E quindi, cosa cambierà davvero per il mondo del lavoro e per i cittadini extracomunitari che vivono in Italia se i cinque referendum raggiungeranno il quorum e otterranno una maggioranza di “Sì”? È una domanda che in molti si pongono in questi giorni, a ridosso dell’appuntamento elettorale di domenica 8 e lunedì 9 giugno, quando gli italiani saranno chiamati a esprimersi sui cinque quesiti referendari, approvati lo scorso gennaio dalla Corte Costituzionale. Quattro – proposti dalla Cgil – riguardano il tema del lavoro, e in particolare prevedono l’abrogazione di alcune parti del Jobs Act, la riforma del lavoro figlia del governo di Matteo Renzi. Un quesito, invece, è sul tema della cittadinanza, ed è stato proposto da +Europa. Una volta arrivati alle urne, spetterà a voi decidere quali delle cinque schede ritirare e votare. Per questo è fondamentale arrivare preparati al seggio: capire oggi cosa potrebbe cambiare domani è il primo passo per un voto consapevole.La prima scheda – Licenziamenti illegittimiLa prima scheda che potrete ritirare è di colore verde. Questo quesito mira a interviene su una parte centrale del Jobs act: le regole sui licenziamenti. A ricordarci il legame con la riforma voluta da Matteo Renzi è anche il titolo della scheda: “Il contratto di lavoro a tutele crescenti”. Ed è proprio una parte di questo contratto che il referendum mira ad abrogare. Ma andiamo per step. Fino al 2015, nelle aziende con più di 15 dipendenti, un licenziamento illegittimo – cioè privo di giusta causa o giustificato motivo – poteva comportare il reintegro del lavoratore, se a stabilirlo era un giudice. Era il principio fissato dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nella versione però già modificata durante il governo di Mario Monti, dalla ministra Elsa Fornero. Con l’introduzione del Jobs Act, quell’obbligo è stato superato. La riforma voluta da Matteo Renzi ha infatti previsto che, per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015, in caso di licenziamento ingiustificato non sia più previsto il reintegro automatico, ma un indennizzo economico, che va da 6 a 36 mensilità. L’indennizzo è calcolato in base all’anzianità: due mensilità per ogni anno di servizio.Cosa cambia se passa il primo quesito?Quindi se vincesse il Sì, si tornerebbe all’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, nella versione modificata dalla legge Fornero. Questo amplierebbe i casi in cui un lavoratore licenziato può ottenere il reintegro. Ma non per tutti: secondo la sentenza della Corte costituzionale pubblicata a febbraio, alcune categorie – come i lavoratori licenziati per malattia, infortunio o disabilità – potrebbero vedere un arretramento nelle tutele, a causa della riduzione del tetto massimo dei risarcimenti, che tornerebbe da 36 a 24 mensilità (soglia alzata durante il Governo Conte I con il decreto Dignità). In compenso, il limite minimo salirebbe da 6 a 12 mensilità. Se vincesse il No, resterebbe tutto com’è.La seconda scheda – Licenziamenti piccole aziendeIl secondo quesito riguarda la cancellazione del tetto all’indennità nei licenziamenti nelle piccole imprese. In quelle con meno di 16 dipendenti, in caso di licenziamento illegittimo oggi un lavoratore può al massimo ottenere 6 mensilità di risarcimento, anche qualora un giudice reputi infondata l’interruzione del rapporto. Obiettivo del quesito referendario è innalzare le tutele di chi lavora, cancellando il limite massimo di sei mensilità e lasciando che sia il giudice a determinare il giusto risarcimento senza alcun limite, tenendo conto di diversi aspetti, come la capacità economica dell’azienda, i carichi familiari e l’età del lavoratore.Cosa cambia se il secondo quesito passa?Se il referendum venisse approvato, verrebbe eliminato il tetto massimo di sei mensilità e l’indennizzo da corrispondere al lavoratore licenziato sarebbe stabilito dal giudice, caso per caso. Se invece non si raggiungerà il quorum, o vincerà il No, tutto resterà com’è oggi.La terza scheda del referendum del 8-9 giugno – Contratti a tempo determinatoLa terza scheda, chiede che venga ripristinato l’obbligo di causali per i contratti a tempo determinato. Oggi, un datore di lavoro può assumere a tempo determinato un lavoratore per i primi dodici mesi senza dare una motivazione (che giustifichi perché non si è proceduto ad una assunzione a tempo indeterminato). L’obbligo di giustificare l’assunzione scatta solo se il contratto supera l’anno di durata. Se passa cosa succede?Se il referendum passasse il quorum e ottenesse una maggioranza di Sì, qualsiasi assunzione a tempo determinato, anche inferiore a 12 mesi, dovrebbe essere motivata. In sostanza, la causa dovrà essere segnalata fin dall’inizio. Senza quorum o se vince il no resta tutto com’è: sarà possibile il contratto a tempo senza causale fino a 12 mesi.La quarta scheda – Sicurezza sul lavoroIl quarto quesito è sulla scheda rossa e riguarda l’attuale esclusione della responsabilità solidale di committente, appaltante e subappaltante negli infortuni sul lavoro. Secondo le norme vigenti, quando un’azienda o un ente (il committente, cioè chi affida un lavoro) incarica un’altra ditta (l’appaltatore o il subappaltatore) di svolgere un’opera o un servizio, è considerata corresponsabile se succede un infortunio a un lavoratore di quest’ultimi. Questo significa che il committente può essere obbligato a rimborsare l’Inail per i risarcimenti, anche se il lavoratore non è suo dipendente. C’è però un’eccezione, chiamata “rischio specifico”: se l’incidente è causato da rischi legati solo al tipo di lavoro svolto dall’appaltatore, e il committente non poteva in alcun modo controllare o prevenire quell’infortunio, allora non è responsabile.E se passa?Se passa il Sì il rischio specifico verrebbe eliminato. La responsabilità per gli infortuni sul lavoro ricadrà sempre su tutte le parti coinvolte in un appalto: quindi sia sull’appaltatore e sul subappaltatore, sia su chi ha commissionato il lavoro (il committente). In caso contrario, le responsabilità del committente restano limitate.La quinta scheda del referendum 2025 – cittadinanzaL’ultimo dei cinque quesiti referendari riguarda la cittadinanza e propone di dimezzare da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia richiesto a uno straniero extracomunitario maggiorenne per poter richiedere la cittadinanza italiana. La proposta non modifica gli altri requisiti previsti dalla legge, che restano invariati: tra questi, la conoscenza della lingua italiana, il possesso di un reddito adeguato negli ultimi anni, l’assenza di precedenti penali, la regolarità fiscale e l’assenza di motivi ostativi legati alla sicurezza della Repubblica.Se dovesse passare?Se il referendum venisse approvato, un cittadino extracomunitario maggiorenne potrebbe richiedere la cittadinanza italiana dopo 5 anni di residenza legale in Italia. Questo non significherebbe ottenerla automaticamente: la procedura resterebbe complessa e richiederebbe comunque altri 3 o 4 anni per concludersi, secondo le stime attuali. Se non passasse, resterebbe in vigore l’attuale normativa, che prevede un periodo minimo di 10 anni di residenza legale continuativa prima di poter presentare la domanda di cittadinanza.L'articolo Referendum 8 e 9 giugno: cosa cambia se vince il Sì? Le schede e gli scenari messi a confronto proviene da Open.