Nameless 2025: un modo furbo, onesto e sostenibile di essere “grandi”

Wait 5 sec.

Siamo molto contenti di essere gufi, da queste parti: ma non per il gusto di fare i menagramo e i bastian contrari, ma perché i rischi di questo impazzimento collettivo sui costi e le produzioni di concerti e dj set li avevamo denunciati per filo e per segno ancora due anni fa, in tempi un po’ meno sospetti di quelli attuali. Ora infatti ci stanno arrivando un po’ tutti: tra Rkomi e Bresh che smaterializzano dal loro calendario date importanti, alla questione dei biglietti per Elodie e Luchè ed altri ancora negli stadi (e non solo negli stadi) che vengono smerciati in giro a 10 euro, senza strombazzarlo troppo in giro per non far sentire troppo coglioni gli acquirenti del ticket a prezzo intero ma comunque in modo abbastanza semplice anche per i meno sgamati, come raccontato anche da Selvaggia Lucarelli (e se ci è arrivata lei, sulla questione, vuol dire che stanno rombando già forte i motori dello scandalo e dell’indignazione popolari).Già. Perché la questione della musica dal vivo, dei concerti e dei festival di una certa dimensione è diventata davvero un “gioco da grandi”; ma “grandi” sono soprattutto i rischi e la crudeltà speculativa, anche se molti hanno fatto finta di non capirlo e/o lo tengono nascosto, per non ammettere di essere finiti in un buco nero. Lo dicevamo già per la questione Sónar / KKR eccetera: a certi livelli ormai sembra quasi inevitabile dover ragionare col cinico e spregiudicato habitus mentale della finanza speculativa, con grandi masse di denaro, grandi possibilità di guadagno (per i più cinici e spregiudicati), grandi rischi di vedersi rovinata la vita e la carriera (per chi resta invece col cerino in mano).È anche questo il motivo per cui molti grandi eventi si sono gettati fra le braccia di Superstruct e non solo, non è solo avidità: all’improvviso, nella grande arena della musica dal vivo e dei dj set, se vuoi giocare devi essere non solo e non tanto bravo, no, non è quello più il punto – devi avere anche le spalle finanziariamente molto, molto coperte. Gli artisti (e le agenzie e management che li rappresentano) sono diventati ingordi e bulimici come non mai, vogliono tutto, lo vogliono subito e in anticipo, vogliono tanto: e se qualcosa va male, tu ti ritrovi nella merda, tu promoter. Tanto nella merda.Nota a margine: ci sono promoter che sopravvivono anche nella merda, plurifalliti e notori inadempienti che continuano ad operare a livelli manco bassi, ma ci riescono appunto solo quelli che accettano di essere “complici” di questo sistema: che non alzano la voce per dire quanto tutto sia folle, e quanto ormai il cinismo cieco ed affarista regni sovrano, accettando invece di giocare alle regole del gioco, nella convinzione di poter ripianare piano piano i debiti accumulati. Un comportamento che non condanniamo in alcun modo – è istinto della sopravvivenza, voglia di continuare a lavorare – ma se si sta troppo a lungo in questa posizione si diventa troppo facilmente una bad company in cui i più cattivi scaricano la rumenta, fino a quando questa stessa rumenta non ti soffoca, non diventa troppa.Arrivati a questo punto, vi starete chiedendo: vabbé, ma a noi di tutto questo che cazzo ce ne frega? C’è “Nameless” nel titolo: e noi vogliamo sapere come è andata l’edizione 2025, punto. Non pugnette su speculazione, finanza, promoter falliti o non falliti – quelle sono robe da addetti ai lavori, a noi ci interessa la musica.No?No.Se sapeste quanto oggi nella musica siano diventati fondamentali questi aspetti da grande strategia affarista, quanto sofisticato sia diventato il mercato e la gestione delle carriere dei vostri artisti preferiti, capireste che quanto sopra non è sproloquio da fissati e da stretti addetti ai lavori, oh no, è invece un ABC che sarebbe bene tenere a mente per capire meglio tutta una serie di cose.Arriviamo al punto. Ed il punto è: l’edizione 2025 di Nameless Music Festival è stata assolutamente da manuale su come si deve gestire oggi un grande evento. Questo per un motivo ben preciso: perché ha fatto capire come non mai su cosa si deve risparmiare – nei casi in cui è meglio risparmiare, nei casi in cui sei nella condizione di dover primus risparmiare e solo dopo rilanciare – e su cosa invece bisogna tenere il punto, quando si organizza un festival di grandi dimensioni.