Gli Usa sono stati una grande democrazia ma pure un impero razziale: una lezione dalla Storia

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La storia dell’America inizia senza gli americani, che non esistevano come entità politica, e all’insegna della violenza più brutale. Basti solo pensare a quanto scriveva Cristoforo Colombo ai reali spagnoli a proposito degli indigeni Aruachi, che corsero ad accoglierlo sulle coste delle odierne isole Bahamas: “Ci portavano pappagalli e matasse di filo di cotone, insieme a tante altre cose. Non imbracciano armi né le conoscono. Devono essere buoni e generosi servitori. Le Altezze Vostre con una cinquantina di uomini li terranno tutti sottomessi e potranno fare loro tutto ciò che vorranno”.Soltanto un secolo dopo, cioè alla fine del 1500, si stimava che la scoperta/conquista del Nuovo Mondo avesse provocato fra i 60 e gli 80 milioni di morti. Il più grande genocidio dell’umanità, perpetrato nei confronti dei nativi Pellerossa e degli afroamericani deportati dai coloni inglesi, francesi e spagnoli per lavorare quelle terre dell’emisfero occidentale. Tale scempio sarebbe durato per quasi tutto il 1800.Quando nacquero gli Usa, nel 1776, la Costituzione dava per scontata la schiavitù e l’assoggettamento delle persone non bianche. Di fatto il primo “stato razziale” della Storia, per questo celebrato dall’ideologo del nazismo Alfred Rosenberg come “uno splendido paese del futuro” a cui la Germania nazista avrebbe dovuto ispirarsi “con forza giovanile”. Del resto, le “origini ideologiche americane del III Reich” sono agevolmente documentabili*.Hitler in persona dichiarò la propria ammirazione per l’”efficienza” della campagna americana di sterminio contro i nativi americani, tessendo le lodi degli Usa per la loro esclusione di certe razze dalla concessione della cittadinanza, nonché auspicando nel suo libro Mein Kampf (1926) un’alleanza fra i grandi stati imperiali della storia: Gran Bretagna, Usa e Germania. Nacquero negli Usa i primi campi di concentramento – in cui vennero rinchiusi individui di origine cinese e giapponese – nonché la prassi di marchiare con una stella gialla i medesimi soggetti (cosa che poi il nazismo avrebbe fatto con gli ebrei).Fu negli Usa che attecchì maggiormente l’eugenetica, finanziata entusiasticamente dai governi del tempo, mentre è documentata la corrispondenza che il Führer in persona intrattenne con numerosi scienziati americani di tale disciplina volta a creare in laboratorio la razza perfetta. Lo stesso Hitler riceveva con tutti gli onori l’autore americano Lothrop Stoddard, elogiato pubblicamente anche dai presidenti statunitensi Harding e Hoover per i suoi studi, il quale aveva coniato il termine “sottouomo” (underman), ripreso con entusiasmo dai tedeschi del tempo (untermensch) per bollare le categorie umane che finirono nei campi di sterminio.L’ispirazione che l’ideologia nazista trasse da quella americana fu tanto radicale da sfociare nel paradosso: sì, perché alcune delle folli (e omicide) misure eugenetiche eclissatesi con il crollo del regime nazista sopravvissero negli Usa del periodo postbellico, tanto che ancora nel 1952 una trentina di Stati dell’Unione proibivano i “matrimoni interrazziali” (divieto di miscegenation), considerando l’incrocio razziale un “delitto di fellonia” (mentre negli altri Stati era sempre un reato, seppure di meno grave entità). Elemento di contaminazione erano considerati non soltanto i neri, ma anche (a seconda dello Stato) i mulatti, gli indiani, i mongoli, i cinesi, i coreani e più in generale “ogni persona di discendenza negra o indiana fino alla terza generazione compresa, ovvero ogni persona avente 1/8 o più di sangue negro, giapponese o cinese”, o anche “avente 1/4 o più” di sangue kanaka (hawaiano).Tutto questo, sorvolando sull’appoggio governativo al Ku-Klux Klan fino ancora alla metà inoltrata del Novecento e sulla feroce politica imperialista condotta verso l’esterno, con la compiacenza degli intellettuali impegnati a dissimulare la realtà per venire incontro ai bisogni del più forte, citando l’amara considerazione di Noam Chomsky. Ancora nel 1960 la filosofa Hannah Arendt riferiva che agli alunni di tutte le ultime classi delle scuole medie di New York venne assegnato il seguente tema: “Immaginarsi un modo per punire Hitler”, e una ragazzina di colore si limitò al seguente svolgimento stringato: “Bisognerebbe mettergli addosso una pelle nera e obbligarlo a vivere negli Stati Uniti”.Questo per dire, fra le tante cose possibili, che l’America di Trump e Musk non proviene dal nulla né è il mostro osceno di un tempo inaudito, ma solo l’altra faccia di quella che nella Storia ha saputo essere la democrazia più entusiasmante ma anche l’impero razziale più feroce e spregiudicato. Prima di affibbiare patenti di nazismo a destra e a manca, bisognerebbe considerare che si tratta di un “male radicale” sempre presente in quel “legno storto” che è l’uomo, rifacendosi alle parole di Immanuel Kant.Ma soprattutto, provando a trarre una lezione dalla Storia passata, chiunque non voglia più vedere braccia tese, regimi liberticidi, politiche razziste etc., dovrebbe ricordare che la democrazia ha le armi per non consentire tutto ciò. Certo, a patto che la grande maggioranza del popolo non sia vittima di disuguaglianze economiche, di macelleria e ingiustizia sociale nonché di disagio esistenziale diffuso. Esattamente come avvenne quando esplose il fenomeno nazifascista. Esattamente come sta riaccadendo oggi…* Per l’analisi dettagliata di quanto qui riportato sinteticamente, rimando al mio Figli di un Io minore. Dalla società aperta alla società ottusa, Marsilio, Venezia 2019, pp. 172-183.L'articolo Gli Usa sono stati una grande democrazia ma pure un impero razziale: una lezione dalla Storia proviene da Il Fatto Quotidiano.