SÁNDOR MÁRAI – DIARI. GLI ANNI DELL’ESILIO 1949-1967

Wait 5 sec.

Sándor Márai, Journal – volume 2 sur 3. Les années d’exil 1949-1967, traduz. dall’ungherese al francese di Catherine Fay, pp. 624, Ed. Albin Michel, 2021Il primo volume dei Diari di Sándor Márai pubblicati dalla casa editrice francese Albin Michel sugli “anni ungheresi” si concludeva con le amare parole di una nota datata Napoli, Posillipo, 31 dicembre 1948 in cui lo scrittore chiude il suo bilancio annuale affermando che la sua unica certezza, ormai, è che le porte dell’inferno si sono aperte, nel suo paese e nel mondo:Saint-Sylvestre. Je n’ai pas envie de faire de bilan.Les portes de l’enfer se sont ouvertes, dans mon pays et dans le monde.Je ne possède plus rien d’autre que cette certitude. C’est pour elle que je dois vivre.Dopo Gli anni ungheresi che copriva il periodo 1943-1948, questo secondo volume segue dunque il percorso dell’autore de Le braci attraverso i suoi anni di esilio.Sándor Márai vi descrive con una sincerità disarmante la sua vita di senza patria in Italia, la sua speranza di una vita migliore a New York, la sua ricerca letteraria, sempre evocando con grande lucidità la situazione mondiale, dal regime filosovietico in Ungheria all’inizio della Guerra Fredda.Si tratta di un diario concepito come un’opera destinata anche alla pubblicazione e per questo rielaborata dall’autore e nella quale le parti relative agli aspetti più privati – oggi resi disponibili – erano stati allora eliminati.Scrittore celebre prima della seconda guerra mondiale, Sándor Márai negli anni ’20 ha lavorato in Germania ed in Francia, ha scritto romanzi che hanno avuto parecchio successo, è uno scrittore affermato e famoso. A Budapest durante la Seconda Guerra Mondiale, vive l’invasione della Germania nazista nel marzo del 1944, poi il lungo assedio di Budapest da parte dei sovietici e la “liberazione” da parte dell’Armata Rossa nel febbraio del 1945. Considerato dal regime filosovietico che si è instaurato in Ungheria un nemico di classe, messo nelle condizioni di non poter più pubblicare ed avendo perduto tutto a causa dei bombardamenti, nel 1948 Márai si vede costretto a lasciare l’Ungheria e ad auto esiliarsi.Il primo volume, del quale ho parlato >>qui si chiudeva con la partenza per l’esilio e l’arrivo a Napoli. Questo secondo volume parla degli anni dell’esilio dal 1949 al 1967; viene dunque coperto un periodo più esteso che si apre a Napoli-Posillipo, prosegue con una lunga permanenza negli Stati Uniti e l’acquisizione della cittadinanza americana, con un soggiorno temporaneo nell’Italia del Sud (a Salerno) nel 1967 ed il ritorno – questa volta consapevolmente definitivo – negli USA.Eccoci dunque a Napoli.Per Márai le tragedie della guerra e l’affermarsi in Ungheria dello stalinismo lasciano adesso il passo alla problematica dell’esilio, alle difficoltà dell’adattamento alla nuova situazione, ad un mai sopito sentimento di nostalgia e ad una condizione di alienazione e spaesamento mai del tutto superata.Gli eventi esterni hanno molto meno peso e sono meno presenti di quanto lo fossero nel volume precedente. Il Diario è adesso costituito principalmente da notazioni che riguardano la vita intellettuale dello scrittore, dalle concise analisi delle sue numerosissime letture, dai problemi che incontra per le opere narrative che intende scrivere o sta scrivendo o in cui si imbatte per pubblicare i suoi romanzi fuori dall’Ungheria. Ci sono però anche molti elementi che riguardano la vita quotidiana, descrizioni e commenti sui suoi viaggi, su musei o concerti, sulla scoperta della vita americana e sulle differenze tra Europa e Stati Uniti.E’ proprio il prevalere di quella che mi piace chiamare la “vita interiore” sugli avvenimenti esterni e le numerosissime riflessioni sullo svolgimento della vita materiale di tutti i giorni che mi spinge adesso a parlare di questo secondo volume privilegiando la pista di un discorso centrato più su nuclei tematici che predominano nel Diario piuttosto che dare un resoconto – come dire – cronachistico e cronologico di questi anni di esilio.L’Italia, l’Europa, l’AmericaMárai e la moglie hanno adorato l’Italia; il