(Il Main Stage di Nameless 2025, fotografato da Francesca Binda; continua sotto)L’edizione 2024 era stata un successo oceanico nella terza giornata, un valido risultato nella seconda, un risultato così così nella prima (nonostante proprio la prima ospitasse quello che è stato di gran lunga l’highlight qualitativo del festival: il live dei Justice). Ecco, nelle dinamiche di oggi basta fare “così così” una giornata su tre in un festival per trovarsi a dover stare molto, molto, molto attenti su come giostrarsi le risorse per l’edizione successiva. I margini sono così ristretti, sì. Proprio così ristretti ed impietosi. Se solo qualcosa non va alla perfezione, in un quadro complessivo per lo più riuscito, ti ritrovi un fardello pesante addosso (…ecco perché, se sei un appassionato di musica che organizza cose e sei diventato un minimo “grosso” preferisci ad un certo punto che il fardello lo porti per te la KKR di turno, tu vorresti solo pensare alla musica, che è il motivo per cui hai iniziato a fare da organizzatore).Ecco perché oggi molti organizzatori di grandi eventi lucrano sui parcheggi, sui token, sui resti, sul prezzo di cibi e bevande, sui diritti di prevendita: è il sistema che li spinge a farlo, li “obbliga”, perché se non lo fanno aumenta vertiginosamente ed insensatamente il loro rischio imprenditoriale. Nameless l’anno scorso offrendo acqua e parcheggi gratis ha rinunciato a qualcosa come 400.000 euro di incasso e passa, contando anche quanto ha “perso” abbandonando il metodo dei token e rendendo tutto pagabile solo via POS (quindi carte di credito, smartphone, eccetera), scelta che rende automaticamente impossibile lucrare sui rimasugli rimasti nei bracciali elettronici adottati da moltissimi altri eventi, lo avete sperimentato tutti no?, con ricariche obbligate da 10 euro e bibite che costano tipo 7 euro o 13 – che solo se sei laureato in matematica o statistica riesci a non lasciarci giù del credito inutilizzato.Quei 400.000 euro avrebbero fatto comodo per ammortizzare i risultati non positivi di una giornata su tre (ripetiamo, e chi c’era lo sa: l’edizione 2024 è stata tutto tranne che fallimentare, nelle presenze), e arrivare più spensierati all’edizione di quest’anno.Quasi tutti, in questa condizione, avrebbero “abolito” le semplificazioni per la propria utenza per tornare a marginare sui servizi accessori (parcheggi, resti trattenuti & co.), Nameless ha fatto la scelta opposta. Ha fatto pure di più: il grande pratone alla Poncia di Annone che ospita da anni il festival è bello, davvero bello, ma se piove diventa facilmente fanghiglia in molte parti, e lì devi rimediare last minute mettendo moquette stile finta ebra, trucioli, eccetera. Speri sempre che tu non sia costretto a farlo – è un extra budget, in fondo – ma alla fine a Nameless come sanno i suoi affezionati prima o poi piove praticamente sempre. Quest’anno si è risolto il problema alla radice, “pavimentando” i punti sensibili prima ancora dell’inizio del festival: il risultato è stato ottimo, potersi sedere per terra al Main o al palco Fructis dei live nei momenti più tranquilli era un toccasana, e anche i punti di maggior passaggio sono sempre stati percorribili in maniera perfetta. Perfetti anche pedane, passacavi, transenne.(L’area di quest’anno, vista dall’alto e da lontano; continua sotto) Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Nameless Festival (@namelessfestival)Dove si è risparmiato, quindi? Oltre a non mettere led lì dove non erano strettamente necessari, usando in cambio i classici banner plastificati o altro, di sicuro sui palchi. Non tanto il Fructis (bello, con quella americana circolare appesa “rubata” a Vasco Rossi), non tanto sulla struttura della Nameless Tent by Molinari (più grande di quasi del 40% rispetto all’anno procedente), quanto invece sul Main e sul palco all’interno della sopracitata Tent. In particolar modo il Main era grosso – 65 metri di larghezza, più di mezzo campo di calcio – ma super-essenziale, “senza ferro” come direbbero gli addetti ai lavori, ovvero senza strutture a fare da copertura integrale del palco e del retro. Questo downsizing è stato giocato però in maniera intelligentissima, scegliendo di mantenere gli stage bassi in altezza e molto meno imponenti dell’anno scorso: l’effetto è stato quello di una