Sono stato assunto a tempo indeterminato nel dicembre 2015. Dopo due anni di contratti di uno, tre o sei mesi, con tanto di periodo di “stop & go” nelle ferie natalizie ed estive: il contratto cioè veniva stipulato fino al 21 dicembre per poi riprendere dal 7 gennaio; idem per la pausa estiva. A dicembre 2015 il Jobs Act targato Pd era in vigore ormai da 9 mesi, da quel 7 marzo 2015 che per lavoratori e lavoratrici segna un prima e un dopo.Avrei dovuto scriverlo tra virgolette: “tempo indeterminato”. Perché il Jobs Act ha in realtà fatto sparire i contratti a tempo indeterminato e suddiviso quelli esistenti in due categorie: contratti a termine con scadenza già indicata e contratti a termine col campo “data di scadenza” lasciato in bianco e compilabile a discrezione dell’imprenditore.Con il Jobs Act, infatti, il prezzo da pagare per un licenziamento illegittimo è null’altro che alcune mensilità di risarcimento. L’imprenditore può di fatto mettere termine a contratto come e quando vuole – facendo opportunamente risultare necessità organizzative o economiche.Il prezzo che invece paga il/la dipendente è ben più alto, anche perché non solo economico (la perdita dello stipendio e quindi, presumibilmente, della fonte di sostentamento tua e della tua famiglia), ma anche psicologico.A differenza di chi ha votato quella norma, io con un contratto frutto del Jobs Act ci ho lavorato. Soprattutto, sempre a differenza di chi oggi siede in Parlamento o tra i banchi del governo e per i referendum dell’8 e 9 giugno invita ad andare al mare, a causa dei meccanismi previsti dal Jobs Act sono stato licenziato.Una raccomandata a mano. Oggetto: licenziamento per giustificato motivo oggettivo.Se tanto all’epoca quanto oggi mi batto a favore del ripristino in forma piena dell’articolo 18, è perché so per esperienza diretta cosa significano quelle norme sulla pelle di lavoratori e lavoratrici. E perché non è un fatto individuale o personale: c’è una fetta sempre crescente di classe lavoratrice che ci deve fare i conti. Conti niente affatto facili.Il Jobs Act, così come prima la norma Fornero che già indeboliva la tutela dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, è stato raccontato come misura di carattere economico. Diversamente, il significato profondo è tutto politico e ha a che fare con il “potere”. Quello che è stato sottratto ai lavoratori e alle lavoratrici e che è stato consegnato nelle mani di imprenditori e imprenditrici.Più “potere” di licenziamento per l’imprenditoria significa meno potere di organizzarsi, rivendicare sicurezza e più salario per la classe lavoratrice.Per quanto siano di moda tesi neo-corporative – queste sì reminescenze del fascismo storico, sebbene chi grida un giorno sì e l’altro pure al fascismo mai le denunci in quanto tali – la relazione tra imprenditore e lavoratore è sempre conflittuale. Spostare potere verso uno dei due poli significa indebolire l’altro. Il Jobs Act è arrivato nel 2015 come ciliegina sulla torta di un processo di ben più lunga durata che ha trasferito potere ai profitti contro i lavoratori. E, ad esempio, i frutti li raccogliamo – si fa per dire – in termini di bassi salari sempre più caratteristici del modello economico tricolore.Il governo di centrosinistra dell’epoca, sostenuto dalle destre, decise di rappresentare i desiderata del suo blocco sociale di riferimento, a partire da Confindustria. Il Jobs Act fu sostenuto da intellettuali e accademici oltre che da un possente potere mediatico che inserì la “riforma” nella cornice discorsiva “vecchio vs. nuovo”, di cui Renzi era la personificazione. jwplayer("jwp-scSe5U0N").setup({ playlist: [{"title":"Referendum, istruzioni per