Non è tutto oro ciò che luccica. Neanche sotto il sole scintillante della Premier League. Perché il campionato più opulento e seguito del Vecchio Continente sta cominciando a evidenziare qualche criticità. Sotto diversi punti di vista. La questione non è solo strettamente sportiva, ma anche gestionale. Mantenere in piedi un campionato in grado di bruciare tre miliardi di euro sull’altare del calciomercato in una sola estate non è semplicissimo. E più di qualche club rischia di trovarsi in difficoltà. La cronaca degli ultimi giorni è piuttosto ricca di situazioni tra lo spinoso e l’imbarazzante. Il panorama è variegato.C’è chi, come il Manchester United, deve raccogliere i cocci di una stagione fallimentare (culminata con un quindicesimo posto in campionato e la sconfitta in finale di Europa League contro il Tottenham) e chi, come il Liverpool, sta pensando a come racimolare poco meno di 150 milioni di euro per strappare Florian Wirtz al Bayer Leverkusen. Ma è nella terra di mezzo che qualcuno inizia ad arrancare. L’Aston Villa (214 milioni spesi in estate per ritrovarsi in Europa League) ha infranto i limiti del fair play finanziario e riceverà una multa da parte della Uefa. Proprio come il Chelsea, fresco vincitore della Conference League dopo un’iniezione di talento costata 281 milioni di euro.Il caso dei Blues, però, è più complicato. Il mercato in entrata è stato schizofrenico e bulimico. Tanto che non tutti gli acquisti si sono rivelati poi così azzeccati. In questi giorni il club ha fatto sapere di aver inserito nella lista dei partenti addirittura 14 giocatori (Joao Felix, Noni Madueke, Robert Sanchez, Djordje Petrovic, Renato Veiga, Ben Chilwell, Axel Disasi, Wesley Fofana, Trevoh Chalobah, Kiernan Dewsbury-Hall, Carney Chukwuemeka, Lesley Ugochukwu, Christopher Nkunku e Raheem Sterling), mentre nei giorni scorsi il club ha preso una decisione molto particolare sul futuro di Sancho. L’esterno offensivo è arrivato in prestito dal Manchester United con obbligo di riscatto a 20 milioni. La sua stagione non è stata negativa (5 gol e 10 assist in tutte le competizioni), eppure il Chelsea ha deciso di non riscattare il giocatore, preferendo pagare una penale di circa sei milioni di euro. Una mossa che si spiega anche con il mancato raggiungimento di un accordo economico tra Blues e giocatore (dovuta in parte alle restrizioni al tetto salariale in cui è incappata la nuova proprietà), ma che racconta bene anche la gestione abbastanza allegra del club.In una riunione tenutasi nei giorni scorsi, le società della Premier League hanno deciso di non modificare la regola che permette la vendita di immobili a società collegate alla proprietà dei club. È una norma che negli ultimi mesi ha suscitato il malcontento soprattutto delle squadre più piccole. Proprio il Chelsea, infatti, ha venduto due hotel di Stamford Bridge ad altre imprese comunque collegate alla proprietà del club, riuscendo così a rispettare le regole di “redditività e sostenibilità” previste dalla Premier League. È una soluzione che ha permesso ai londinesi di includere circa 83 milioni di ricavi extra nel bilancio successivo. Non si tratta, però, di una novità. Lo scorso anno il Chelsea ha venduto la sua squadra femminile a una società collegata incassando circa 237 milioni di euro. Una cifra che ha contribuito in maniera determinante alla registrazione di un utile netto di 154 milioni nell’esercizio chiuso al 30 giugno di un anno fa.Il problema, però, è che la Uefa non tiene conto di queste operazioni nel calcolo del suo Fair Play Finanziario. Significa che i Blues, alla loro prima violazione, saranno puniti con una multa. Ma se dovessero continuare a non avere i conti in regola, potrebbero andare in contro a una limitazione nel numero di giocatori da iscrivere alle competizioni continentali o a una penalizzazione. Il Chelsea però non è l’unico club inglese con il fiato sospeso. Grazie al successo per 1-0 sul City nella finale di FA Cup, infatti, il Crystal Palace ha conquistato anche un piazzamento nella prossima Europa League. Un risultato straordinario. O forse no. Perché i londinesi rischiano di non potersi iscrivere alla prossima competizione continentale. Tutta colpa (o forse merito) della regola sulle multiproprietà nel calcio. Il 43% del Palace è detenuto infatti da John Textor, che però è anche il proprietario del Lione, club qualificato nella stessa competizione degli inglesi. I rossoblù potrebbero essere così “retrocessi” in Conference League, dove però incontrerebbero il Brondby, il cui numero uno è David Scott Blitzer, a sua volta comproprietario del Palace. Una situazione da mal di testa che rischia di invalidare da un punto di vista burocratico quanto conquistato sul campo. In settimana sono iniziati i colloqui tra i vertici del Palace e della Uefa per trovare una soluzione. Ma al momento la pista più concreta porta alla cessione delle quote di Textor o di Blitzer. E anche alla svelta.L'articolo Gestioni spinose e casi imbarazzanti: anche nella luccicante Premier il sistema comincia a scricchiolare proviene da Il Fatto Quotidiano.