atmosfera più famigliare, avvolgente, accogliente, senza pretese di grandeur ma con un grande senso di funzionalità. Forse di giorno il Main e pure il palco della tenda Molinari erano meno impattanti e meno spettacolari, perché vista la mancanza di copertura integrale sopra e/o dietro i visuals erano sacrificati “ammazzati” dalla luce del giorno, ma di notte la forza visiva del ledwall e della pirotecnica è rimasta invariata rispetto alle edizioni precedenti. Pochi insomma hanno capito che quest’anno, nell’allestire i palchi, si sono risparmiati centinaia di migliaia di euro.Invece di mungere più la clientela, si è insomma lavorato nell’ottimizzare con intelligenza, esperienza ed anche un po’ di inventiva la parte strutturale. Qualche intoppo c’è stato, soprattutto coi gruppi elettrogeni (qualche bar momentaneamente coi POS fuori uso, qualche “singhiozzo” di audio e video al Main), ma nulla che abbia particolarmente intaccato l’esperienza complessiva. Ci si è stato bene, a Nameless Music Festival 2025.Ok. Ma la musica? Parliamo finalmente di musica? Beh, facciamolo. Martin Garrix ha sbancato tutto (e solo a Nameless più che in data singola come concerto la sua fama trova il “posto” giusto), area del Main piena all’inverosimile infatti per lui, anche se musicalmente ha preso una via più morbidosa che mah. Ma se è per questo, ancora più morbidoso – e, per chi scrive, deludente – è stato Armin Van Buuren, che aveva attirato anche un drappello di stagionati fan storici della trance (li riconoscevi dalle magliette e dalle stempiature) che immaginiamo siano rimasti un po’ male a sentire il loro eroe ormai mani e piedi legato a una declinazione pop che, boh, non fa onore alla sua storia ma immaginiamo renda più comoda la seconda parte della sua vita artistica.(Il Main Stage durante il set di Martin Garrix, foto di Francesca Binda; continua sotto)E se vi sembriamo insoddisfatti e polemici, aspettate che arriviamo al live di Tommy Cash: una cagatina imbarazzante, forse il set più brutto ed inutile visto a Nameless nel nostro quasi decennio di presentazione. Lui canta poco (quasi tutto preregistrato), si agita sguaiato, ha accanto un dj-fantoccio inutile, l’80% del suo set è vacua intro, il carisma è nullo, i visual orribili (…ma non così orribili da fare il giro: no, brutti e fatti male e basta). La sua fortuna è che a Nameless il pubblico è buono, avrebbe meritato molti più fischi.Il pubblico a Nameless è buono però anche perché ha di che essere soddisfatto, non è insomma buono a caso. Un bel segnale è che quest’anno si sia data, come dicevamo prima, molta fiducia a livello di spazi alla Nameless Tent by Molinari, il “cuore” del DNA musicale del festival, declinato però come mai in passato su direzioni bass (dalla dubstep alla drum’n’bass) e techno (si pesta duro). Ci si è stati sempre bene, nessuno ha deluso, e valeva la pena arrivare presto nel pomeriggio, per vedere ad esempio in azione un fenomeno meraviglioso e sotterraneo come la cricca di Cripta, una falange armata di adrenalina e dubstep incendiaria, compatta ed infuocata sul palco come non mai nel fare un back to back to back to back to back to back strepitoso e serratissimo (e poi presenza da culto anche nell’Heineken Stage, palco non ufficiale e con set non annunciati pubblicamente, ma che ha visto una vibra bellissima tutt’e tre i giorni, vedi anche il set del sempre bravo Mazay, una delizia).(La Namaless Tent, foto sempre di Francesca Binda; continua sotto)I più “stagionati” non hanno che potuto godere nel palco Red Bull Energy Zone, dove il giro Defected / Glitterbox ha seminato house e classe (strepitosi The Illustrious Blacks) il primo e terzo giorno e, nel secondo giorno, quel gesto provocatorio di Nameless a nome Less Names (serate nei club senza annunciare la line up e col divieto di uso di smartphone: una bomba, ve ne parleremo in futuro) ha funzionato a dovere. Menzione d’onore per Phra dei Crookers, sempre un giro avanti, e sempre faccio-quel-cazzo-che-mi-pare, ma col sorriso, e col giusto tiro. L’area patrocinata da Red Bull era più piccola dell’anno scorso, vero, ma più piena e costantemente con la presa bene inserita: un vero e proprio safe harbour del festival. E il fatto che la postazione del dj fosse semi-nascosta e a livello dancefloor si è rivelato un plus invece che il suo contrario (…anche perché coerente con il feeling complessivo del festival, come spiegavamo un po’ più sopra), ha creato partecipazione ed intimità invece di inseguire inutili velleità di grandezza e stardom.