I 100mila euro in banca, l’aborto e le nuove analisi su Visintin: tutto quello che non torna nel caso Resinovich

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Centomila euro nel conto in banca, una super-perizia che ribalta completamente una convinzione durata tre anni, i due sacchetti dell’immondizia attorno al collo e quell’ombra di un omicidio passionale. Un’ipotesi che, per la morte di Liliana Resinovich, si è fatta sempre più largo dalla riapertura delle indagini un anno dopo il ritrovamento del cadavere, il 5 gennaio nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, a Trieste. Ma, appunto, sono solo ipotesi, tracce, dettagli o indizi. Al momento l’unica certezza è che iscritto nel registro degli indagati c’è il marito Sebastiano Visintin, fotoreporter in pensione che lavora come arrotino. E che la procura è decisa a rianalizzare tutto: dai cordini dei sacchi trovati attorno e sopra il corpo, alle suole delle scarpe della donna ai peli e i filamenti di tessuto trovati sul corpo e sugli abiti della 63enne.La scomparsa, l’alibi del marito e i movimenti di Liliana ResinovichÈ una storia che si contorce mese dopo mese, che dà una verità per poi ribaltarla e fornirne una opposta. Il 14 dicembre 2021 è la data di inizio, quella della scomparsa di Liliana Resinovich. Il marito, spiega lui fornendo un alibi, era uscito di casa alle 7.45, aveva fatto consegne e alle 12 era andato in bici a provare la fotocamera GoPro. Lei, invece, alle 8.22 ha telefonato a una persona per annunciargli un ritardo dovendo passare al negozio WindTre, pur avendo lasciato a casa i suoi due cellulari e il borsellino. La verduraia l’ha vista passare davanti al negozio tra le 8.15 e le 8.30. Quell’uomo ha un nome e un cognome, Claudio Sterpin, onché un legame quarantennale con la vittima. È stato suo amante prima che lei legasse la sua vita a Visintin, i due si frequentano ancora perché la 63enne ogni martedì lo raggiunge per stirargli le camice. È lui stesso ad ammettere che Resinovich stesse pensando di rifarsi una vita con l’ormai 82enne.Suicidio o omicidio per soldi?La donna viene ritrovata il 5 gennaio, lì nel parco dell’ex ospedale psichiatrico. Rannicchiata, avvolta da due sacchi dell’immondizia e con altri due stretti attorno al collo. È suicidio. La procura fa analisi su analisi ma non trova indizi, nemmeno nell’autopsia, che possano indicare altre piste. La famiglia della vittima, in particolare il fratello Sergio, non è convinto. Parla di omicidio: «Il movente è economico». Fa un nome, un parente, e indica quei 100mila euro che Liliana aveva depositati in banca. Le analisi delle tracce, però, sono un vicolo cieco e la procura di Trieste chiede l’archiviazione.La nuova autopsia e l’ipotesi della procura: «Prima picchiata, poi soffocata da dietro»Il gip Luigi Dainotti non è convinto. Anche perché nel frattempo, grazie a un’intercettazione ambientale, sorge il sospetto di un omicidio passionale. È il marito Sebastiano Visintin che, parlando al telefono con un amico, racconta di aver accompagnato nel 1991 Liliana Resinovich ad abortire un figlio non suo. «È di Sterpin», ipotizza. Il cadavere della 63enne viene riesumato e affidato all’antropologa Cristina Cattaneo, quella dei casi Yara Gambirasio ed Elisa Claps. Il risultato, questa volta, è completamente diverso. Lilly è morta lo stesso 14 di dicembre, giorno della sua scomparsa. È morta uccisa, prima «picchiata e graffiata», poi «soffocata» da dietro. C’è poi una vertebra fratturata, la seconda toracica, che nelle prime analisi non era stata riscontrata. Si fa avanti un tecnico: «L’ho rotta io mentre operavo sul cadavere». Viene smentito, perché quella vertebra era rotta da prima dell’esame autoptico, e trasferito all’archivio di Anatomia e Istologia dell’ospedale di Cattinara. Le indagini su Visintin e il «delitto più che perfetto»Sebastiano Visintin è indagato, lui nega tutto. Sono sequestrate centinaia di coltelli da casa sua, non si lascia nessun dettaglio al caso. Lui continua a dirsi innocente, non si nasconde alle telecamere neanche quando è in vacanza. Il suo difensore, Paolo Bevilacqua, minimizza la questione parlando di un’iscrizione nel registro degli indagato come atto dovuto. Anche perché «se delitto fosse, sarebbe un delitto più che perfetto». Un delitto in cui sono più i dubbi e le domande che le certezze. L'articolo I 100mila euro in banca, l’aborto e le nuove analisi su Visintin: tutto quello che non torna nel caso Resinovich proviene da Open.