LA NUOVA RUSSIA – ISRAEL J. SINGER

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Israel Joshua Singer, La nuova Russia, traduz. Marina Morpurgo, con una Nota di Francesco M. Cataluccio, a cura di Elisabetta Zevi, Biblioteca Adelphi, 2024“Ho visitato numerose città e incontrato ebrei di ogni sorta: comunisti e benestanti, pii ed eretici, mercanti e artigiani, operai ed impiegati. L’argomento che più sta a cuore, quello di cui tutti parlano, è quel che si deve fare con i giovani.La domanda grava, come in passato, con tutta la sua soverchiante pesantezza: “che ne sarà dei nostri figli?”La nuova Russia è una raccolta di reportage che Israel Joshua Singer, non ancora emigrato in America ed ancora abitante in Polonia scrisse negli ultimi mesi del 1926 e nei primi del 1927 viaggiando nella Russia sovietica come corrispondente del giornale americano yiddish Forverts (Avanti) di New York.Lenin è morto da un anno, la NEP (Nuova Politica Economica) è terminata da tempo mentre va avanti l’imposizione della socializzazione forzata nelle campagne e nelle città, Trotskij e Kamenev – i principali protagonisti ebrei della rivoluzione – sono stati politicamente eliminati. Stalin ha vinto e sta prendendo il pieno controllo anche della vita sociale e culturale sociale sradicando tutto ciò che non è perfettamente aderente con la linea del partito così come l’arte e la letteratura non conformista che era spesso prodotta da ebrei e dunque anche ciò che restava della tradizione ebraica dopo la guerra civile.Singer non era un viaggiatore sprovveduto. Conosceva bene persone e ambienti della Russia ebraica. Nato nella Polonia ridotta a provincia della Russia, vissuto qualche anno a Kiev e a Mosca e rifugiatosi poi di nuovo a Varsavia nel ’21 era perfettamente in grado di comprendere lo scenario in cui si muoveva. Ma era il corrispondente del quotidiano socialista yiddish di New York con il quale lavorò tutta la vita ed era stato egli stesso un protagonista di quei gruppi culturali ebraici che avevano cercato la libertà dalla tradizione di famiglia e l’ideale della giustizia sociale nella militanza socialista e che dunque non potevano guardare con antipatia l’URSS senza smentire la propria vita.Nel suo viaggio I.J.Singer teneva soprattutto a verificare come stavano vivendo le comunità ebraiche storicamente radicate nei territori sovietici.Giunto dalla Polonia a Mosca dove si ferma alcuni giorni, Singer si sposta poi per visitare le colonie ebraiche e le fattorie collettive in Bielorussia ed Ucraina. Si sofferma molto sulla capitale Kiev della quale scrive: «A Kiev non c’è nulla di speciale. Questa città ha subito un’ingiustizia. Abituata per anni a essere capitale, non riesce ad accettare il nuovo ruolo di città di provincia, quindi è triste, fredda». Si ferma nelle grandi città (Mosca, Kiev, Minsk, Odessa), e in tanti villaggi delle comunità ebraiche, percorre la steppa, giunge in Crimea per poi concludere il viaggio a Mosca e da lì tornare in Polonia.E’ una raccolta nella quale, parlando di ebrei, ebraismo, cultura yiddish, della vita culturale ebraica affiora – un po’ sottotraccia ma decisamente presente – anche il tema dell’antisemitismo.I risultati di quella che ho chiamato “verifica” sono contraddittori. Le testimonianze che Singer aveva raccolto, le conversazioni nelle quali si era intrattenuto nei villaggi e nelle città e nelle diverse regioni trasmettevano esperienze personali diverse. Effettivamente, il regime non riusciva ancora a controllare tutto, anche se i segni della sua pervasività erano molto evidenti e noi che li apprendiamo attraverso Singer sappiamo oggi che erano in arrivo i piani quinquennali di Stalin, il periodo del Terrore, il ritorno di un violento antisemitismo. Dalla scrittura di Singer però emerge – nonostante egli non cerchi di edulcorare nulla – ancora un certo ottimismo.Non mi addentro ulteriormente nell’analisi di questi testi (anche se mi piacerebbe farlo) perché la Nota dal titolo Uno scettico nel paese dei Soviet di Francesco Matteo Cataluccio che chiude il volume Adelphi esplora a fondo contesto, situazione storica, collegamenti con altre opere di Israel Singer e tra l’altro fa anche l’interessante confronto con un’altra raccolta di articoli, e cioè quelli che un altro grande scrittore ebreo, Joseph Roth, scrisse per il Frankfurter Zeitung per conto del quale viaggiò in Russia nel 1926, proprio nello