Decreto Sicurezza, la stretta sulla cannabis light mette in ginocchio il settore: «Chiusi da aprile per paura»

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«C’è stato un passaggio un po’ più frequente da parte della polizia locale, hanno iniziato a fotografarci mentre eravamo al lavoro qui, sembrava che ci trattassero un po’ come spacciatori mentre in verità non facevamo niente di male». Lo racconta a Open Francesco Nicola Spataro, uno dei dipendenti dei tanti negozi che vendono cannabis light e che, da quando il decreto Sicurezza è stato convertito in legge dal Senato, rischiano di chiudere definitivamente i battenti. «Viviamo nella paura, nell’incertezza, non ci sentiamo molto aiutati, né capiti», ci spiega. Tra i punti più contestati del decreto Sicurezza c’è infatti l’articolo che disciplina il sostegno e la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa.Cosa cambia con il dl SicurezzaFortemente voluto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, che ha la delega all’antidroga, l’articolo stabilisce il divieto di «importazione, cessione, lavorazione, distribuzione, commercio, trasporto, invio, spedizione e consegna delle infiorescenze della canapa coltivata, anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti o costituiti da tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati». In sintesi: possiamo dire addio al modello coffee shop. Ma cosa c’entra con la cannabis light con la questione sicurezza? La ratio dietro all’introduzione di questa norma è quella di «evitare che l’assunzione di prodotti da infiorescenza della canapa possa favorire – mediante alterazioni dello stato psicofisico – l’insorgere di comportamenti che possono porre a rischio la sicurezza o l’incolumità pubblica o la sicurezza stradale».Come si è arrivati alla stretta sulla cannabisMa come si è arrivati alla stretta sulla cannabis light? Nasce tutto da un vuoto normativo della legge 242 del 2016, che promuoveva l’uso della canapa per fini alimentari, tessili, cosmetici e bioedilizi. Il margine di tolleranza per il tetraidrocannabinolo (Thc), il principio attivo con effetti psicotropi contenuto nella pianta, era dello 0,2 per cento, ma nel 2018 la Corte di cassazione lo aveva alzato a 0,6 per cento. L’obiettivo della legge del 2016 era quello di regolamentare la coltivazione della canapa per fini industriali, ma l’assenza di riferimenti alle finalità ricreative ha creato, appunto, un vuoto normativo su cui si è sviluppato un settore di migliaia di aziende, impegnate nella produzione e nel commercio di infiorescenze della cannabis light. Quello che ha fatto il governo Meloni è stato inserire la cannabis light nella sua battaglia contro le droghe, definendola un incentivo al consumo di stupefacenti ed equiparando i rivenditori ufficiali a spacciatori. Come sottolineano diversi esperti, nonché la stessa Cassazione, si tratta di una presa di posizione antiscientifica. La componente psicoattiva all’interno della sostanza (il Thc) è di fatto assente, mentre a dominare è il cannabidiolo (cbd), principio attivo che crea rilassatezza ed è usato anche per scopi terapeutici.Il giro di affari del settore«Il decreto Sicurezza ha comportato ovviamente la chiusura di questo negozio. Siamo rimasti a casa io, più altri due miei colleghi e il mio capo ovviamente, che comunque sta continuando a pagarci gli stipendi di tasca sua, perché non abbiamo aiuti da nessuno», ci racconta Francesco. Come il suo negozio, ad essere in ginocchio c’è un intero settore, che oggi conta circa tremila imprese, quindicimila lavoratori (che nei momenti di picco arrivano a trentamila), e un fatturato che si aggira sui cinquecento milioni di euro all’anno. «Noi da un anno a questa parte non abbiamo mai chiuso, non sentendoci meno di altre nazioni in cui addirittura il Thc è legale. Non ci siamo mai sentiti di fare qualcosa di male. Dall’11 aprile, quando la situazione è diventata più concreta, è stata la prima volta in cui abbiamo chiuso per paura». Ora dovranno capire come muoversi, se reinventarsi. Sugli scaffali del negozio si trova di tutto: biscotti, bibite, patatine, felpe, cappellini e zainetti di scuola, sempre «marchiati» con una grande foglia verde. Ma basteranno per rimanere aperti? È sostenibile? «Vorremmo capire anche se essere parte dell’Unione Europea porta dei vantaggi o se è solamente un nome. In questo momento pensiamo sia solamente un nome», confessa Francesco. «I nostri clienti erano sorpresi e anche un po’ schifati, se vogliamo essere onesti. Sembrava come se non riconoscessero il loro Stato, come se questo non fosse lo Stato in cui sono abituati a vivere, uno Stato libero come crediamo debba essere».L'articolo Decreto Sicurezza, la stretta sulla cannabis light mette in ginocchio il settore: «Chiusi da aprile per paura» proviene da Open.