AGI - Sono soprattutto uomini, con un'età media di 25 anni. Poco più della metà delle torture documentate sono avvenute in Libia, mentre un terzo in 9 paesi considerati sicuri dall'Italia. Quanto alle donne, l'80% delle pazienti ha subito uno o più episodi di violenza sessuale. Complessivamente, il 67% presenta sintomi da stress post-traumatico e soprattutto solo il 22% ha ottenuto lo status di rifugiato, nonostante le torture subite.Sono i dati dei pazienti sopravvissuti a tortura assistiti a Palermo dal team di Medici senza frontiere in collaborazione con l'Azienda ospedaliera universitaria Policlinico "Paolo Giaccone", il Dipartimento Promise, la Cledu (Clinica legale per i diritti umani) e l'Università degli Studi di Palermo, pubblicati oggi nel rapporto internazionale "Disumani" in occasione della Giornata mondiale in supporto delle vittime di tortura.Il rapporto racconta le conseguenze devastanti di queste violenze sulla vita di migliaia di persone in mancanza di vie legali e sicure per la ricerca di protezione, che dimostrano la necessità di percorsi e servizi integrati di cura e impongono maggiore attenzione, responsabilità e risposte adeguate da parte dei paesi di accoglienza, a partire dall'Italia. "Forme di violenza estrema, tra cui la tortura, sono un elemento strutturale e diffuso lungo la rotta migratoria mediterranea", afferma Elisa Galli, responsabile del progetto di Msf a Palermo, "lasciano cicatrici profonde e durature che vanno trattate con un percorso di cure che permette la ricostruzione della propria identità e di ritrovare fiducia negli altri e speranza nel futuro. Un supporto specialistico adeguato è essenziale affinché la vita di queste persone possa ricominciare, a partire dalla loro salute". Tra gennaio 2023 e febbraio 2025, 160 persone sono state prese in carico dal progetto di Palermo dedicato a sopravvissuti a tortura. Le persone assistite provengono da 20 diversi paesi, tra cui la maggior parte da Bangladesh, Gambia e Costa d'Avorio. L'età media è di 25 anni e il 75% sono uomini. Il 60% degli episodi di torture e trattamenti degradanti riportati dai pazienti sono avvenuti in Libia - un dato che conferma quanto la violenza sia sistematica nel paese - e il 36,5% degli episodi sono avvenuti in 9 Paesi inseriti nella lista di paesi designati come sicuri dal governo italiano e dalla Commissione Europea ai fini del rimpatrio: Algeria, Bangladesh, Costa d'Avorio, Egitto, Gambia, Ghana, Marocco, Tunisia e Senegal. Alcuni pazienti (2%) hanno riportato di aver subito torture anche nei Paesi di arrivo, tra cui l'Italia. Nel 60,3% dei casi riportati, i responsabili della tortura sono i trafficanti, e nel 29% dei casi sono ufficiali delle forze dell'ordine. Rispetto al 2023, nel 2024 si registra un aumento dei casi di tortura avvenuti in Tunisia e Algeria tra le persone assistite da Msf, con un aumento rispettivo dall'11% al 24% e dal 3% al 15%. Violenze sessuali e di genere sono comuni lungo il percorso migratorio, specialmente per le donne: l'80% delle pazienti riferisce di aver subito uno o più episodi di violenza sessuale e il 70% ha subito violenza di genere nel paese di origine. Gli uomini non sono esclusi: alcuni pazienti hanno raccontato di aver subito torture che includevano violenza sessuale o di essere stati costretti ad assistere allo stupro della propria moglie o sorella. "Mia moglie e io siamo dovuti scappare dal Camerun, suo padre l'ha violentata e perseguitata da quando era piccola. In Libia siamo stati rapiti e venduti ai trafficanti. Mi hanno costretto a lavorare per loro e quando ho provato a ribellarmi, a fuggire, mi hanno torturato: non mi davano da bere ne' da mangiare, mi hanno picchiato, frustato. Mi hanno costretto a prendere dei vetri rotti e a stringerli tra le mani", ha raccontato un paziente ai team di Msf. "Ma la cosa peggiore che hanno fatto e' stata violentare mia moglie