di Giuseppe Gagliano – Dietro la maschera umanitaria, l’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (Usaid) agisce come braccio operativo delle élite liberal americane. Sotto la guida di Samantha Power, l’agenzia ha moltiplicato iniziative ideologiche, coperto programmi discutibili e alimentato una rete globale di disinformazione. Ecco come l’apparato umanitario statunitense è diventato una piattaforma per il dominio culturale e la guerra politica contro il dissenso interno e internazionale.Il 20 gennaio di quest’anno, poche ore dopo aver prestato giuramento per il suo secondo mandato, Donald Trump firma un ordine esecutivo che congela i finanziamenti dell’USAID per 90 giorni. È una scossa tellurica nel mondo della cooperazione internazionale. I media progressisti parlano di “catastrofe umanitaria imminente”. In Francia Le Monde grida allo scandalo; Libération evoca “barbarie geopolitica”; France 24 parla di “plunge into darkness”.Eppure la misura è tutt’altro che improvvisata. Fa parte di una strategia chiara: smontare l’infrastruttura dell’egemonia progressista americana, smascherandone i gangli nascosti. Per l’amministrazione Trump, l’Usaid non è più solo un’agenzia di aiuti. È un apparato politico mascherato, un sistema di potere parallelo che opera nel nome della democrazia globale, ma al servizio di una visione ideologica ben precisa.Dal 2021 alla guida dell’agenzia c’è Samantha Power, ex ambasciatrice all’Onu e icona dell’interventismo umanitario in stile Obama. Teorica della “Responsabilità di Proteggere” (R2P), Power incarna la visione liberal di un’America missionaria, incaricata di rifondare il mondo secondo i codici dell’occidente woke. Sotto la sua direzione l’Usaid ha ampliato enormemente il proprio raggio d’azione, finanziando iniziative su clima, diritti LGBTQIA+, intersezionalità, gender fluidity, lotta alla disinformazione e censura online.I fondi erogati sono impressionanti: 36 miliardi di dollari solo all’Ucraina dal 2022. Ma la destinazione è spesso opaca: ong allineate alla linea democratica, media mainstream, start-up “etiche”, organizzazioni migratorie, progetti teatrali sulla diversità, persino coltivazioni di papavero in Afghanistan e gruppi legati ad al-Qaeda in Siria. Tutto in nome della “promozione della democrazia”.Nel 2024 un’indagine del Center for Immigration Studies rivela che l’Usaid ha partecipato a un programma dell’Onu in 17 Paesi dell’America Latina per fornire carte di credito e trasporto gratuito ai migranti diretti negli Stati Uniti. In Europa agenzie collegate alle Open Society Foundations di George Soros collaborano per favorire l’integrazione migratoria, spesso sotto il velo di progetti educativi o sanitari.Lo schema è chiaro: trasformare le dinamiche demografiche come leva di ingegneria sociale e politica.In passato questo lavoro era affidato alla Cia. Oggi è più elegante, più digitale, più inclusivo. Ma non meno pervasivo. Allen Weinstein, primo direttore del National Endowment for Democracy (Nel), lo disse senza giri di parole: “Quello che oggi facciamo apertamente, la Cia lo faceva di nascosto trent’anni fa”.Dal 2014 l’Usaid ha riversato miliardi in Ucraina. Una parte al governo, il resto a ong, media, imprese private, tutte parte di una rete che ha promosso la narrazione russofoba e militarista dell’amministrazione Biden. Il gruppo Molfar, beneficiario dell’Usaid, ha pubblicato liste nere con i “nemici dell’Ucraina”, tra cui Elon Musk, JD Vance, Tucker Carlson e Glenn Greenwald.L’agenzia ha costruito una rete di propaganda mascherata da giornalismo. Ha finanziato il 50% del bilancio dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project (OCCRP), ma con diritto di veto sui piani editoriali. Nel 2019 l’Occrp ha pubblicato un’inchiesta su Rudy Giuliani, collegandolo falsamente a reti mafiose russe. La storia era falsa, ma utile alla campagna anti-Trump.Durante la pandemia l’Usaid ha co-finanziato con l’Oms campagne di censura contro contenuti critici sui vaccini e sui lockdown. Secondo documenti resi pubblici da WikiLeaks, 472 milioni di dollari sono stati erogati all’organizzazione Internews Network, che collabora con 4.291 media e oltre 6.200 giornalisti. Lo scopo? Diffondere storie pro-USA, screditare oppositori politici, alimentare la retorica del “pericolo populista”.Ma l’azione dell’Usaid non si limita all’occidente. In Kenya l’agenzia ha co-finanziato un programma sanitario legato alla General Electric: i prestiti venivano concessi solo per acquistare prodotti americani. In Nepal ha promosso la diffusione del mais transgenico Monsanto. A Cuba ha creato ZunZuneo, un social network per fomentare proteste contro il regime comunista.Il modello è sempre lo stesso: fingere aiuto, esercitare pressione, raccogliere dividendi geopolitici.Quella che doveva essere un’agenzia per lo sviluppo si è trasformata in uno dei pilastri dell’egemonia culturale americana. Un’egemonia che oggi ha un volto: woke, progressista, globalista. Lontana da ogni preoccupazione per i bisogni reali dei popoli, e sempre più impegnata a plasmare mentalità, censurare dissensi, omologare culture.Il congelamento dei fondi deciso da Trump non è solo una misura contabile. È uno schiaffo a un sistema che ha trasformato l’aiuto in ingerenza, l’umanitarismo in propaganda, la cooperazione in controllo ideologico.E ora che gli Stati Uniti sembrano ritrarsi, l’Europa è chiamata a decidere: vuole diventare il nuovo fulcro operativo di questo progetto messianico globale, oppure difendere la propria identità e sovranità?