discussioni produttive” i Paesi del G7 hanno trovato un accordo che di fatto esenta i gruppi statunitensi, Big tech comprese. Tradotto: Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia e Regno Unito hanno capitolato. Chi ha sede negli Stati Uniti non sarà soggetto al cosiddetto “secondo pilastro” della riforma globale della tassazione, concordato in sede Ocse nel 2021 da oltre 140 Stati per tentare di mettere un freno alla concorrenza fiscale al ribasso tra governi interessati ad attirare sul proprio territorio le sedi dei colossi tech e non solo e applicato nella Ue dal gennaio 2024.“Il 20 gennaio, il Presidente ha emesso due ordini esecutivi che incaricavano il Tesoro di difendere la sovranità fiscale degli Stati Uniti”, ha ricordato Bessent su X, e “grazie alla leadership del presidente Trump, ora abbiamo un’intesa vantaggiosa per il popolo americano”. Al momento non è chiaro se l’esenzione prenderà la forma di una clausola di salvaguardia ad hoc o se, invece, si sancirà che il regime Gilti (Global intangible low-taxed income) introdotto nel 2017 dalla riforma fiscale della prima presidenza Trump – che dispone l’applicazione di un’aliquota molto ridotta sui profitti esteri superiori a una soglia di rendimento normale – è equivalente alla tassa minima pur essendo più lasco. I dettagli saranno stabiliti “nell’ambito del Quadro Inclusivo Ocse-G20 nelle prossime settimane e nei prossimi mesi”, si legge nel tweet.Di certo si tratta di una vittoria diplomatica per Trump e di una resa imbarazzante per gli altri membri del G7, a partire dai tre membri dell’Ue (che nel frattempo sta trattando per sventare l’entrata in vigore da luglio dei dazi reciproci). I leader delle grandi nazioni sviluppate accettano di fatto una deroga unilaterale a favore della prima economia mondiale, indebolendo l’efficacia e la credibilità dell’intero impianto. Che rappresentava una delle principali iniziative multilaterali degli ultimi anni in materia di giustizia fiscale. In cambio, il finanziere chiamato da Donald Trump a guidare la politica economica ha chiesto al Congresso di eliminare dal “Big, beautiful bill” ora in discussione al Senato la controversa Sezione 899 che istituisce la cosiddetta ‘tassa della vendetta‘, un balzello fino del 20% che sarebbe stato imposto sugli investimenti di cittadini e imprese residenti in Paesi con politiche giudicate inique nei confronti degli interessi Usa. Una misura che spaventava gli investitori e che ora l’amministrazione Usa può permettersi di archiviare senza rimpianti. Il risultato è un accordo a due velocità, che consente agli Stati Uniti di riscuotere dividendi politici interni senza gli oneri previsti per tutti gli altri.Va ricordato che Washington – come Pechino – non ha di fatto mai implementato la tassa minima. L’amministrazione Biden, pur avendo firmato l’accordo in sede Ocse e G20, non era riuscita a farla approvare dal Congresso e Trump si è apertamente opposto fin dal giorno dell’insediamento, promettendo di impedire l’applicazione alle aziende statunitensi della cosiddetta Undertaxed Profits Rule in base alla quale i Paesi dove opera una filiale della multinazionale possono tassare parte dei profitti se la casa madre ha sede in una giurisdizione che non applica la minimum tax.Ora resta da vedere come si muoveranno gli Stati, Italia compresa, in cui da anni sono in vigore digital tax nazionali che colpiscono anche i gruppi Usa. La possibilità di mantenerle in vigore era stata ufficializzata a fine 2021 attraverso la firma di un compromesso (nel frattempo scaduto) con l’amministrazione Biden, in attesa di passi avanti sul “primo pilastro” della riforma globale della tassazione, quello che prevede la redistribuzione del diritto a tassare una parte di utili tra tutti i Paesi in cui un gruppo è attivo. Al Senato Usa non c’è mai stata la maggioranza necessaria per far passare il necessario trattato fiscale internazionale e già prima dell’elezione di Trump era apparso evidente come la norma fosse su un binario morto. Tornato alla Casa Bianca, il tycoon ha minacciato ritorsioni nei confronti di chi adotta “misure fiscali discriminatorie”. E due mesi fa la premier Giorgia Meloni non ha esitato a firmare con lui un comunicato congiunto in cui si predica la necessità di “un ambiente non discriminatorio in termini di tassazione dei servizi digitali”, prefigurando una possibile abolizione della tassa. Che lo scorso anno, stando all’ultima Relazione della Corte dei conti sul rendiconto generale dello Stato, ha fruttato all’erario un gettito di 455 milioni di euro.L'articolo Tassa minima sulle multinazionali, il G7 cede e si inchina a Trump: i gruppi Usa saranno esentati proviene da Il Fatto Quotidiano.