Cobolli e l'arma vincente in più... il padre coach

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AGI - Se Flavio Cobolli, rifilando un 6-2 6-4 6-2 al numero 17 del mondo Jakub Mensik, a 23 anni ha conquistato per la prima volta gli ottavi in uno Slam atterrando senza turbolenze (finora non ha perso un set) sull’erba dei grandi, quella della seconda settimana di Wimbledon, il merito non è solo del suo drittone, del suo servizio e delle sue gambe, ma anche di qualcuno che ha il suo stesso DNA: il papà Stefano, 48 anni, che è stato n.236 del ranking (in carriera vanta una vittoria su Stanislas Wawrinka) e che da coach di suo figlio quest’anno l’ha portato a vincere i suoi primi due titoli (l’ATP 250 di Bucarest e, soprattutto il 500 di Amburgo, in finale su Rublev) nonché al suo best ranking (era 24 all’inizio di Wimbledon, dopo le prodezze sull’erba dell’All England Club a fine Wimbledon sarà nei primi 20).Un legame di famiglia e passioneLi unisce il tennis e la passione giallorossa: da bambino Flavio giocava nelle giovanili della Roma, pupillo di Bruno Conti, poi scelse la racchetta. Stefano l’ha seguito nei suoi primi passi, poi ci fu una separazione e quindi, cinque anni fa una felice reunion con allenamenti rigorosi alla Rome Tennis Academy. Ha raccontato che provava brividi più forti quando era un genitore come tanti che vedeva suo figlio giocare a pallone, e che adesso riesce a contenerle perché sono emozioni da allenatore, il suo mestiere. Tant’è che ci tiene ad essere definito "coach" di Flavio Cobolli prima che padre.Padri e figli nel tennisNon c’è bisogno di scomodare Freud per capire che il rapporto padre-figlio, già complicato di per sé, può diventare molto a rischio quando si tratta di vite da campioni, di vittorie, sconfitte e anche di soldi: in ambito tennistico significa girare il mondo insieme, condividere alberghi, campi, ristoranti e soprattutto, affidarsi alle decisioni di chi ti dava il bacio della buonanotte, ti accompagnava all’asilo e poi è diventato lo stratega di allenamenti e partite. Il passato ci racconta storie familiare-tennistiche da romanzo (vedi 'Open' di Andre Agassi), con padri-padroni come quelli con cui hanno avuto a che fare anche Mary Pierce e Marion Bartoli.   Il simbolo contemporaneo di rapporti malsani padre-figlio è Stefanos Tsitsipas, che passerà alla storia anche per la sua scenata in campo lo scorso anno in Canada mentre stava perdendo contro Nishikori: cacciò dal campo il padre coach Apostolos e quindi annunciò ufficialmente la sua detronizzazione dal box chiarendo: "D’ora in poi, il suo ruolo rimarrà entro i confini del ruolo paterno, e solo quello. Entrambi siamo d’accordo e speriamo di concentrarci prima sul nostro lato umano, poi sul resto". Non che il nuovo coach Goran Ivanisevic sia riuscito a fare meglio di Apostolos (si è appena scagliato contro Tsitsipas dopo la sua sconfitta al primo turno di Wimbledon a colpi di "Mai visto un giocatore così impreparato, sono tre volte più pronto io nonostante il ginocchio che mi ritrovo") ma almeno la famiglia è salva.Il valore del padre coachIl rapporto tra i due Cobolli, come quello tra il giovane Federico Cinà e suo padre Francesco, per anni nel box di Roberta Vinci, raccontano che il padre coach può essere invece un valore aggiunto. Soprattutto quando il primo non è un esperto di tennis improvvisato (vedi Sergio Giorgi, il padre di Camila passata dai campi di gioco all’Isola dei Famosi) ma un ex tennista come Cobolli e Cinà Senior, Bryan Shelton coach di Ben che dispensa sorrisi dai box, Petr Korda (coach del figlio Sebastian), Christian Ruud, che segue suo figlio Casper o Aleksandr Michajlovič Zverev, padre di Sasha. Basta darsi delle regole: "Fuori dal campo non sto mai con mio padre, ne abbiamo abbastanza uno dell’altro quando siamo in campo", ha raccontato Zverev oggi però in grande crisi agonistica-esistenziale.   Un equilibrio costruito nel tempoAnche Cobolli senior ha sempre cercato di lasciare spazi privati a suo figlio: in passato il loro rapporto non è stato sempre semplice (capitava che Cobolli senior allontanasse il figlio dal campo durante gli allenamenti o che se ne andasse lui). Oggi in casa, hanno raccontato sia Flavio sia Cinà padre, non parlano mai di tennis: "se litighiamo in campo le cose restano lì". L’ironia che a Cobolli junior non manca, come dimostrano le sue cronache sulla casa da incubo a Wimbledon (niente aria condizionata, poi lo sfratto improvviso) è altrettanto importante: il figlio stuzzica il padre paragonando i suoi risultati a quelli raggiunti da lui adesso. E poi c’è un collante inscalfibile: la Roma che padre e figlio, coach e campione, guardano ovunque, in qualsiasi parte del mondo si trovino.