l'uso","mediaid":"scSe5U0N","link":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/previews\/scSe5U0N","image":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/v2\/media\/scSe5U0N\/poster.jpg?width=720","images":[{"src":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/v2\/media\/scSe5U0N\/poster.jpg?width=320","width":320,"type":"image\/jpeg"},{"src":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/v2\/media\/scSe5U0N\/poster.jpg?width=480","width":480,"type":"image\/jpeg"},{"src":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/v2\/media\/scSe5U0N\/poster.jpg?width=640","width":640,"type":"image\/jpeg"},{"src":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/v2\/media\/scSe5U0N\/poster.jpg?width=720","width":720,"type":"image\/jpeg"},{"src":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/v2\/media\/scSe5U0N\/poster.jpg?width=1280","width":1280,"type":"image\/jpeg"},{"src":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/v2\/media\/scSe5U0N\/poster.jpg?width=1920","width":1920,"type":"image\/jpeg"}],"duration":107,"pubdate":1747227856,"description":"","sources":[{"file":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/manifests\/scSe5U0N.m3u8","type":"application\/vnd.apple.mpegurl"},{"file":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/videos\/scSe5U0N-2kLOQlpN.mp4","type":"video\/mp4","height":180,"width":320,"label":"180p","bitrate":232129,"filesize":3104729,"framerate":60},{"file":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/videos\/scSe5U0N-mgX5kRUd.mp4","type":"video\/mp4","height":270,"width":480,"label":"270p","bitrate":318721,"filesize":4262903,"framerate":60},{"file":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/videos\/scSe5U0N-DGOVPaTh.mp4","type":"video\/mp4","height":406,"width":720,"label":"406p","bitrate":412356,"filesize":5515267,"framerate":60},{"file":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/videos\/scSe5U0N-00rmffRE.mp4","type":"video\/mp4","height":720,"width":1280,"label":"720p","bitrate":769248,"filesize":10288701,"framerate":60},{"file":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/videos\/scSe5U0N-jz9FGUIN.m4a","type":"audio\/mp4","label":"AAC Audio","bitrate":113719,"filesize":1521001},{"file":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/videos\/scSe5U0N-4X01Yi7v.mp4","type":"video\/mp4","height":1080,"width":1920,"label":"1080p","bitrate":1385900,"filesize":18536416,"framerate":60}],"tracks":[{"file":"https:\/\/cdn.jwplayer.com\/strips\/scSe5U0N-120.vtt","kind":"thumbnails"}],"variations":[]}] }); Chi si opponeva al Jobs Act guardava a un mondo in rapida trasformazione con lenti del passato, era un ostacolo alla modernità che era lì a portata di mano; chi lo sosteneva, al contrario, era giovane, moderno, aperto al futuro. Questa era la narrazione. Peccato che il futuro verso il quale ci hanno traghettato Renzi e il Pd assomiglia, nella concretezza della vita quotidiana, più a una distopia che al mondo di opportunità che prospettavano.I referendum dell’8 e 9 giugno costituiscono la possibilità di cancellare questa pagina della nostra storia recente: rendere i lavoratori più forti contro licenziamenti illegittimi (quesiti 1 e 2), mettere argini alla precarietà (quesito 3), aumentare la sicurezza sui posti di lavoro (quesito 4), rendere meno ricattabili i lavoratori stranieri e quindi più forte la classe lavoratrice nel suo complesso (quesito 5). Per aprire la strada al futuro bisogna sgombrarla delle macerie del passato.Non si tratta di fare un favore al Pd e alla Cgil, responsabili per azione diretta o inerzia dello schifo del Jobs Act, ma di fare qualcosa per noi stessi e per l’enorme maggioranza della popolazione: se i lavoratori e le lavoratrici sono più forti, hanno più potere, meno paura è l’intero Paese a essere più forte.A prescindere dal raggiungimento del quorum, però, questi referendum non bastano. Le trasformazioni di cui abbiamo bisogno non si strappano con qualche mese di campagna elettorale ma rimettendo il conflitto capitale-lavoro in cima all’agenda politica e mediatica. E mettendo il Paese sulle gambe di chi davvero lo porta avanti: lavoratori e lavoratrici.Costruire progetti politici, sindacali, mediatici e culturali di largo respiro è conditio sine qua non per non rimanere intrappolati nel chiacchiericcio della polemica politica del giorno né nei tempi ipersonici di un reel sui social.L'articolo Con un contratto frutto del Jobs Act io sono stato licenziato. Voto sì per cancellare quella storia proviene da Il Fatto Quotidiano.