Confesso il mio senso di liberazione nell’ascoltare il discorso di Mario Draghi, in audizione al Parlamento europeo. Finalmente un ragionamento politico basato sui fatti, e con delle proposte concrete: “Dobbiamo abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sull’equity”. Breve, ma è un programma politico, cioè una lista di cose da fare sui nodi strategici della convergenza europea: difesa, tecnologia, energia e mercato dei capitali. Anzi, è il primo vero ragionamento politico sul futuro dell’Europa che sentiamo dopo l’insediamento della nuova amministrazione americana, ed è preoccupante che a pronunciarlo non sia un leader politico.Sui temi indicati da Draghi, dai leader politici europei sono venute parole vaghe, superficiali, sostanzialmente inconcludenti, come “ora bisogna fare l’esercito europeo”. Una fesseria. “Le parole sono importanti” diceva Nanni Moretti, in un suo vecchio film, “Se parli male, pensi male”. Dal XVII secolo, con l’organizzazione permanente delle marine militari e delle navi da guerra, la parola esercito non esaurisce il concetto di Difesa. Nel XX secolo il dominio dell’aria, come scriveva il generale Giulio Douhet, ha dato centralità al potere aereo, siccome i bombardamenti strategici servivano per distruggere le capacità offensive del nemico, prima che potesse attaccare, sono state create forze aeree indipendenti dalle forze di terra e di mare.Con la Guerra fredda, dal lancio dello Sputnik in poi, si è aperta la corsa allo spazio, mentre ora sono strategici il dominio del cyberspazio ed il dominio cognitivo. Nei conflitti ibridi contemporanei è importante la superiorità tecnologica quanto lo sono minacce asimmetriche, provenienti da gruppi terroristici ed organizzazioni non statali, o da proxy occulti di potenze statali. Basti pensare agli attacchi cyber che possono colpire le infrastrutture critiche, come quelle dell’energia, delle telecomunicazioni, della mobilità e del trasporto, o della finanza. Il fantomatico “esercito europeo” non basterebbe di certo per garantire la loro sicurezza, stabilità e continuità operativa, mentre la Ue ha il dovere di farlo, e dovrà farlo da sola.Oggi è tempo che la politica capisca che per difendersi l’Europa può contare solo sulle proprie forze. Le alleanze sono fondamentali, ma non possiamo più permetterci il lusso di dipendere dagli alleati per la nostra sicurezza. Siccome un sistema di Difesa è fatto per esercitare deterrenza e rispondere a delle minacce, bisogna che sia efficace, e quindi la sua implementazione non può essere impedita né dalle convenienze opportunistiche di un singolo Governo, né dagli interessi delle singole industrie nazionali. Se l’Europa a 27 non è in grado di prendere le decisioni necessarie bisogna che si muova chi è in grado di farlo, con la cooperazione rafforzata prevista dai trattati europei.Quando nacque l’Euro non tutti i Paesi avevano le condizioni per poter aderire al progetto della moneta unica. La Difesa Europea si può fare solamente nello stesso modo, con un impegno variabile dei singoli Stati membri, programma per programma, come previsto dalla cooperazione strutturata permanente Pesco. Per difendere l’Europa non serve fondere gli eserciti nazionali, perché le Forze armate europee operano insieme già ora, in molti contesti internazionali e teatri operativi.Quello che serve è costruire le capacità comuni che sono necessarie per essere autosufficienti. Oggi queste capacità ci sono nella Nato, ma non ci sono nella Ue. Però 23 dei 27 Stati membri dell’Ue fanno parte anche della Nato, ed è un vantaggio enorme, perché hanno già acquisito la standardizzazione necessaria all’interoperabilità. Non c’è ancora un sistema autonomo di comando e controllo e non c’è ancora l’adeguata capacità di mobilitare ed impiegare autonomamente le Forze armate europee. La Difesa europea deve essere prontamente capace, in caso di bisogno, di assumere la decisione politica di richiamare i riservisti (dove ci sono), aumentare velocemente la produzione di armi, munizioni, attrezzature, trasferire celermente truppe e mezzi in posizioni strategiche, rafforzare le difese comuni nelle aree critiche, ovunque siano.Poi, per essere realmente impiegate, le Forze armate devono essere autonome nella gestione delle tecnologie necessarie al funzionamento dello strumento militare. Queste tecnologie abilitanti sono essenziali perché esista davvero una capacità militare autonoma, dato che sono indispensabili al funzionamento dei sistemi d’arma complessi, di cui dispongono le Forze armate. Fino ad oggi in ambito Nato si è cercato di evitare la ridondanza degli investimenti molto costosi nelle tecnologie abilitanti, per ottimizzare l’impiego delle risorse economiche. Se una tecnologia era sviluppata dagli americani, non c’era bisogno di svilupparla anche in Europa. Oggi non è più così.L’Agenzia spaziale europea (Esa), creata nel 1975 allo scopo di promuovere la collaborazione dei Paesi europei nel settore spaziale, ha un ruolo fondamentale in questo senso, perché attualmente la capacità europea è insufficiente sia nell’orbita bassa (Leo) dove ci sono solamente i satelliti Copernicus, che forniscono dati per il monitoraggio dell’ambiente e delle risorse naturali, che nell’orbita media (Meo), dove gravita il sistema di navigazione satellitare Galileo per fornire servizi di posizionamento e navigazione. Nell’orbita medie e bassa ci stanno i satelliti che hanno le funzioni abilitanti per le attività militari, ed oggi l’Europa non è autosufficiente. Per le comunicazioni, ad esempio, si pensa di avvalersi del sistema commerciale americano Starlink, di proprietà di Elon Musk. Anche un bambino capisce che non può esserci un’autonomia strategica se non sono autonome le comunicazioni. Inoltre, in Europa ci sono importanti lacune da colmare nella microelettronica avanzata, nell’intelligenza artificiale, nel cloud computing, nelle tecnologie quantistiche, nelle biotecnologie, nella ricerca sui materiali avanzati. Si tratta di settori tecnologici strategici, che sviluppano innovazioni militari e civili, e che richiedono grandi investimenti, impossibili con l’attuale frammentazione del mercato della Difesa. Bisogna creare un’Europa superiore alla somma delle parti nelle tecnologie critiche, mobilitare i capitali verso lo sviluppo dell’economia e gli investimenti necessari. In altre parole, bisogna smettere di parlare soltanto e cominciare a fare qualcosa. Lo ha detto Mario Draghi ai parlamentari europei: “please, do something”.