rapporto con gli USA si è rivelato invece molto più complicato ed è interessante vedere due europei come loro, non più giovani ma non ancora molto anziani scoprire l’”American way of Life”.Gli anni in Italia, che li accoglie dal 1948 al 1952 costituiscono la parte migliore della vita dello scrittore fuori dalla sua amata Ungheria. E’ affascinato dalla baia di Napoli, dalla mitologia; intreccia la sua vita a Napoli con le letture di cui rende conto nel suo diario.Che ama l’Italia lo ripete più volte“En Italie, j’aime tout. […] Il n’y a pas cette tension particulière, parfois douloureuse qui flotte toujours « chez nous ». Il y a plus d’équilibre, plus d’humanité. C’est un foyer, un jardin féerique, un éden.”Gli italiani gli piacciono nonostante le loro imperfezioni masaggiamente avverte di non fidarsi troppo di loro proprio perché sono uomini, sono esseri umani“Les Italiens, je les aime de plus en plus, quelles que soient leurs imperfections constitutionnelles. Le paysage est plus humain et les hommes plus humains aussi. Juste une chose: on ne doit pas se fier à  eux; justement, parce que ce sont des hommes et qu’ils sont humains.”Sono tante, le pagine dedicate a Napoli: Napoli e il miracolo di San Gennaro (il “miracolo napoletano”), parla lungamente delle catacombe in pagine molto belle che a me hanno anche ricordato quelle di Ortese ne Il mare non bagna Napoli e quelle di Malaparte in Kaputt. Gli piace il cibo, l’alimentazione italiana ma non quella dei ristoranti ma la vera, gli piace cioè il cibo che gli italiani mangiano nelle loro case, con tutte quelle spezie ed erbe aromatiche “che mettono dappertutto”. Curiosando in cucina, dice, “indovino i segreti dei loro stomaci”A Napoli si trova bene, non vorrebbe lasciarla, ma pensando soprattutto al futuro di János, si arrovella sulla decisione da prendere: rimanere in Italia – preferibilmente a Napoli – e cercare di ricostruire qui un’esistenza da scrittore oppure emigrare negli USA e cercare un qualsiasi lavoro manuale che possa garantire alla famiglia una stabile sicurezza economica?La patria, la lingua certo gli mancano ma mentre in Europa nonostante tutto si sente “a casa”, e non un emigrante in America, pensa, sarebbe e si sentirebbe di certo un emigranteIl ne faut pas faire les choses à  la hâte. Nous partirons en Amérique mais sans presser les événements. Il faut partir lentement. Et revenir, dès que possible. Et toujours garder le souvenir de ce silence, de la lumière, de tous ces parfums, ces fruits, poissons, vins, fleurs, le souvenir de ces êtres, pauvres, beaux et tristes, aux yeux brillants comme ceux des animaux, le souvenir de leur dignité et de leur misère. Il ne faut pas aller trop vite, pour partir d’ici, du Pausilippe, des rivages de la Méditerranée… Parce que ce qu’il y a ici n’existe nulle part ailleurs“L’Italia mi ha fatto due grandi regali” aveva scritto il 31 dicembre 1949. I due “regali” erano stati un permesso di soggiorno a tempo indeterminato che gli dava la possibilità di rimanere in Italia quanto lui volesse – anche per tutta la vita – e successivamente un lasciapassare da apolide che gli permetteva di uscire e rientrare a suo piacimento dal territorio italiano.“questi due regali sono immensi ed io ne sarò eternamente riconoscente”, scrive.Parallelamente alla sua vita intellettuale non ci nasconde le sue difficoltà finanziarie quotidiane, il denaro insufficiente, i problemi che gli vengono da editori stranieri che approfittando dei cavilli e regolamenti finanziari internazionali cercano in ogni modo di sottrarsi ai pagamenti di quanto gli devono. La precarietà di questa situazione lo spinge a partire per gli Stati Uniti.Nel 1952 partenza dunque per New York a bordo del piroscafo Costituzione. L’addio a Napoli e Posillipo è struggente e lo voglio riportare per intero (i grassetti sono miei):L’adieu à Naples et au Pausilippe est le plus douloureux que j’aie jamais vécu de ma vie avec qui et quoi que ce soit. Ces trois années et demie passées en Italie, sur le Pausilippe, furent le plus beau cadeau que la vie m’ait accordé. J’aimais tout là-bas et je savais aussi, que, à leur façon, ces Italiens du Sud m’avaient accepté. Beaucoup