Ue. La corsa al riarmo, tra deficit e Nato

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di Giuseppe Lai –A decorrere dallo scorso 29 maggio, con l’entrata in vigore del Regolamento SAFE (Security Action For Europe) approvato dal Consiglio europeo, gli Stati Membri possono accedere a un fondo prestiti per realizzare investimenti nei settori chiave della difesa quali la missilistica, i droni e i sistemi di cybersicurezza e di guerra elettronica. La dotazione complessiva del fondo è pari a 150 miliardi di euro e prevede un meccanismo di erogazione prestiti a lungo termine, e a condizioni relativamente vantaggiose, su richiesta dei singoli Stati, a condizione che le risorse siano destinate ad almeno due Paesi, uno dei quali dovrà essere membro dell’Unione. Gli Stati membri dispongono di sei mesi dall’entrata in vigore del Regolamento per presentare i loro progetti alla Commissione europea mentre il Consiglio adotterà le decisioni esecutive, quali l’entità del prestito e l’eventuale prefinanziamento. Quest’ultimo, che può arrivare fino al 15% del prestito, garantirà che il sostegno possa essere erogato rapidamente per coprire le esigenze più urgenti, potenzialmente a partire dal 2025.Per gli impegni degli Stati membri vi è l’impegno di riferire sui progressi compiuti nell’attuazione dei piani al momento delle richieste di pagamento, che possono essere presentate due volte l’anno. L’entrata in vigore del regolamento Ue segna un passo in avanti nel progetto di difesa europea, nonostante le criticità che ne condizionano il percorso.Infatti il maggiore impegno finanziario per la difesa si traduce in un aumento dell’indebitamento nazionale, che ha un impatto differenziato in Paesi ad alto debito come Francia e Italia rispetto a Paesi dai bilanci più virtuosi come la Germania. Quest’ultima inoltre ha approvato una riforma costituzionale che permette di fare debito investendo centinaia di miliardi di euro in spese militari e infrastrutture. A ciò si aggiungono le priorità di spesa deliberate dai singoli Stati, potenzialmente inconciliabili con ulteriori impegni finanziari.Sul piano strettamente militare, un fattore che dovrebbe spingere gli Stati a superare le criticità è il più volte annunciato disimpegno militare USA dall’Europa e dalla NATO, nonostante tale eventualità non si è tradotta in posizioni chiare da parte americana. Le recenti esternazioni dell’amministrazione Trump hanno lasciato intendere che Washington non investirà più di tanto nell’Alleanza e richiederà agli europei di farsi sempre più carico della loro sicurezza e difesa. Nel merito, il prossimo vertice NATO in programma all’Aja a fine giugno dovrà discutere di alcuni aspetti fondamentali relativi all’eventuale transizione verso un’Alleanza meno americana e più europea, a cominciare dai target di spesa per gli alleati. Vi è una distanza enorme tra il 2% del Pil raggiunto come media europea lo scorso anno e il 5% proposto da Trump, ma un possibile compromesso potrebbe alzare l’asticella al 3% e anche oltre, a condizione che l’orizzonte temporale non sia troppo ravvicinato o dettagliato.Si dovrà anche discutere del bilancio dell’Organizzazione, ed è probabile che Washington annunci una drastica riduzione del proprio contributo (attualmente attorno al 16% del totale), sollecitando gli altri alleati a coprire la differenza. Si dovrà negoziare anche sulle cariche, a cominciare dall’attuale comandante militare dell’Alleanza il cui mandato scade in estate. Avendo ben presente che l’eventuale nomina di un generale europeo, ipotizzata di recente sui media, non avrebbe solo un valore simbolico ma comporterebbe anche un disimpegno di fatto delle forze americane che non hanno mai servito sotto comando straniero.In controtendenza rispetto all’ipotesi di un disimpegno Usa, le recenti affermazioni del segretario Nato Mark Rutte, che ha escluso qualsiasi ipotesi di ritiro o riduzione delle truppe americane in Europa, assicurando che gli Stati Uniti continueranno a mantenere “un dispiegamento convenzionale molto forte” sul Continente. Il coesistere di posizioni diverse sulla futura presenza americana in Europa consolida di fatto quell’atmosfera di incertezza che il presidente Donald Trump ha inaugurato nel suo secondo mandato alla Casa Bianca.La percezione non è quella di una traiettoria definita, bensì di un quadro eterogeneo dominato dalla consueta imprevedibilità e volatilità di un presidente che si approccia alle relazioni internazionali con la mentalità di un uomo d’affari anziché con quella di un leader mondiale. Questo clima di incertezza, tuttavia, non può esonerare l’Europa dall’assunzione di decisioni strategiche da attuarsi nel breve periodo, come sottolineano da tempo vari osservatori e analisti internazionali.Al riguardo, in un recente discorso tenuto ad Aquisgrana, il commissario europeo alla Difesa Andrius Kubilius ha parlato di una “tempesta perfetta” che incombe sul Vecchio Continente: la guerra in Ucraina, l’aggressività crescente del Cremlino e il ritiro americano. Tre fattori concomitanti che dovrebbero indurre l’Europa a proseguire senza indugi verso un piano di difesa. Da un’analisi attenta dell’attuale contesto geopolitico, si evince infatti che gli Stati Uniti non possono continuare a garantire la difesa dell’Ucraina e della stessa Europa. Per mantenere la loro postura in uno scenario multipolare sono costretti a presidiare molteplici aree di tensione a livello globale, a partire dall’indopacifico, dove cresce l’influenza della Cina percepita dagli americani come una sfida alla loro leadership globale e alla stabilità regionale. Va in tale direzione il rafforzamento delle loro partnership con i Paesi dell’area tra cui Australia, Giappone, Corea del Sud e India. Lo spostamento del baricentro americano verso altre aree sensibili crea un vuoto strategico nella difesa europea, mentre l’Ucraina lotta per sopravvivere contro il vicino russo imponente e vorace. In tale contesto l’Europa dovrà essere pronta a correre rischi concreti nel confronto con la Russia e dovrà sostenere l’Ucraina integrandola in una più ampia struttura economica e securitaria, obiettivo che non può prescindere da un aumento delle spese militari.