Si dovevano sposare il 31 agosto dello scorso anno. Per loro era l’approdo naturale dopo 15 anni l’uno accanto all’altra. Le fedi le avevano scelte in quella gioielleria di Firenze dove lei aveva visto quel bracciale.Davide e Maria Vittoria, “Mary”, entrambi quarantenni, erano in gita quel giorno di marzo 2023. La notte lei ha un attacco epilettico. Viene ricoverata al Careggi. Scopre di avere un tumore al cervello.Mentre Mary è sotto i ferri, Davide esce dall’ospedale per andarle a comprare quel monile e metterglielo al polso una volta risvegliata. “Ho pensato fosse un bel regalo di fidanzamento”. L’operazione ha buon fine. Ma ancora non si riesce a risalire all’origine del cancro. Solo in autunno la si individua nei polmoni.A Bergamo Mary tenta una cura sperimentale, che pare funzionare. Ma per poco. Lo specialista dice loro che “è come se fossero due malattie”. La prima risponde bene alla cura. L’altra è “totalmente anarchica”. La chemioterapia è pesante. Ma lei è forte. Pensa di guarire presto e si concentra sul suo lavoro di architetta e sui preparativi per le nozze.Anche Davide è sicuro che la sua promessa sposa presto sconfiggerà la malattia. Ma intanto inizia a dormire in un’altra stanza. Ogni sera aspetta che lei si assopisca ed esce piano piano. “Così potevo piangere senza che se ne accorgesse”.A inizio giugno 2024 Mary viene ricoverata a Ferrara. “Era una semplice visita di controllo. Il giorno dopo dovevamo andare al mare”. La tac mostra un versamento nel polmone. Mary non uscirà più dall’ospedale.Quella che si sarebbero fatti reciprocamente il 31 agosto non era la loro unica promessa. L’altra era quella di scegliere, quando e se necessario, il modo in cui andarsene senza soffrire e senza pensare di essere un peso per l’altro. L’arbitro decesso. E mentre lei, dal letto d’ospedale, scrive alla sua migliore amica “tanto presto esco”, a lui comunicano che non ci sono più speranze. È il 28 giugno.“Devo dirlo a Mary, ce lo siamo promesso”. Ma sanitari e familiari – riferisce – lo fanno desistere. La notizia potrebbe annientarla. Davide si informa per il matrimonio in ospedale. Non importa se non arrivano le fedi da Firenze. Ne compra altre. La nuova proposta non ha il tempo di arrivare a destinazione.Davide vede l’ultima volta Mary l’8 luglio. “Il giorno dopo avevo un trasloco da fare”. Si sentono quindi la sera prima. Lui è in ritardo. È lei che gli scrive “allora è meglio se vieni domani”. Il 9 luglio Davide si sveglia presto per terminare lo sgombero. Le scrive. Alle 10 si accorge che la scia dei messaggi tra loro si interrompe. “Immagino stia riposando. Nessuno mi ha chiamato per dirmi di correre in ospedale”.Arriva a mezzogiorno e 40 minuti in reparto. Un medico – riporta – lo informa che Mary è stata sedata. Per sempre. “Perché era molto spaventata”. “Io crollo” sono state le sue parole.Il trattamento di sedazione profonda palliativa, non alimentata, termina quattro giorni dopo. Davide ha intentato una causa per capire perché – questo sostiene la querela – Mary sia stata “spenta” senza aver mai espresso un consenso, senza aver mai ricevuto informazioni sullo stato della malattia. Al momento sulla denuncia pende la richiesta di archiviazione del pm titolare del fascicolo contro ignoti, alla quale il legale della potenziale parte offesa si è opposto.L’ufficio stampa dell’ospedale, interpellato, non ha voluto commentare. La consulenza tecnica chiesta dal pm afferma che non ci fu “imperizia, nonostante la mancanza di un chiaro consenso riportato nella cartella alla sedazione palliativa continua che è stato desunto dai sanitari in conseguenza di continue richieste da parte della paziente di dosaggi aggiuntiva di terapia antalgica”, come si legge nella richiesta d’archiviazione. Per questo la procura non ha ritenuto che il decesso dipenda da “condotte penalmente rilevanti di terze persone”.Dopo essersi rivolto alla procura di Ferrara Davide si è rivolto al nostro giornale, Estense.com. Voleva raccontare quello che ritiene ingiusto. Non sono io a dover giudicare. Io posso solo raccontare. E, al di là di eventuali responsabilità e premettendo come punto cardine il diritto del paziente di non soffrire, quello che trovo in questa storia di cui Davide mi ha messo a parte è l’assenza di un diritto binario. Un diritto non codificato. Quello all’addio. Il diritto all’addio, all’ultimo saluto, all’ultimo sguardo, all’ultima carezza di mano non andava negato. Bastava forse una telefonata. Un messaggio.Magari Davide, in quel momento che non c’è stato, le avrebbe infilato l’anello al dito. Per tener fede, simbolicamente, alla loro promessa.L'articolo “Non ho potuto dirle addio”. Vi racconto la storia di Davide e della sua Mary proviene da Il Fatto Quotidiano.