davanti a me, poi l'hanno costretta a prostituirsi. Mi hanno torturato ogni volta che ho provato a ribellarmi. Mi dicevano che l'avrebbero uccisa se non obbedivo". Torture e maltrattamenti - come percosse, frustate, bruciature, rimozione delle unghie, folgorazioni, soffocamento - possono avere effetti molteplici e profondi a livello fisico, psicologico, culturale e sociale. Il dolore cronico rappresenta una conseguenza comune tra le persone sopravvissute, considerando la brutalità fisica di molte pratiche di tortura che in alcuni casi vengono inflitte in modo ripetuto. Oltre alle conseguenze fisiche, che comprendono sintomi muscoloscheletrici (15%), all'apparato digerente (12%), neurologici (9%), oculistici (6%) e ginecologici (6%), la tortura lascia anche profonde cicatrici persistenti e debilitanti in termini di salute mentale, che tendono a influenzare tutti gli aspetti della vita della persona. Il 67% delle persone assistite presenta stress post-traumatico, con depressione e disturbi dell'ansia, il 3% dei pazienti ha manifestato pensieri suicidari. "Lavoriamo con i pazienti per fare in modo che i flashback e i pensieri intrusivi si trasformino in ricordi piuttosto che in esperienze ritraumatizzanti", afferma Carmela Virga, psicologa di Msf a Palermo, "il percorso terapeutico parte dalla creazione di una relazione di fiducia, uno spazio sicuro in cui il paziente possa sentirsi nuovamente un essere umano libero di scegliere e decidere per se' stesso, spezzando le dinamiche di potere esercitate dai responsabili delle torture". Nonostante le persone assistite dal progetto siano sopravvissute a torture e trattamenti inumani e degradanti, solo il 22% di coloro di cui e' stato riportato lo status giuridico al momento dell'ammissione e della dimissione dal progetto e' titolare dello status di rifugiato e il 5% di protezione sussidiaria. Il resto dei pazienti non solo deve affrontare le conseguenze fisiche e psicologiche della tortura, ma si ritrova anche in una condizione di vulnerabilità e precarietà dal punto di vista giuridico, che aggrava la loro condizione di incertezza e instabilita' sociale ed economica. Un quadro estremamente preoccupante della gestione emergenziale e deumanizzante del sistema di accoglienza italiano, aggravato da normative sempre piu' restrittive e limitanti in materia di migrazione e riconoscimento della protezione internazionale. Msf sollecita risposte istituzionali adeguate ai bisogni di cura e assistenza delle persone migranti sopravvissute a tortura, nel rispetto degli obblighi che l'Italia ha nei loro confronti. Pertanto, chiede che: L'Italia si conformi pienamente agli obblighi sanciti dalla Convenzione contro la tortura (1984), in particolare all'articolo 14, che riconosce alle vittime il diritto alla riabilitazione più completa possibile, assicurando un adeguamento efficace del sistema di accoglienza e dei servizi sociosanitari dedicati. Le Linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione adottate dal ministero della Salute nel 2017 "vengano rigorosamente attuate su tutto il territorio nazionale, superando disomogeneità e carenze esistenti, per consentire alle persone sopravvissute a tortura di accedere realmente a un supporto adeguato ai loro bisogni, in conformità con gli obblighi dell'Italia verso il diritto internazionale". E ancora, "vengano superate le barriere istituzionali e le politiche migratorie restrittive, ripristinando e potenziando un sistema di accoglienza e assistenza inclusivo e ben strutturato, capace di assicurare una tempestiva identificazione delle vulnerabilita', un'effettiva presa in carico e riabilitazione delle persone sopravvissute a tortura". Infine, "siano sostenuti e garantiti percorsi di accesso sicuri, evitando che le persone siano costrette a transitare attraverso paesi o territori in cui sono notoriamente esposte a pratiche di tortura e violenze".