d’entre eux ont pleuré, dans le quartier, dans la maison, d’autres m’ont serré la main, le marchand de vin, le marchand de charbon, le poissonnier. Dans les derniers jours, j’ai compris pourquoi il était si difficile de partir d’ici. Le paysage, les hommes et l’Italie vont rester en place, c’est vrai. Mais ces trois dernières années et demie furent pour moi un cercle enchanté, que j’ai brisé d’un geste violent. […]L’America e gli americaniTrova New York “bella e terrificante, bella ed umana”, l’appartamento a New York, benché non sia molto grande lo vive finalmente come una vera casa, la prima dopo quella di Budapest ma in cui – a differenza di Posillipo – manca la gioia e la dolcezza del vivere.E’ catturato dal fascino di quello che chiama “la dismisura”, “l’esagerazione” e “la mostruosità” dell’America ma trova insopportabili il clima, il rumore e…gli americani ma, a parte queste tre cose, dice, qui si può vivere. Però è noioso e costa caro…Gli risulta difficile affezionarsi all’America soprattutto a causa degli americani che trova rozzi e piuttosto ignoranti… “Amo gli italiani […] non amo gli americani. Perché sono americani” Ad un certo punto si rende conto che camminando per New York non c’è un solo posto in cui gli venga voglia di fermarsi o semplicemente guardarsi attorno. Si sente più a casa nei sotterranei della metropolitana che in superficie! Mi ha colpita molto la notazione sulla paura in cui vivono gli americani, e la riporto quasi per intero anche perché la trovo molto attuale:tout le monde est obligé de reconnaître qu’en Amérique, il n’y a pas de liberté. Et alors ça leur porte au coeur. Pour les Américains et pour le reste du monde, le lieu commun a toujours été de croire que l’Amérique était « la patrie de la liberté ». À présent, tout le monde va savoir qu’elle ne l’est plus. Les gens sont ici relativement moins libres que la plupart des Européens, résignés et rendus cyniques par leur expérience. Ils ne sont pas libres parce que le système économique et social est fabriqué de telle manière que la censure de l’argent et du revenu garrotte la vie quotidienne, davantage et plus profondément qu’ailleurs. […]La sua vita è essenzialmente solitaria, trascorre le sue giornate in lunghissime passeggiate o dentro le biblioteche pubbliche ed i musei, qualche volta al cinema o ad un concerto. Il paesaggio vulcanico della Campania e del Mar Mediterraneo lo attirano decisamente di più dei grattacieli e l’Hudson… rende comunque conto di alcune interessanti esperienze americane: descrive minuziosamente la cerimonia di naturalizzazione e del conseguimento della cittadinanza americana o della sua esperienza – in qualità ormai di cittadino americano a pieno titolo – di giurato in tribunale.Paragona spesso l’Europa e l’America; la prima gli appare come un vecchio pantano fumante, velenoso, esaltante ed affascinante mentre il Nuovo Mondo è “una foresta vergine piena di segreti”. Afferma spesso di essere contento di avere lasciato il Vecchio Continente ma ha paura di ritrovarlo e così va nella Seconda Avenue: la strada degli ungheresi, che però gli appare come una sorta di triste ghetto…I viaggiIn Italia, si sposta da Napoli visitando i dintorni da Capri fino alla costa amalfitana spingendosi fino in Sicilia:15 giugno 1950Une semaine en Sicile. Les souvenirs me reviennent lentement comme des cartes postales aux contours très définis, comme un livre illustré dont on tourne soigneusement les pages. Il y a dans le paysage sicilien quelque chose de familier de longue date. L’homme européen est né là-bas, quelque part ; tout évoque et fait naître le souvenir. Ce paysage n’est pas « connu » parce que je l’ai déjà vu (c’est la troisième fois que j’y viens) mais pour autre chose. C’est une familiarité due au souvenir de lectures, de rêves, d’imagination et aussi d’une réalité stupéfiante et apaisante à la fois.Palermo lo affascina, si sente “a casa”Quand je pense « chez moi », ce qui me vient à l’esprit est à la fois la colline des Roses, Palerme et le Pausilippe.Dovendo recarsi a Roma per sbrigare delle pratiche amministrative si spinge nel nord Italia dove si trattiene tre settimane.Allo stesso