“Il consenso di Afd? Non è cambiata la Germania, ma è deragliato il dibattito pubblico”. Parla il fondatore della Ong tedesca Sos Humanity: “In 10 anni abbiamo salvato 38mila vite”

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“Lungo tutto il globo terracqueo” Klaus Vogel ha girato per davvero, guidando enormi portacontainer attraverso gli oceani del mondo. Tedesco di Amburgo, un dottorato in Storia, nel 2014 decide di prendersi una pausa per salvare vite nel Mediterraneo. Con l’interruzione dell’operazione italiana Mare Nostrum, l’alternativa era “restare a guardare”. Il 4 maggio 2015 a Berlino, insieme ad altri sostenitori, fonda l’organizzazione di ricerca e soccorso SOS Mediterranee (Germania), oggi SOS Humanity, nella quale è tuttora impegnato. Un lavoro che in dieci anni ha salvato 38 mila vite. Tuttavia, confessa al Fatto, “la parola celebrazione implica normalmente l’essere felici, mentre l’evoluzione delle cose è piuttosto deprimente”. Sul voto di domenica 23 febbraio in Germania non si fa illusioni. Anzi: “Il consenso dell’AfD non può sorprendere e rimane relativamente contenuto”.Da tedesco riconosce la Germania di oggi?Non direi che la Germania sia cambiata, ma che il dibattito sta deragliando. È bene tener presente cosa è successo: quasi un milione di siriani sono arrivati in Germania nel 2015 e tre anni fa, con l’attacco russo, sono arrivati più di un milione di ucraini. Il 20% di consensi all’AfD non deve sorprendere. Anzi, è relativamente poco se pensiamo che altri Paesi, quasi privi di migranti, hanno un dibattito molto acceso sul tema. In Germania c’è un deragliamento analogo nel dibattito, ma credo si tratti di un effetto spiegabile e reversibile.Se è reversibile, cosa vede nel futuro della Germania e dell’Unione europea?Non possiamo che ragionare a lungo termine e in questa prospettiva la fine della guerra in Siria è importante, cosa di cui sono molto felice. Esiste la possibilità che il confitto tra paesi occidentali e Iran possa finire e la speranza che quello con la Russia migliori o che almeno si fermi la guerra in Ucraina. Meno confitti significa minore pressione migratoria e questo ci farebbe guadagnare spazio per migliorare il livello del dibattito, la comprensione del fenomeno e la stessa politica migratoria. Il cambiamento climatico e non solo eserciteranno ulteriori pressioni ed è il caso di considerarle anche nel loro complesso perché trovare soluzioni migliori sta diventando urgente.Il problema è la pressione migratoria o il fatto che le destre populiste sanno approfittarne?Entrambe le cose sono vere. Ansie dovute a crisi come la pandemia di Coronavirus sono state usate e vale anche per l’immigrazione, un fenomeno che ha spesso conseguenze difficili da comprendere o addirittura inaccettabili, come i recenti fatti di cronaca con gli omicidi in Germania e in Austria. Le destre populiste abusano di tutto questo e tuttavia reagiscono a una realtà percepita anche da chi non è un populista di destra. L’integrazione delle persone, accettare o meno il loro asilo, cosa fare con chi ha avuto la sua domanda respinta, sono problemi reali che vanno chiariti. Ma le autorità non fanno chiarezza e il processo decisionale è troppo lento. Mi pare che la politica non guardi davvero alla realtà, a quella nel Mar Mediterraneo, a quella della Libia, e nemmeno alla realtà quotidiana in un campo di tremila migranti in Baviera. E non guardando alla realtà non risolvono quei problemi.Sulla crisi migratoria parti della sinistra europea sembrano essere d’accordo con la destra.Recentemente in Germania un rappresentante di questo nuovo cosiddetto partito di sinistra, il Bündnis Sahra Wagenknecht, ha incontrato il leader di destra dell’AfD, e sull’immigrazione si trovavano d’accordo. Forse sul tema la distinzione destra e sinistra non funziona più. Forse è tempo di distinguere chi, da un punto di vista nazionalista, semplicemente non accetta gli stranieri e quanti sono almeno disposti a capire i migranti come persone bisognose, con obiettivi di vita e desideri fondamentalmente identici a quelli di ognuno di noi. Se esternalizziamo le frontiere assumendo che non sono problemi nostri o che non possiamo farci nulla, il