Massimiliano Farci, imperfezioni di un suicidio

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AGI - Sono state le imperfezioni di un suicidio a mettere l’assassino dietro le sbarre. Dopo le prime battute, le indagini “tradizionali” avevano fornito pezzi importanti per arrivare alla soluzione del giallo sardo sulla morte avvenuta il 5 dicembre 2019 di Speranza Ponti, 50 anni, di Uri, nel Sassarese. Però mancavano ancora elementi essenziali: il corpo della vittima, il movente, il quadro complessivo. Bisognava cercare meglio e più a fondo. Roba da esperti, incarico per gli “strizzacervelli” della sezione “Psicologia investigativa” del Reparto analisi criminologiche (Rac) del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (Racis). E oggi, l’Agi è in grado di rivelare il risultato di quel lavoro. Nell’ottobre 2024, per l’omicidio della donna i giudici della Cassazione hanno condannato all’ergastolo, in via definitiva, il suo compagno Massimiliano Farci, nato nel 1967 ad Assemini, nel Cagliaritano. Nel carcere di Alghero l’uomo stava scontando una stessa pena per un altro omicidio commesso alla fine degli anni Novanta. Difeso dall’avvocato Daniele Solinas, godeva di un regime di semilibertà con il permesso di uscire dal penitenziario dalle 7 a mezzanotte e lavorare nella pizzeria che gestiva in città.  Per arrivare alla conclusione degli accertamenti, però, il cammino non è stato immediato, bensì accurato e con qualche colpo di scena. È tutto riportato nelle carte del Rac.  Gli analisti danno il via agli accertamenti ascoltando Farci. La mattina presto del 6 dicembre – racconta l’uomo – esce dall’istituto penitenziario, entra nell’appartamento e si trova di fronte a una terribile scena: Speranza impiccata alla porta della camera da letto. Anni prima lei era stata sposata, da poco si era separata dal secondo partner conosciuto a Genova e quindi era tornata sull’isola, ad Alghero, con la voglia di rifarsi una vita. Nel 2018, lui aveva conosciuto la donna in pizzeria, l’aveva assunta e in seguito tra i due era nato l’amore.Allora perché il suicidio?  Farci precisa ai carabinieri che, in effetti, negli ultimi tempi Speranza era cambiata: sempre depressa, non faceva progetti per il futuro, non curava la sua persona, non aveva amiche ed era in rotta con la famiglia di origine. Fino al tragico epilogo. Tutto chiaro dunque? Pare di no. Agli occhi degli psicologi dell’Arma la storia dell’uomo mostrava incongruenze, buchi e tessere che non s’incastravano tra loro. Davvero la donna era come lui l’aveva dipinta? Bisognava verificare. Per farlo i militari sono ricorsi a due attrezzi del mestiere: vittimologia e autopsia psicologica. E subito veniva fissato un punto: tra i parenti della donna nessuno era morto togliendosi la vita. Poi gli esperti del Rac interrogano nove persone, amici e consanguinei che frequentavano e conoscevano Speranza per capire se anche loro concordassero con il calo di umore e la perdita di ambizioni riferite dal compagno. A verbale, un’amica la ricorda bene ma decisamente diversa: “Voleva aprire una sua attività e aveva pensato di rilevarne una nel centro della città”. Lo stesso con la questione estetica.“Era molto attenta alla cura della sua persona – dice la parrucchiera - sempre ordinata, si faceva i capelli due volte alla settimana”. Medesima cosa con le amicizie. “Con lei – dichiara un’altra conoscente – ci vedevamo quasi tutti i giorni”. In ultimo, i rapporti con la famiglia. La donna chiamava i suoi ogni giorno. L'ultima telefonata – viene confermato ai militari - risale alle 24 ore precedenti alla sua morte. Ed è stato proprio perché all’improvviso non hanno più avuto sue notizie che a metà dicembre 2019 i genitori hanno presentato denuncia di scomparsa alla caserma del posto. Insomma, dagli interrogatori è uscita fuori un’altra Speranza e, soprattutto, particolari decisamente nuovi. Per esempio, è vero che la donna lavorava nell’attività del detenuto in semilibertà – è scritto nei documenti del Reparto - ma non ha mai ricevuto un soldo di stipendio; lui ordinava lavori da fare nel locale, lei pagava e gli prestava pure qualche denaro. È vero che i due facevano coppia, ma Farci prima l’ha fatta vivere dai suoi, poi la donna, esausta, ha dovuto prendere una casa in affitto per entrambi e sempre a sue spese. In aggiunta, è vero che tra loro le cose erano cambiate, nel senso però che la storia d’amore stava per finire. Speranza aveva confidato alle amiche che si era stancata di quella relazione, voleva essere pagata, temeva di finire i suoi risparmi (oltre 50 mila euro) ed era stufa delle notti “segrete” di lui, obbligato a rientrare in carcere. Insomma, gli accertamenti degli specialisti segnano una svolta, scoprono un’altra Speranza. Gli investigatori mettono l’uomo alle corde. Lui tenta di svicolare. Dice che, scoperto il suicidio, ha fatto solo quello che la compagna gli aveva chiesto di fare come suo “desiderio”: essere portata su quel terreno con vista sul promontorio di Capo Caccia. Infatti, è lì che il 31 gennaio 2020 Farci ha fatto ritrovare ai militari il cadavere della donna: in un terreno dalle parti del Monte Carru, nei dintorni di Alghero.  I sospetti sull’uomo si fanno sempre più pesanti. Per giunta, sul cadavere della vittima il medico legale trova due denti incisivi saltati di netto: “L’avulsione – è il referto - depone per un meccanismo produttivo violento”. Inoltre, le forze dell’ordine si accorgono che, morta Speranza, Farci si è dato parecchio da fare: ha usato il bancomat di lei prelevando dal suo conto corrente postale un totale – scrivono i giudici - di cinquemila euro; ha detto ai parenti che la donna aveva disdetto il contratto di affitto ad Alghero, rotto la relazione con lui e preso la nave per Genova. E infine, è entrato sul profilo Facebook di Speranza e ha postato messaggi come se lei fosse all’estero, del tipo: “Eccoci, finalmente”, facendo risultare il testo scritto dall’aeroporto di Barcellona, in Spagna.   Per gli specialisti del Rac il comportamento di Massimiliano Farci ha un significato preciso. “Dopo il delitto – hanno scritto – ha eseguito atti autoconservativi, ovvero tutti quei comportamenti messi in atto dall'autore di un delitto allo scopo di non essere individuato dagli investigatori”. E li hanno citati: “Alterazione della scena del crimine con spostamento e occultamento del cadavere; utilizzo del telefono della vittima dopo l'omicidio; creazione di falsi post su Facebook generati dal profilo di Speranza, facendo credere che la vittima fosse partita e si trovasse all’estero; tentativo di spedire la scheda sim della vittima in Venezuela”, tramite un dipendente della sua pizzeria. E ancora: “Divulgazione di false informazioni sul conto di Speranza inerenti alla sua partenza, alla fine della relazione e alla personalità”. In conclusione: “Elevata capacità organizzativa dell'autore del delitto”.  Caso chiuso.