modo, negli Stati Uniti, dopo essersi installato a New York visita la capitale e poi si muove per esplorare la Florida, la California e il Texas. I lunghi viaggi sono anche intesi da lui come una sorta di “cura di disintossicazione” dalla lettura eccessiva. Ed ancora, a proposito dell’Italia: “come Firenze è la città dei fiori, Roma delle Chiese, Napoli è la città delle superstizioni”La vita privataNei Diari pubblicati mentre era in vita Márai aveva omesso i passaggi relativi alla sua vita privata. Adesso è però possibile constatare quanta tenerezza riversava in quelle pagine nei confronti dei tre esseri che gli erano più cari: la madre, che rappresentava il passato che, benché lontano, occupa un posto importante nel suo spirito e che – rimasta in Ungheria – ormai quasi certamente non rivedrà mai più. La moglie Lola, da sempre “l’eterno presente” tanto da fargli dire che il più sincero desiderio è quello di vivere con lei fino alla fine della propria esistenza. Morire assieme a Lola sarà “l’ultimo dono” che chiederà al destino…János è l’avvenire: giovane adulto si prepara ormai, come è giusto che sia, ad essere indipendente ed a volare con le proprie ali. Di lui scrive malinconicamente “Il va nous manquer terriblement”L’esilio e la nostalgia dell’UngheriaL’esilio può essere interiore o esteriore. O entrambe le cose, perché non si può rimanere e non è possibile essere artisti, scrittori contro la volontà di un regime. Anche Márai ha avuto successi nel suo paese, ma in realtà è stato sempre costretto a scrivere ed a vivere in opposizione alla società “nazionale” ungherese…Per questo motivo non desidera tornarci, ma gli piacerebbe potervi morire. Per il momento, meglio vivere e scrivere all’estero. I ricordi sono troppi.Je ne veux pas rentrer dans mon pays, et ce pour longtemps encore. Je voudrais toutefois y mourir; mais dans la mesure du possible, je préfère vivre et écrire ici, à l’étranger, dans le monde. Trop de souvenirs.Ma la nostalgia non è immutabile: le sue forme variano, nel tempo. E con il tempo, non si tratta più tanto di nostalgia di una patria quanto di una sorta di metafora:J’observe sur moi-même les variations particulières que prend la nostalgie: je ne me languis pas de ma « patrie » mais d’une métaphore, d’un qualificatif, d’une lueur dans les yeux. De l’autre « patrie ».L’altra Ungheria, quella autentica, è infatti scomparsa, e qui si sente riecheggiare con forza uno dei temi cardine del bellissimo romanzo Sindbad torna a casa scritto negli anni ’40 in cui Márai aveva raccontato una giornata della vita di Gyula Krúdy, lo scrittore ungherese da lui tanto amato.Se la nostalgia non è sempre la stessa, anche i migranti (o gli emigrati) non sono tutti eguali e Márai ne parla con tratti anche di fine ironia, rilevando con amarezza che la loro necessaria pazienza non è altro che la maschera di una sostanziale impotenza per concludere infine, cupamente, che gli emigranti europei giunti in America prima degli ultimi dieci anni non hanno che una conoscenza indiretta di quello che è realmente successo in Europa (guerra mondiale, dittature, persecuzioni, campi di sterminio…) e che d’altra parte l’occidente tratta la questione dei rifugiati (le D. P.= Displaced Persons) non come una questione morale ma come un problema di polizia e di sicurezza A New York rinuncia ben presto ad inserirsi tra gli emigrati ungheresi, trova che sia impossibile relazionarsi con loro, si può tentare al massimo una relazione come quella esistente in un ospedale (perché considera l’emigrazione come una sorta di ospedale di malati contagiosi) tra infermieri ma[…] il est certain que, dans un hôpital de contagieux – l’émigration est un hôpital de contagieux –, les infirmiers sont tout aussi atteints que les contaminés.La lingua, le lingueHo ricordato più volte come per Márai la sua lingua madre sia profondamente legata all’idea di patria, la sua vera patria. Negli anni dell’esilio Márai deve però anche imparare due nuove lingue straniere: l’italiano, che grazie alla sua ottima conoscenza del francese non ha grandi difficoltà ad apprendere, anche se per i vicoli di Napoli non è che si parli esattamente la lingua di Dante…Ces