risultato è la costruzione di muri che uccidono le persone.Dieci anni dopo la fondazione di SOS Mediterranee, il cui ramo tedesco è ora SOS Humanity, dopo premi, onori, la sua candidatura al Nobel, oggi molti governi vi considerano avversari.Beh, è un peccato. Non sarebbe così se i governi avessero una comprensione e una prospettiva umanitaria affidabile. In quel caso ci sarebbe dialogo e potremmo ricercare soluzioni più umane e migliori per l’immigrazione, essere partner. Al contrario il nostro lavoro di soccorso, invece di essere sostenuto, viene sempre più ostacolato dalle autorità.Questo clima ha pesato sul sostegno al vostro lavoro?Forse ha avuto l’effetto contrario, perché gli ostacoli al soccorso civile stanno evidentemente uccidendo le persone. In un certo senso, i governi stanno usando il Mediterraneo come un muro assassino contro i migranti. Molto più assassino del muro che noi tedeschi avevamo tra la Germania ovest e la Germania est fino al 1989. Il bilancio delle vittime è enorme e non potrà mai essere accettabile: più di 31.000 persone sono annegate nel mare Mediterraneo dal 2014.Solidarietà e donazioni sono aumentate o diminuite in questi 10 anni?Finora le donazioni hanno sempre coperto l’intera necessità, anche se non è facile garantire l’operatività delle navi. Abbiamo un numero relativamente limitato di dipendenti professionisti e volontari qualificati a bordo e riusciamo a fare unicamente ciò che dobbiamo. È un operazione non-profit, un lavoro umanitario su piccola scala, ma è importante visto che ci permette di salvare vite.Tra le accuse alle ONG c’è quella di ricevere fondi da George Soros.A quanto mi risulta, la nostra organizzazione non ha mai ricevuto il suo sostegno e personalmente non lo conosco. Per me è una persona nominata spesso da alcuni degli oppositori al lavoro umanitario e non so dire molto altro sul suo conto.Il governo italiano ha criticato quello tedesco per i fondi alle ONG che salvano vite nel Mediterraneo.Il supporto dell’uscente governo federale alle ONG è stato utile, ma si tratta di un importo molto ridotto rispetto ai costi operativi della flotta civile, e rappresenta una parte trascurabile del denaro fornito all’esternalizzazione della gestione delle frontiere in Libia e Tunisia da parte dell’Unione europea e dell’Italia. Tanto che abbiamo discusso l’opportunità di accettare fondi da chi non stava realmente sostenendo un migliore concetto di soccorso, né rotte sicure per i migranti. L’assenza di opzioni alternative impedisce il dialogo con gli stessi migranti, anche quelli che sono ancora nei loro Paesi, e lo sviluppo della politica migratoria nel suo complesso.Cosa intende con “alternative”?Ai tempi del suo governo, l’ex cancelliere tedesco Angela Merkel attivò personalmente contatti con alcuni Paesi nordafricani per iniziare a lavorare ad alternative per i subsahariani ma anche per quanti arrivano dall’Est, attraverso la Libia. Un inizio che però non diventò mai il fulcro della politica europea e la Commissione non ha mai proseguito in quella direzione. L’uscente governo tedesco ha valutato l’idea, che ho sostenuto dall’inizio, di aprire uffici Ue negli Stati africani per informare sulle alternative ai pericoli della migrazione attraverso il deserto e verso la Libia. Potrebbe essere fatto anche tramite una app, visto che anche in Africa i cellulari non mancano. Ma a un simile approccio preventivo non è mai stata data l’importanza delle misure militari e di polizia che invece stanno uccidendo le persone e le consegnano ai campi di detenzione libici.Che altro?Molti davvero non conoscono i pericoli cui vanno incontro. Se li conoscessero fin dal Paese d’origine, e avessero delle opzioni concrete per qualificarsi e fare richiesta di protezione o per un visto, una parte di loro sceglierebbe questa via legale. Quando ormai sei in Libia, senza speranza, oppresso, bloccato e senza poter tornare indietro, a quel punto prenderai qualunque rischio. Avere delle alternative cambierebbe le cose e l’Unione europea deve concentrare il lavoro su questo aspetto.Governi a parte, l’ostilità nei vostri confronti è anche in una fetta importante dell’opinione pubblica.Credo che il cambiamento