(Le vibrazioni di Less Names; continua sotto) Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da less names (@less___names)Qualche altra considerazione sugli act del Main? EDMMARO è ormai un headliner del festival (e accidenti se lo merita, ma lo diciamo da anni); Tchami e Oliver Heldens molto bene, solidi ed efficaci; Malaa ci è piaciuto meno di altre volte, ci sembra stia perdendo espressività in favore di una muscolarità un po’ vuota; Don Diablo ok, gladde paling caciarone e divertente anche se alla fine la minestra è un po’ allungata, Rudeejay ha fatto un set solo-grandi-successi (dichiarandolo in anticipo) ma lo ha fatto con una maestria e una capacità di intrattenere da manuale; sempre appropriate le aperture di Vittilucchi (due volte) e di Albert Marzinotto, e guardate che il ruolo dell’apertura non è da sottovalutare, setta un po’ l’onda emotiva della giornata anche se non sembra.Cosa resta? Resta quello che era “il palco della trap”, il Fructis, secondo il branding di quest’anno. E qui torniamo un po’ al discorso iniziale, quello più da “addetti ai lavori”: se per anni Nameless è stato un raccoglitore instancabile dei più grandi nomi rap e trap che venivano a fare il loro compitino (live di mezz’ora, spesso fiacchi o sguaiati) passando poi all’incasso, e il gioco aveva senso perché l’area si riempiva all’inverosimile, i suddetti nomi rap e trap hanno iniziato ad essere sempre più esosi mentre, parallelamente, il loro richiamo non cresceva nella stessa misura dei loro cachet e delle loro pretese. Risultato? Quest’anno si è tagliato parecchio da quelle parti, niente superstar, tranne forse Artie 5ive (non ce l’abbiamo con lui, ci sta simpatico, ma dal vivo continua ad essere scarso) e Kid Yugi, più qualche emergente tipo Glocky o Nerissima Serpe + Papa V, ma di sicuro niente All Star Urban italica come in alcune annate precedenti. Scelta saggia: anche perché un’artista in teoria chiacchieratissima e sulla rampissima di lancio come Lorenzza (si è parlato parecchio di lei, anche polemicamente, dandole dell’industry plant) ha radunato un quinto delle persone davanti al palco rispetto a una Sillyelly (occhio a lei ed al suo hyperpop: ha un immaginario, ha un potere seduttivo, un seme di novità).Le agenzie italiane grosse che si sono buttate tutte sul fenomeno rap e trap moltiplicando così i costi per i promoter a Nameless sono state assenze non rimpiante e non sentite: i numeri alla fine, in questa edizione 2025, sono stati fatti lo stesso, e senza di loro, il comunicato ufficiale recita infatti 90.000 presenze nelle tre giornate del festival e non è troppo distante dalla verità, lì dove invece altri eventi gonfiano i dati. A Nameless si è imboccati decisi la strada del no frills, non si gonfia niente insomma, si risparmia sul necessario, ma senza per questo rivalersi anche sul proprio pubblico utilizzandolo come gallina da spennare, per rimpolpare il brodo della perenne crescita del fatturato: no, l’esperienza-utente continua ad essere ai vertici in Italia, e questo crea un circolo virtuoso per cui sono gli stessi spettatori paganti di Nameless ad essere i primi attori di una atmosfera serena, felice, rilassata, entusiasta, senza rabbia, senza recriminazioni.Dall’anno prossimo, cambia tutto: Nameless cambia sede, ritorna nella natìa Lecco ma su un’area mai prima utilizzata, ed un altro ripescaggio del passato è quello di Barzio, la località della Valsassina dove Nameless è diventato “grande”, dove si svolgerà una edizione invernale del festival. Un’evoluzione notevole ed anche ambiziosa: ma confidiamo nell’oculatezza delle scelte di Alberto Fumagalli e dell’intero team che fa “vivere” il festival. Abbiamo bisogno di gente come loro.…perché è gente come loro che dimostra che si può, forse, ancora resistere senza regalare e delegare tutto ai mega fondi d’investimento alla KKR che prima ti riempiono di soldi e nomi scintillanti, ma poi presentano il conto rendendo il tutto un gioco isterico per ricchi, un gioco dove vincono solo i peggiori e gli altri raccolgono i cocci.The post Nameless 2025: un modo furbo, onesto e sostenibile di essere “grandi” appeared first on Soundwall.