ActionAid è al fianco di chi è ancora senza cittadinanza: col referendum possiamo scegliere i diritti

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di Katia Scannavini* Il potere di scegliere insiemeFatima studia Medicina a Bologna, parla il dialetto emiliano e potrebbe essere la compagna di corso di tuo figlio, di tua nipote, del cugino della tua vicina di casa. Gli occhi di Fatima, pieni di rassicurazione ed empatia, domani potrebbero guardarci al di sopra di una mascherina verde, durante una visita medica. Ahmed, invece, gestisce il bar della tua via e conosce i nomi di tutti i clienti, le loro storie, i loro problemi e come preferiscono il cappuccino. Chen allena la squadra dei giovani del tuo quartiere e insegna che vincere non è tutto, che l’importante è giocare insieme.L’Italia è fatta dalle persone che la vivono. Oggi. Ogni giorno. Non solo da quelle che ci sono sempre state, ma da tutte quelle che ci sono. Che la scelgono, la cambiano, la fanno diventare quello che è. E allora, potere discutere e scegliere che forma vogliamo dare alla cittadinanza interroga profondamente il nostro senso di responsabilità e il nostro protagonismo: il potere di incidere in modo libero e aperto su chi siamo e chi vogliamo essere.Lo strumento a nostra disposizione è proprio il referendum. A quasi ottant’anni da primo referendum in Italia, ci ritroviamo ancora a un bivio. Non è più la forma dello Stato a essere in discussione, ma la forma della cittadinanza stessa.Il diritto di imparare insiemeDa Pierre Bourdieu a Chantal Mouffe è stato tutto un dimostrare che le istituzioni non sono mai neutre. Ogni forma istituzionale incarna, riflette e riproduce rapporti di potere. Il referendum, in apparenza lo strumento più democratico, è soggetto anch’esso a questa logica. Ma può diventare, in determinati contesti, un momento di sospensione del potere, un’interruzione del flusso quotidiano della delega e della distanza. Un’occasione in cui la politica ritorna a essere polis, spazio condiviso.In Svizzera, ad esempio, i cittadini sono chiamati alle urne in media quattro volte all’anno per votare su temi che spaziano dall’ambiente al sistema pensionistico, dall’istruzione alla fiscalità. Non si tratta solo di scegliere: si tratta di apprendere, discutere, dialogare. In questa prospettiva è chiaro, quindi, come il referendum sia una vera e propria palestra relazionale: è in grado di rafforzare il capitale sociale, di alimentare fiducia tra le persone e le istituzioni, di generare uno stile aperto alla riflessione e al confronto.Come mostra il Democracy Index dell’Economist Intelligence Unit, i Paesi che utilizzano il referendum in modo sistematico e deliberativo hanno anche i più alti livelli di political efficacy, che indica il grado in cui un individuo percepisce di avere influenza sulla politica e di essere nelle condizioni di comprendere e partecipare attivamente al processo politico. In altre parole, il senso che la propria voce conta, che la partecipazione non è inutile.Cosa resta quando si usa il voto per manipolare la pauraCertamente non sempre il referendum unisce. Talvolta, anzi, può diventare una trappola. Lo diventa quando viene manipolato, reso strumento di verticalizzazione del potere, non di distribuzione. Quando è utilizzato per scavalcare i corpi intermedi, i parlamenti, i dibattiti.Un esempio recente è quanto è avvenuto con il referendum sulla Brexit del 2016: formalmente regolare, ha prodotto uno degli eventi più polarizzanti nella storia recente del Regno Unito. Le analisi del King’s College e del Centre for the Study of Democracy hanno mostrato come il dibattito pubblico si sia trasformato in una macchina di semplificazione, sospetto e manipolazione.La campagna Leave ha costruito una narrazione fondata su false promesse poi smentite (ad esempio, i supposti 350 milioni di sterline a settimana che il Regno Unito si diceva desse all’Unione Europea e che sarebbero potute essere utilizzate per il sistema sanitario britannico. La cifra non era affatto vera). Dopo il voto, i crimini d’odio sono aumentati del 41%.Tutto questo, non è un dettaglio. È la prova che un referendum, quando strumentalizzato dal potere, può aprire fratture nella convivenza civile, alimentare xenofobia, delegittimare le istituzioni.Il referendum che ci chiede chi vogliamo essereE quindi, come distinguere un referendum che rafforza la democrazia da uno che la indebolisce? Ovviamente non è il quesito, ma la qualità del percorso che porta a rispondere a quel quesito. È la cura con cui si alimenta il confronto, la responsabilità con cui si facilita l’accesso alle informazioni, la capacità di includere le voci più fragili.A quasi ottant’anni dal primo referendum libero svolto in Italia, ci ritroviamo ancora davanti a un incrocio. Chi può far parte della comunità in cui viviamo? Chi ha il diritto di dire noi? Il referendum sulla riforma della legge sulla cittadinanza, sostenuto dalla rete Dalla parte giusta della storia e da organizzazioni come ActionAid, parla esattamente di questo. Parla di ragazzi e ragazze che sono nati o cresciuti in Italia, che qui studiano, parlano, sognano, si innamorano. Ma che per la legge sono ancora invisibili.Nei comitati, nei dibattiti, nelle piazze e sui social avremmo dovuto e potuto confrontarci. Perché è nel confronto che si costruisce la legittimità collettiva, non solo nel momento del voto, ma nel dibattito che lo precede: nel coinvolgimento, nella consapevolezza, nella partecipazione.Eppure, nella realtà dei fatti, ci accingiamo al voto in un percorso silente, senza spazi e senza dibattiti. Dove addirittura si suggerisce, con il tatticismo del potere manipolatorio, di non andare a votare, di non assumersi le responsabilità di essere parte attiva del processo democratico.E allora, cosa significa andare alle urne l’8 e il 9 giugno? Significa, ancora una volta, dire chi siamo. Dare voce a quell’identità plurale che è la nostra origine più autentica. Significa scegliere, insieme, quale paese vogliamo continuare a costruire. Votare sì oggi significa fare quello che altri hanno fatto nel 1946: aprire la democrazia, allargarla, renderla più giusta.*co-segretaria generale ActionAid ItaliaL'articolo ActionAid è al fianco di chi è ancora senza cittadinanza: col referendum possiamo scegliere i diritti proviene da Il Fatto Quotidiano.