deux dernières années, la langue italienne s’est quelque peu ouverte à moi: cette belle langue qui est davantage un chant qu’une langue, sa mélodie étant plus importante que sa syntaxe, je la parle avec une mauvaise prononciation et sans doute de grossières fautes de grammaire, mais assez facilement. Je la lis presque couramment. Le français et l’allemand sont pour moi des langues vivantes et sans obstacles. Quant au hongrois, c’est une liturgie.Presto deve però dedicarsi – seriamente e metodicamente – all’inglese che gli risulta impervio a causa anche della sua ricchezza lessicale. A queste difficoltà si affianca il timore di dimenticare il tedesco e soprattutto, ad un certo punto lo attanaglia la paura che la sua lingua madre, l’ungherese, cominci a sfuggirgli, si chiede a volte, angosciato, se sappia ancora padroneggiarla bene: « Parfois, en lisant, je suis saisi de frayeur: est-ce que je sais encore le hongrois? ». Durante l’esilio la memoria delle parole comincia a traballare… LettureNon posso non parlare delle letture, perché costellano letteralmente tutte le pagine dei diari. Márai legge nelle biblioteche pubbliche (cercare una biblioteca pubblica è la prima cosa che fa quando viaggia e arriva in un posto nuovo) ma soprattutto a casa, di notte a volte fino alle prime luci dell’alba. Scrittore poliglotta, legge e parla il tedesco e il francese, ha un’immensa conoscenza della letteratura francese, ha imparato da solo – anche se faticosamente – l’inglese ed è presto in grado di leggere (anche se a volte aiutandosi con il vocabolario) autori americani e inglesi in originale.Lettore di una curiosità insaziabile, passa dalla letteratura francese con quella che lui chiama la “santa trinità” (Gide, Valéry, Proust) alle letterature di tutti i Paesi ai grandi classici latini e greci, esplora la letteratura americana e molti sono i commenti sulle sue letture.Innanzitutto i francesi: Balzac che non invecchia mai, Stendhal psicologo senza pari, Maupassant definito “insuperabile”, Proust che lo “travolge come un fiume tropicale”, Claudel di cui apprezza soprattutto i drammi lirici, i “pittoreschi buffoni” Cocteau (“dadaista, pederasta e sociologo”) e Giraudoux, l’esibizionismo di Montherlant, l’avarizia passionale di Mauriac. Ma il “nouveau Roman” lo annoia da morire e ben presto lo abbandona definitivamente. Il suo Pantheon letterario è decisamente europeo, include Svevo e Tomasi di Lampedusa, Dostoevskij di cui parla più volte e con il quale ha un rapporto molto contrastato ed ambivalente e Cechov, Goethe e Kleist; gli ungheresi Gyula Krúdy e Dezső Kostolány ma anche Conrad e Joyce. La letteratura americana lo interessa molto meno perché la considera ancora troppo giovane ed immatura, apprezza però parecchio Hawthorne, Faulkner che giudica “uno dei pochi americani che non scrivono best-seller ma libri” (“scelta giusta” giudica il Nobel assegnatogli), Poe e Melville mentre non considera affatto Hemingway (“l’écrivain matador et acrobate”) un grande scrittore ma soltanto un abile narratore di storie, la sua scrittura rimane in superficie, niente a che vedere con la profondità di un Maupassant o dei russi… Gli piace Colette, apprezza molto Virginia Woolf e Katherine Mansfield mentre si mostra stranamente critico nei confronti di due autori che precedentemente apprezzava, e cioè Thomas Mann e Kafka. La poesia ungherese è il suo pane quotidiano, Bibbia e poemi omerici (soprattutto l’Odissea) letture quotidiane e imprescindibili.Il mare non bagna Napoli di Annamaria Ortese lo colpisce molto: legge il libro con altrettanta nostalgia come se leggesse il suo amato Krúdy, dice che possiede un folklore misterioso, il folklore dei poveri…Definisce eccellenti Le Memorie di Churchill su cui si dilunga abbastanza mentre più critico e quasi sferzante è invece il suo giudizio sul Churchill uomo politico: in particolare, non gli perdona di avere di fatto accondisceso a che al termine della guerra l’Ungheria venisse abbandonata a Stalin.Leggendo 1984 di Orwell annota, nel 1950, che la cosa che ritiene più terrificante è che il romanzo non ha praticamente nulla di “anticipatorio”, perché l’annientamento dell’individuo è