di Giuseppe Gagliano –Il recente annuncio dell’Etiopia sul completamento della Grand Ethiopian Renaissance Dam (GERD) ha risvegliato vecchie tensioni e dato nuovo slancio a una delle dispute geopolitiche più delicate dell’Africa. Il Cairo, come prevedibile, ha reagito con durezza, accusando Addis Abeba di aver imposto un “fatto compiuto” e di minare il fragile equilibrio idrico della regione.“L’Egitto respinge categoricamente qualsiasi tentativo di sviluppo in Etiopia a scapito dei diritti dei Paesi a valle”, ha dichiarato il ministro egiziano delle Risorse idriche Hani Sewilam.La diga GERD, con i suoi 1,8 chilometri di larghezza e 145 metri di altezza, è destinata a cambiare il volto energetico dell’Etiopia. A pieno regime, potrà generare più di 5.000 megawatt di energia, raddoppiando la produzione nazionale e rispondendo ai bisogni di un Paese di 130 milioni di abitanti, metà dei quali vive ancora senza elettricità. Ma per l’Egitto, che dipende dal Nilo per il 97% del suo fabbisogno idrico, il progetto è percepito come una minaccia esistenziale.Nonostante le rassicurazioni del premier etiope Abiy Ahmed, secondo cui “la diga Renaissance non è una minaccia, ma un’opportunità condivisa”, al Cairo e a Khartoum domina lo scetticismo.Dietro la disputa si intravedono anche le mani invisibili di attori esterni: dalla Cina, che ha finanziato ampie porzioni del progetto GERD, agli Stati Uniti, più volte chiamati a mediare senza successo.La diga del Nilo non è solo un’opera ingegneristica. È un simbolo di un’Africa che vuole emanciparsi dalle dipendenze storiche, ma anche un detonatore potenziale di conflitti regionali. Se la diplomazia fallirà, il rischio è che la prossima guerra non sarà combattuta per il petrolio, ma per l’acqua.