stesso anno di Singer. A questo proposito, voglio ricordare che il reportage di Roth il cui titolo è Ebrei erranti è presente nel catalogo Adelphi tradotto da Flaminia Bussotti. Un piccolo (132 pagine) ma denso libro che meriterebbe, anche lui, un post dedicato…Il testo di Cataluccio – una vera e propria Postfazione che considero imprescindibile – costituisce un contributo prezioso per acquisire una comprensione approfondita dei contenuti di La nuova Russia. Non mi dilungo dunque a ripetere cose già dette, molto meglio di quanto potrei fare io, da Cataluccio.Da parte mia, solo un paio di riflessioni molto personali che la lettura di questi testi ha suscitato in me.Tra i molti fattori che influiscono sul modo di reagire alla lettura di qualsiasi testo sono convinta che molto peso ha il “quando” un lettore le si accosta e il “dopo quali altre letture”.Per me, leggere questo La nuova Russia conoscendo già praticamente tutta l’opera narrativa di Israel J. Singer pubblicata in italiano ed in particolare quell’ East of Eden pubblicato per la prima volta in inglese nel 1939 (le date sono importanti) e disponibile da qualche anno anche in italiano con il titolo A Oriente nel giardino dell’Eden (Bollati Boringhieri, traduz. Marina Morpurgo) e soprattutto i libri di Vasilij Grossman ed in particolare Ucraina senza ebrei (Adelphi, traduz. Claudia Zonghetti) è risultato particolarmente impegnativo, emotivamente.Del romanzo di Singer avevo parlato anni fa qui su NSP.I reportage sulla “nuova Russia” sono del 1926-27, il romanzo è del 1939. Singer, dicevo, conosceva bene la situazione della progressiva stretta che lo stalinismo andava esercitando. Nei reportage c’è dunque spirito critico, realismo ma Singer come dicevo mostra anche – ancora – ottimismo e speranza. Nel romanzo del 1939 invece non troviamo più nulla di tutto questo: la storia del protagonista ebreo Khaver Nachman (“il compagno Nachman”) è – come scrivevo anni fa – quella di una Grande Illusione e di una devastante Grande Disillusione: decisamente, la Russia dei Soviet nel romanzo del ’39 non è l’Eden.I reportage di Singer ne La nuova Russia parlano infatti di una Bielorussia, di un’Ucraina in cui, alla fine degli anni ’30 gli ebrei che costituiscono gran parte della popolazione di quei luoghi, le loro attività lavorative e culturali, le loro associazioni sono numerose e presentissime e pur con tutti i problemi che negli incontri e nelle conversazioni con la gente del luogo emergono, l’immagine complessiva che ne viene fuori è vitale e vivace, si percepisce una convivenza degli ebrei con chi ebreo non è, tutto sommato pacifica e dalla quale – perché no? – tutti, in fondo, traggono profitto.Leggere però queste pagine con gli occhi e la consapevolezza di oggi, conoscendo tutto quello che è successo dopo (a cominciare dalla tragedia dell’Holodomor, la carestia sovietica avvenuta in Ucraina sotto il regime di Stalin dal 1932 al 1933), pensando a quell’ Ucraina senza ebrei di cui parla Grossman dopo la Shoah, e pensando anche a quello che sta succedendo oggi tra Russia e Ucraina… beh, per me non è stata una passeggiata e quel “che ne sarà dei nostri figli?” con cui si chiude la citazione con cui ho iniziato questo post non poteva che evocare le tragedie che verranno.Chiudo con una citazione dalla Nota di Cataluccio che mi sembra esprimere molto bene il senso di questi reportage sull’URSS di quegli anni e che personalmente mi fa pensare anche alla Federazione Russa di oggi ed all’attuale capo del Cremlino che nel parlare comune viene spesso – e non a caso – chiamato “lo Zar”…«Israel Joshua ripete spesso che nell’Unione Sovietica si mescolano vecchio e nuovo. Guardando la torre del Cremlino, già allora coglie bene come la Russia sovietica sia la continuazione delle ambizioni imperiali del passato zarista: ‘Accanto alla bandiera rossa illuminata dalla luce elettrica, il simbolo della Russia comunista, che sventola nella notte sulla città come una torcia accesa, innalza il suo grido verso il cielo la vigorosa aquila bipede, il simbolo della Russia del passato, degli zar e della Chiesa ortodossa’».  Ennesima dimostrazione, per quel che mi riguarda, che ciò che dice o non dice un libro non dipende solo dal suo autore o da quello che c’è scritto ma dagli occhi, dalle conoscenze, dal momento della vita in cui questo o quell’altro lettore si avvicina alle sue pagine ed a quell’autore.