di fatto cominciato con i sistemi totalitari instaurati nell’Europa dell’Est e continua con gran successo: “La prédiction d’Orwell, je l’ai vécue, en petit, à son debut”…Tra le sue numerose letture la diaristica occupa un posto privilegiato. Preferisce il diario di Julien Green a quello di Gide che pure apprezza molto, mentre è più tiepido nei confronti dei Goncourt che suscitano comunque la sua ammirazione perché forniscono una visione impeccabile della loro epoca; apprezza Ernst Jünger perché ne condivide il pensiero espresso in Irradiazioni che lo rende “simpatico ed umano” ed a fine lettura conclude che“Cet Allemand cultivé n’était pas nazi. Toutefois, pendant et après la lecture, j’ai éprouvé un sentiment bizarre, celui d’avoir passé du temps en compagnie d’un homme pas tout à  fait anodin. Jünger n’est pas nazi, il est allemand. C’est là  que réside le danger…”I Diari di Kafka gli appaiono soffocanti ed opprimenti ed è molto perplesso a proposito delle note di Henry James che gli sembrano una serie di bozze disordinate di temi. Si chiede anche però, ogni tanto, se le proprie critiche non siano eccessive…E la poesia? Ne legge moltissima, ma solo se lo può fare in lingua originale e non in traduzione perché un poeta non si può comprendere se non nella sua lingua madre:“Un poète, on ne peut le comprendre que dans sa langue maternelle. De toute façon, tout effort que peut fournir un écrivain quand il abandonne sa langue maternelle est totalement désespéré.”La scrittura: la narrativa e l’importanza del DiarioMárai è stato un giornalista e scrittore molto prolifico e molte sue opere sono ancora sconosciute in Italia perché non tradotte e non pubblicate (raccolte di racconti, romanzi come l’intero Ciclo dei Garren, di cui Adelphi ha pubblicato solo I ribelli, le riscritture e trasposizioni in testi per il teatro – che lui stesso realizzò – di alcuni suoi romanzi famosi come Le braci, La recita di Bolzano e La donna giusta) ma dopo aver lasciato l’Ungheria scrivere narrativa pura gli era diventato molto più problematico, si chiede per “chi” scrivere in un mondo massificato in cui non esiste l’ironia e l’ironia non viene compresa…e c’è sempre il grande problema della lingua ungherese… Eppure “Posso e voglio scrivere” annota nel diario nel 1952. Ed eccoci alla fondamentale importanza del Diario che diventa, negli anni dell’esilio, il vero e robusto motore della scrittura dell’autore, spesso in panne di ispirazione. Il diarista spicca il volo, mentre il romanziere non riesce a trovare stimoli. L’esperienza napoletana gli ha ispirato due romanzi, Pace ad Itaca (inedito in Italia ma disponibile in francese) e Il sangue di San Gennaro, a mio parere uno dei suoi romanzi più belli, anche se forse non tra i più famosi. Iniziato a Napoli e proseguito in America, viene finalmente pubblicato in traduzione tedesca per poi essere pubblicato, a spese dell’autore, anche in ungherese. La permanenza a New York non ha comunque avuto complessivamente granché effetto sulla sua creatività.Le date: nel diario degli anni ungheresi (1° volume) erano completamente assenti, veniva indicato soltanto l’anno. In questo 2° volume (gli anni dell’esilio) le date invece compaiono, anche se non sempre. Non sono insomma quotidiane ma proprio per questo quelle presenti appaiono significative.Alcune sono ricorrenti: servono ad ancorare la memoria o a stabilire un bilancio: ogni anno, ad esempio, viene ricordato il giorno della scomparsa del figlioletto Kristof morto ad appena tre mesi dalla nascita, il compleanno o l’onomastico della madre, il giorno della partenza dall’Ungheria e, più tardi, viene indicata la data della partenza dall’Europa; il proprio compleanno serve a Márai per trarre un bilancio personale sia dal punto di vista della salute che da quello professionale così come ogni 31 dicembre compila una breve nota in cui stila un bilancio dell’anno appena trascorso.Ci sono poi altre date importanti come ad esempio l’inizio della guerra di Corea o le elezioni presidenziali americane che riflettono l’attualità politica immediata. Altre date segnano la condanna a morte di grandi criminali di guerra o la morte di grandi scrittori. Un