Mauro Corona dice che suo padre Meni «quando era ubriaco picchiava prima noi, poi mia madre Lucia. Tre volte la mandò in coma. Un giorno lei se ne andò. La vidi salire su un furgoncino rosso. Io avevo sei anni, mio fratello Felice cinque e Richetto, il più piccolo, solo quattro mesi. Era il 1956. Sarebbe tornata sette anni dopo». In un’intervista al Corriere della Sera lo scrittore spiega che se ne andò «perché non reggeva più le botte di mio padre, la miseria. Tornò subito dopo il disastro del Vajont. Lo sapemmo da zia Cate. Un giorno ci chiamò e ci disse: “Canais, l’è torné vostre oma”, bambini, è tornata vostra madre».La prima voltaCorona racconta il suo battesimo del fuoco: «Avevo dodici anni quando sparai a un camoscio. Non bastava: la prima volta dovevi anche bere il sangue dell’animale. Era un rituale, come quello del taglio delle code dei galli forcelli. Sono a forma di lira, le vendevamo alle bande musicali del Tirolo, le mettono ancora oggi sui cappelli». Racconta della sua prima scalata, quella sul monte Cevìta: «La vetta era un approdo sacro. Mi aspettavo che una volta lassù avrei visto il nulla, che finalmente mi sarei liberato del mondo, ma no: in cima si vedevano altre vette, altre montagne. Capii che scalare è non finire mai».Il dolore fisicoNel colloquio con Aldo Cazzullo e Roberta Scorranese spiega di aver paura «del dolore fisico, perché lo conosco. Avevo un amico che non reggeva più nemmeno la morfina, si stava contorcendo dal male. Bestemmiai e dissi al medico: “Sparagli, sta soffrendo troppo”. Mi prese per matto, ma io amavo il mio amico e so che cosa significa quando precipiti giù dalla montagna e ti rompi le costole, una spalla».Il vinoPoi si passa a parlare di una sua grande passione: il vino. ««Sono ancora vivo. Ma ci sono stati anni in cui sono arrivato a scolarmi da solo una intera bottiglia di whisky al giorno dopo essermi fatto dodici birre e un litro di vino. Dai venti ai ventotto anni, quasi tutti i giorni così». Ma ha una fortuna: «Quando bevo poi al mattino non mi sveglio male. E brucio, brucio tanto. In quegli anni folli, nelle mattine dopo le ciucche, andavo a fare tre ore di corsa in salita. O a scalare una montagna. A un certo punto, sei anni fa, smisi di bere. Ma il problema è che mi annoiavo». Poi ha smesso di bere, dice, ma si annoiava: «Perché io sono uno di paese, uno che vive di rituali semplici: la mezza marsala con l’amico, quello che arriva e che ti racconta della vacca che ha partorito. Sono queste le cose che io temo di perdere con la morte, quelle piccole abitudini che ti mantengono vivo».Smettere e ricominciareE quindi ha ricominciato: «Arrampicavo con Manolo (Maurizio Zanolla, pioniere dell’arrampicata libera, ndr ) e dai un bicchiere e dai un altro. Ho provato ancora a smettere, negli anni successivi, ma niente». Ma dice che l’alcool aiuta a scrivere: «Molti dei miei libri sono nati così. Storia di Neve è nato da undici mesi di sbornie notturne». E gli hanno tolto la patente, naturalmente per guida in stato di ebbrezza: «La devo riprendere, in questi giorni ho gli esami». In tutto di processi ne ha avuti «Una quindicina. Tre per bracconaggio, due per ubriachezza molesta, uno per bestemmie in luogo sacro e uno per sequestro di persona, vado a memoria». Poi spiega l’accusa di sequestro di persona: «Ero giovane e bevevo tanto. Decisi che la notte di Natale avrei portato in chiesa un ateo. Ma lui non ci voleva venire. Lo trascinai dentro a forza e mi misi a bestemmiare. D’altra parte, portando un ateo in chiesa avevo fatto opera buona secondo i preti, no? Ma il processo più grave fu quello per danneggiamento ai beni dello Stato e terrorismo».Molotov e MeloniAnche quest’accusa viene da una sua bravata: «Da queste parti negli Anni Ottanta vinceva sempre la Dc, io ero di sinistra e così lanciai delle molotov nelle urne. Avevo la tessera di Rifondazione comunista». L’ultima volta per chi ha votato? «Per Michele Santoro». E Giorgia Meloni le piace? «Lei sì, meno le persone di cui si circonda. Ho anche il suo cellulare personale, ogni tanto ci mandiamo messaggini». Infine, spiega che dorme poco: «Tre ore per notte, più o meno. Dormo dalle cinque del mattino alle 8. Che cosa faccio prima? Leggo, guardo lo sport in televisione». Scrive da sempre a mano: «Nella mia bottega conservo tutti i manoscritti, ordinati e rilegati. Purtroppo li mando così all’editore». Ma non si reputa un grande scrittore: «No, perché quando leggo i grandi mi sembra di essere piccolo piccolo. E non mi rileggo mai, mi manca il coraggio».L'articolo Quella volta che Mauro Corona portò a forza un ateo in chiesa: «Sono stato processato per sequestro di persona¨ proviene da Open.