degli ultimi 10 anni sia dovuto a una mancanza di volontà di ascoltarsi a vicenda, di empatia per le persone in movimento. Come organizzazioni umanitarie, abbiamo lavorato molto duramente per raccontare la situazione inaccettabile nel Mediterraneo, la condizione dei migranti in Libia e il nostro lavoro di soccorso in mare. Ma le ansie sono alte e vengono abusate. Le nostre forze erano troppo limitate per essere ascoltate di più e per cambiare il dibattito pubblico.Avrebbe fatto differenza?Non si può pensare di risolvere i problemi delle persone senza incontrarle, ascoltarne le motivazioni, comprese le reazioni a fatti di cronaca come reati e omicidi commessi da singoli. C’è una sorta di empatia selettiva da entrambe le parti. Per molti è difficile capire perché le persone abbiano paura dei migranti. La comprensione è invece fondamentale e passa dal dialogo, anche con gli stessi migranti. Serve questo approccio umano, che può davvero cambiare le cose, ma finora non c’è stato.Quando avete iniziato, lei si disse convinto che l’Unione europea avrebbe presto raccolto la sfida e che il vostro lavoro non sarebbe più stato necessario.È avvenuto il contrario, ma ho ancora speranze nel lungo termine. A venti, cinquanta, cento anni da oggi le nuove generazioni si vergogneranno di quanto l’Europa, noi e i politici che abbiamo eletto, stiamo facendo ai migranti. Quando uno di loro, una delle persone salvate, vincerà un Nobel per averci salvato da un problema esistenziale, allora inizieremo a cambiare idea. Ma sfortunatamente questo richiede tempo. Dobbiamo continuare a salvare le persone, a umanizzare il dibattito cercando di migliorare la capacità di comprensione, anche quella reciproca, e non mollare mai.Da marinaio, da capitano, era pronto per quello che ha vissuto nel Mediterraneo?Ricordo quando ho incontrato le prime barche di migranti in mare aperto. È stato commovente ma anche scioccante vedere quelle persone in assoluto pericolo. Era evidente che fossero in pericolo dal momento stesso in cui avevano lasciato la costa a bordo di barche instabili, che possono affondare o capovolgersi in qualsiasi momento. Non avrebbero mai potuto raggiungere l’Europa in quelle condizioni. Ci siamo avvicinati alla barca dei migranti per distribuire i salvagenti. Sembravano tutti voler saltare sul nostro piccolo gommone veloce. Poi uno dei miei compagni, lui stesso un migrante eritreo, ha allungato la mano verso il primo uomo salito sul nostro gommone. “Fratello, prendi la mia mano”, gli ha detto. Non potrò mai dimenticare quel momento, perché erano fratelli e sorelle ed erano come noi, come Lei e io. Eravamo in mare aperto ed era ovvio che dovevamo salvarli. Come avremmo potuto lasciarli morire? Ancora non riesco a capire perché questa esperienza umana, questo imperativo umano al soccorso, non riesca a diffondersi più velocemente nelle menti e nei cuori di chi prende decisioni in Europa.Per altri la vostra esperienza umana è un fattore di attrazione dei migranti.Prima di Natale ho avuto un incontro casuale con l’ex presidente Joachim Gauck (presidente federale della Germania dal 2012 al 2017, ndr). Ci hanno presentato e abbiamo parlato. Mi ha detto di rispettare il nostro impegno umanitario, ma anche di essere totalmente contrario perché avremmo l’effetto di un “pull factor”. Gli ho risposto che si trattava di un mito dimostrato, che i migranti arriverebbero ugualmente, ma su quell’incontro ho riflettuto anche nei giorni successivi. Avrei aggiunto che ad attrarre le persone sono la stessa civiltà europea e i suoi valori, come la libertà, i diritti umani, la protezione che garantiamo a chi vive dentro l’Unione europea. Non vogliamo essere così? È l’Europa ad essere attrattiva. Dobbiamo lavorare perché, in Europa o altrove, queste persone abbiano diritti e protezione per garantire un futuro ai propri figli e a loro stessi. No, noi ONG non siamo un fattore di attrazione. Siamo solo persone che salvano altre persone, nient’altro.L'articolo “Il consenso di Afd? Non è cambiata la Germania, ma è deragliato il dibattito pubblico”. Parla il fondatore della Ong tedesca Sos Humanity: “In 10 anni abbiamo salvato 38mila vite” proviene da Il Fatto Quotidiano.