anno molto particolare per Márai è il 1956, quello della rivolta degli ungheresi all’invasione dei carri armati sovietici, una attualità rivoluzionaria molto importante a cui Márai dedica pochissime annotazioni, nel suo diario. Questo può apparire decisamente strano, ma la spiegazione è invece molto semplice: se lo scrittore dedica così poco spazio all’attualità rivoluzionaria della sua amata Ungheria è perché proprio nei giorni cruciali della rivolta ha varcato l’oceano e dagli Stati Uniti si è recato a Monaco nella speranza di vedere gli ungheresi liberarsi del regime sovietico, settimane durante le quali commenta gli avvenimenti ogni giorno alla RFE (Radio Free Europe) che durante la Guerra Fredda trasmetteva da Monaco nel cuore dell’impero sovietico notizie, cultura e programmi sportivi in oltre 20 lingue dell’Europa orientale. Il ricordo di quell’autunno di sangue lo perseguiterà per molto tempo e la data finirà nel numero delle date da commemorare.Sottolinea più volte l’importanza di leggere e rileggere il proprio diario: è la sola maniera per accorgersi di ciò che nella propria vita cambia definitivamente ma anche di quello che si ripete. C’è un episodio della vita a New York che merita di essere riportato perché rappresenta bene l’importanza che per Márai hanno i suoi diari: una notte, mentre lui è immerso nella lettura di Toynbee scoppia un incendio nel condominio in cui abita. L’incendio è subito domato, non ci sono danni particolari e per fortuna nessuna vittima ma lo scrittore acquista la consapevolezza di aver avuto paura per Lola, per Janika (János) e… per i manoscritti dei suoi diari. János si rende conto della grande importanza di questo problema per il padre e per Natale gli regala una capiente cassetta di sicurezza di metallo rivestita di amianto e provvista di appositi robusti catenacci. In quella cassa i suoi diari saranno ben protetti e Márai scrive che di tutti i suoi scritti i diari sono la sola cosa che vorrebbe lasciare come ricordo per lasciare il segno di avere vissuto, di essere stato presente.«Parmi mes manuscrits et la foule d’autres écrits, c’est la seule chose que j’aimerais laisser en souvenir, pour signaler que j’ai vécu ici, j’ai été presente.»Come nota András Kányádi, questo viene scritto a New York in ungherese ma la scelta di una parola italiana nel testo (“presente”) indica l’ancoraggio dello scrittore nella civiltà e nella cultura europea e cioè Napoli. E’ là (continua Kányádi) che Ulisse è approdato, è là che l’autore ha all’inizio deposto le sue valigie di esiliato. Ancora di salvezza e “cassa di risparmio” il Diario è il testimone inestimabile di una vita di Scrittore.Cronista d’eccezione delle tragedie della storia, Sándor Márai mostra anche in questo diario un talento letterario ed una raffinatezza di analisi che colpiscono ad ogni pagina. Sono diari, i suoi, che si leggono come un romanzo, e sono inoltre pieni zeppi di suggestioni e stimoli per letture future.In questo volume in cui, come dicevo all’inizio, gli avvenimenti esterni passano un po’ sullo sfondo rispetto a riflessioni sulla “vita interiore” chi legge va incontro ad un’esperienza forte, molto piacevole ma anche impegnativa perché si scende nel profondo delle problematiche che affronta una persona che lascia il suo Paese per emigrare e deve imparare ad adattarsi ad una cultura, un modo di vivere, una lingua completamente diversa.Per quanto mi riguarda, ho apprezzato moltissimo il regalo che Márai fa ai suoi lettori con le sue notazioni sugli autori e sui libri che anno dopo anno va leggendo e indicandoci i suoi autori ungheresi preferiti, parecchi dei quali a me purtroppo totalmente sconosciuti ma che mi piacerebbe conoscere.Questo 2° vol. si chiude alla fine del 1967. Márai è ormai sulla settantina. Riflette spesso sulla vecchiaia e la morte mentre attorno a lui sempre più spesso vengono a mancare persone a lui care come i parenti più stretti, i pochi amici e la lista di artisti, scrittori, musicisti famosi che lasciano questo mondo si fa sempre più folta; le morti sono sempre più frequenti. La sua vita si desertifica.>> Il post sul primo volume dei Diari (Gli anni ungheresi. 1943 – 1948)