Israele, ecco il fronte interno ed esterno che spinge per la trattativa

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Ieri, in una dichiarazione congiunta, il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid, il leader del partito Blu e Bianco Benny Gantz, il leader di Yisrael Beiteinu Avigdor Lieberman e il leader del Partito Democratico Yair Golan hanno chiesto l’immediato ritorno degli ostaggi, promettendo al governo il pieno sostegno per qualsiasi mossa che porti alla loro liberazione.Il paracadute delle opposizioniL’opposizione sta offrendo a Netanyahu un paracadute contro il suo stesso governo. La cosiddetta “Fase 2” dei negoziati sul rilascio degli ostaggi prevede infatti che il cessate il fuoco diventi permanente, e che le Forze di Difesa Israeliane si ritirino dal Corridoio di Philadelphi, la fascia al confine con l’Egitto attraverso la quale per anni sono passate la armi e le risorse con le quali Hamas ha costruito l’arsenale con il quale ha poi colpito il 7 ottobre 2023.Il ministro delle finanze del governo Netanyahu, Bezalel Smotrich ha annunciato, sin dall’avvio della “Fase 1”, che se si fosse arrivati alla Fase 2 avrebbe dato le dimissioni dal governo, portandosi dietro il suo Partito Sionista Religioso, come ha già fatto Itamar Ben-Gvir con il partito Otzma Yehudit. In quel caso, Netanyhau non avrebbe più la maggioranza, il governo cadrebbe, e si andrebbe ad elezioni anticipate.Il fronte internoLa mossa delle opposizioni deve perciò essere vista come un modo di consentire a Netanyahu di completare il negoziato sugli ostaggi prima di lasciare il premierato, ma c’è di più. Il punto di vista dell’opposizione collima con quello delle élites israeliane, in particolare dei media, che hanno decretato che “la guerra è finita”. E con questo vogliono dire che la guerra è persa.Questa posizione viene presentata come la dura realtà alla quale si è arrivati dopo quindici mesi di combattimenti, ma in realtà è la posizione iniziale degli stessi che la presentano.Sin dal 7 Ottobre, e per tutta la guerra, c’è stato all’interno di Israele un forte movimento perché si trattasse con Hamas per il rilascio degli ostaggi, abbandonando ogni proposito di rivincita o vendetta. Questa è stata indubbiamente la posizione dell’amministrazione Biden, e di molti anche nel governo unitario creato all’indomani dell’attacco, e ora disciolto, e non è mai cambiata.In tutti questi mesi i media israeliani hanno servito al pubblico una regolare dieta di disfattismo. Nelle piazze, la causa è stata perorata, invero con poco successo, dai cosiddetti “Kaplanisti”, lo stesso movimento, con solidi contatti alla Casa Bianca, che trascinò grandi folle in piazza contro la riforma della Corte Suprema israeliana. All’indomani del 7 Ottobre, i “Kaplanisti” si sono anche subito assicurati il ruolo non ufficiale di portavoce delle famiglie degli ostaggi.Hamas esultaNel frattempo, Hamas, attraverso il suo portavoce Hazem Qassem, ha esultato per il “significativo risultato” ottenuto con lo scambio ostaggi-prigionieri, sostenendo che Hamas ha “piegato Israele”, il quale ha dovuto rinunciare alle sue “linee rosse”.Le richieste di Hamas non sono cambiate dall’8 ottobre: cessate il fuoco permanente, ritiro delle forze israeliane da Gaza, rilascio di centinaia di prigionieri, Hamas che resta al governo, e ricostruzione garantita.È indubbio che al momento il Medio Oriente (ma anche l’Occidente) alleato o simpatizzante di Hamas sia soddisfatto. Si dice che Hamas abbia umiliato Israele, infliggendogli una sconfitta militare che non aveva mai visto dalla sua fondazione, e che malgrado la rappresaglia israeliana, ancora controlla Gaza militarmente e amministrativamente.Sul piano strategico, Hamas ha mandato all’aria il processo di normalizzazione con l’Arabia Saudita, interrotto il progetto per l’India Middle East Europe Economic Corridor (IMEC), e si è dimostrato capace di fare ciò che l’Autorità Nazionale Palestinese e il movimento Fatah non sono mai, e non avrebbero mai potuto, fare.I rappresentanti di Hamas sono stati ricevuti come eroi non solo nel loro stato-patrono Qatar, che malgrado il suo rapporto con Hamas, inesplicabilmente continua ad essere usato come mediatore “neutrale”, pur condividendo appieno gli obbiettivi di Hamas nella guerra, ma anche in Turchia, Iran, e perfino Egitto. D’altra parte, in Medio Oriente, è sempre e solo la forza che genera rispetto e supporto.Sindrome NetanyahuA queste condizioni, la sconfitta strategica di Israele nel non completare la distruzione di Hamas e nel restituirgli il controllo della Striscia di Gaza sarebbe epocale, e cambierebbe le dinamiche di tutto