AGI - Cercano la verità nel lato oscuro dei criminali. “Leggono” emozioni, gesti e silenzi di chi è coinvolto nelle indagini. Decifrano il significato di fatti, luoghi e simboli sulle scene di sangue. Sono i cacciatori nelle tenebre, specialisti della sezione “Psicologia investigativa” del Reparto analisi criminologiche (Rac) del Raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche (Racis) comandato dal generale di Brigata Iacopo Mannucci Benincasa.Usando termini da apparati di sicurezza, l’attività consiste nel definire il profilo psicologico di chi è finito sotto i riflettori delle investigatori. Il lavoro è noto da tempo, da secoli anzi. Ma negli uffici delle forze dell’ordine ha avuto un ruolo a partire dagli anni 70 nelle polizie statunitensi. In Italia, nella vasta struttura dei carabinieri il compito è assegnato ai militari del Rac.“Il Reparto – spiega l’Arma – è stato istituito nel 2004, ha sede a Roma, la sua competenza è nazionale ed è alle dipendenze del Racis, struttura di vertice anche dei Ris”: Reparti investigazioni scientifiche a Roma, Messina, Parma e Cagliari. Il Rac, diretto dal tenente colonnello Cristiano Tomassini, è articolato in due sezioni: “Psicologia investigativa” e “Atti persecutori”, quest’ultima varata nel febbraio 2009.I campi di azione del primo gruppo di esperti sono diversi, ricapitolati dagli stessi militari: dalla ricostruzione di profili psicologici di autori ignoti e vittime alla ricerca di connessioni o analogie con altri fatti delittuosi; dalla raccolta di testimonianze in crimini particolarmente efferati alla redazione dell’autopsia psicologica della vittima; dalla ricostruzione di criminodinamica e criminogenesi del fatto alla formazione in materia di psicologia investigativa, vittimologia e criminologia negli istituti di formazione dell’Arma e in diversi atenei, con i quali c’è anche collaborazione nell’ambito della ricerca. Invece, per quanto riguarda gli “Atti persecutori” gli approfondimenti della sezione si concentrano sugli aspetti analitici e vittimologici dei reati compresi nella violenza di genere.In media, il Rac si occupa di una ventina di casi all’anno. Diversi quelli trattati in passato e tutti famigerati: Yara Gambirasio, Sara Scazzi, Alberica Filo della Torre, Tatiana Tulissi, il “mostro di Firenze e Zodiac”, Giuseppe Raeli “il mostro di Cassibile”, il sedicente Erostrato, Saman Abbas, Benita Gasperini, Sharon Verzeni, Giulia Cecchettin e altri ancora.A “Psicologia investigativa” è tanto il lavoro, ma i superinvestigatori sono pochi, solo cinque. Il primo, che li comanda pure, è il tenente colonnello Anna Bonifazi: ufficiale psicologo, psicoterapeuta, dottore di ricerca in Scienze forensi ed esperta in criminologia, vittimologia e psicologia investigativa. Al suo fianco, il più “anziano” del gruppo, il maresciallo maggiore Maurizio Inangeri, anche lui psicologo, specializzato in psicologia forense, criminologia clinica, psicologia criminale, vittimologia e psicotraumatologia, nonché nell’analisi della scena del crimine e rilievi tecnici. Poi il maresciallo capo Fabio Emozione, lo stesso psicologo, preparato in criminologia e psicologia giuridica. Un altro pari grado è Federica Montagna, stavolta dottoressa in Giurisprudenza e in Scienze e tecniche psicologiche, formata in Scienze criminologiche e forensi, specializzata in rilievi tecnici sulla scena del crimine, in vittimologia e redazione di autopsia psicologica di vittime di omicidi relazionali. Infine, il quinto in campo è il vicebrigadiere Francesco Maria: psicologo, preparato anche in analisi della scena del crimine e rilievi tecnici. Colonnello Bonifazi, vi richiedono Procure o colleghi?“Le Procure non ci chiamano direttamente. Noi siamo a supporto dei colleghi: spesso ci contattano loro con l’assenso della Procura, oppure lo facciamo noi quando il caso ci sembra particolarmente complesso”.Attualmente quanti casi seguite?“Sei: cinque omicidi e una scomparsa”. Perché ha scelto di fare questo lavoro?“Se ti piace la psicologia e sei un ufficiale di polizia giudiziaria puoi mettere in campo preparazione accademica e servizio istituzionale”. Fare questo lavoro ha cambiato il suo modo di vedere fatti e persone?“C’è la voglia di approfondire quello che c’è dietro un evento, la genesi di un comportamento, come mai c’è stato un certo incastro tra vittima e autore, comprendere un po’ oltre i fatti”. Questo è il gruppo di lavoro iniziale?“No, appena arrivata avevo altri militari. Poi si è aggiunto il maresciallo Maurizio Inangeri, esperto, e per tanto tempo siamo stati da soli. Dopo si è aggiunta l’altra collega, Federica Montagna. Il generale ci definiva che siamo una cellula non una sezione. Dopodiché, ho fatto un periodo obbligatorio di due anni - diventati tre - in Infermeria, come vuole l’Arma, presso i Comandi Legione nei capoluoghi di regione. In questo periodo sono subentrati maresciallo e brigadiere. E da un annetto e mezzo fa sono rientrata”.Aumenterà il personale?“Altre due persone farebbero più che comodo. Spesso andiamo sulla scena del crimine. Mentre i nostri colleghi cercano tracce, noi facciamo una valutazione criminologica. Spesso troviamo alterazioni: simulare un furto, un rovistamento in casa, spostare, nascondere, vestire il corpo, lasciare oggetti simbolici sulla scena del crimine, tutti comportamenti che per noi hanno un significato. A volte possono averlo, altre no, sta a noi capire. Se il soggetto è razionale vuole allontanare i sospetti da sé; oppure lo fa perché è un suo bisogno interiore, cosa che può dipendere anche dal tipo di intelligenza del soggetto. È importante anche l’efferatezza o l’inferire dopo la morte, andare oltre, continuare a fare del male a un corpo che si vede che ormai è andato”.