il Medio Oriente, con Israele nel ruolo dello sconfitto.Ma allora perché le élites israeliane perseguono, e hanno perseguito fin dall’indomani del massacro, la fine della guerra in una maniera che chiaramente comprometterebbe lo status e gli interessi strategici di Israele in maniera critica?I motivi sono sicuramente complessi, ma possono essere riassunti. Il primo motivo è la Bibi Derangement Syndrome. Bibi Netanyahu è il più longevo primo ministro israeliano. È al potere da decenni, e anche quando perde le elezioni e tutti pensano di essersene finalmente liberati, rispunta come un’erbaccia. È una di quelle figure, come Silvio Berlusconi o Donald Trump, che nell’Occidente moderno spingono le opposizioni ad abbandonare ogni creanza politica, e a dichiarare “emergenza democrazia”.Come scriveva all’inizio della guerra Gadi Taub:C’è una ragione per cui il disfattismo e l’attacco a Netanyahu vanno di pari passo. Netanyahu vuole vincere la guerra e, per quanto possa sembrare sorprendente a prima vista, la coorte della stampa, insieme ai rappresentanti virtuali dell’amministrazione Biden nel gabinetto, Gantz ed Eisenkot, non sono esattamente d’accordo con questo obiettivo. La spiegazione più semplice è che combattere Netanyahu ha definito l’identità professionale di così tanti giornalisti e politici per così tanto tempo, che persino l’attacco del 7 ottobre di Hamas non è riuscito a cambiare la traiettoria della loro missione di una vita. Vedono Hamas come un’opportunità per smascherare finalmente Netanyahu per il fallimento che vorrebbero che fosse, forzare elezioni anticipate che sono certi perderà e quindi salvare Israele da lui.La soluzione “erodiana”Il secondo motivo è più profondo, ma più oscuro. Sin dal fallimento degli accordi di Oslo, e dall’insorgere della Seconda Intifada, del terrorismo di Hamas, e della minaccia nucleare iraniana, l’opinione pubblica Israeliana ha perso l’appetito per una soluzione a due stati con i palestinesi.Questo ha portato una corrente del secolarismo israeliano, che Tony Badran definisce i “Nuovi Erodiani”, molto rappresentata tra le élites intellettuali, governative, ed economiche, a concludere che se l’opinione pubblica israeliana non può essere convinta, deve essere costretta. E deve esserlo tramite pressioni internazionali, in particolar modo, americane. Questo viene visto come un modo di salvare Israele da sé stesso.Naturalmente, presso l’opinione pubblica israeliana l’attacco del 7 Ottobre ha piantato gli ultimi chiodi nella bara della soluzione a due stati. Il che significa che la “soluzione erodiana” si fa ancora più urgente. Se Israele esce sconfitto da una guerra col suo nemico più debole, ne uscirà demoralizzato e umiliato, e si pensa, l’opinione pubblica sarà più malleabile, e più aperta alle ricette degli “erodiani”.Il fattore TrumpCosa succederà? È davvero molto difficile dirlo. Anche perché nell’equazione è entrato un nuovo fattore: il nuovo inquilino della Casa Bianca.Malgrado le apparenze, la posizione di Donald Trump sulla guerra Israele-Hamas è ambigua. Trump ama minacciare apertamente Hamas e ha lanciato il, sorprendente ma improbabile, piano per la de-popolazione di Gaza. In molti nella sua amministrazione, dal segretario di Stato Marco Rubio, al consulente per la sicurezza nazionale Michael Waltz, hanno dichiarato che ad Hamas non può più essere consentito di governare la Striscia.Al tempo stesso, Trump ha imposto al governo Netanyahu lo stesso accordo sugli ostaggi, che Hamas voleva e che sta celebrando, creato dalla “erodiana” amministrazione Biden. Il suo inviato speciale per il Medio Oriente, Steve Witkoff, non solo ha torto il braccio di Netanyahu per fargli accettare l’accordo sugli ostaggi, ma sta continuando a trattare, in coordinamento col Qatar, l’avanzamento alla Fase 2.Obiettivo vitaleNetanyahu, dal canto suo, sotto la pressione di una confusa opinione pubblica costantemente martellata dai messaggi sconfittisti dei media, che ha però fatto la bocca alla liberazione degli ostaggi, sta cercando di estendere il più possibile la Fase 1 per liberare più ostaggi possibile, e non dover passare alla Fase 2. Ma i piani per Gaza, al di là delle dichiarazioni di intento, rimangono non definiti.Il dilemma strategico di Israele è come terminare la guerra senza una vittoria di Hamas, che comprometterebbe lo status di Israele nella regione. Ma molte forze, sia all’interno, sia all’esterno della nazione, sia nemiche, che alleate, sembrano remare contro questo obiettivo, che dovrebbe essere considerato vitale.L'articolo Israele, ecco il fronte interno ed esterno che spinge per la trattativa proviene da Nicolaporro.it.