Jannik e Lorenzo, la differenza è nella gestione della pressione

Wait 5 sec.

Jannik Sinner rispose una volta che gli piace “danzare nella tempesta della pressione” a chi gli chiedeva se avesse un mental coach. Non ce l’ha, ma forse Darren Cahill svolge la funzione meglio di uno specialista. Quando, a fine stagione, l’australiano si autopensionerà, si porrà il problema. Nell’attesa, il ragazzo rosso non ha bisogno di ulteriori supporti psicologici. Oggi, nella sua semifinale sul rettangolo della Court Philippe Chatrier, gestisce senza apparenti ansie il rapporto con il più vincente tennista della storia, Djokovic, e con la pressione - appunto - alimentata dal pubblico che sostiene, come è giusto, l’underdog, ruolo che Novak ha interpretato raramente.Djokovic tiene testa a Sinner anche a 38 anniIl serbo, 38 compiuti il mese scorso, appare in condizioni strepitose, fisicamente integro, pimpante oltre che veloce, preciso e potente. In più occasioni, insieme esprimono il miglior tennis di questa edizione degli Internationaux de France, con scambi che fanno spellare le mani del pubblico in estasi. Come di consueto, il numero 1 Atp non cerca l’applauso, anche perché il suo gioco è così fluido da apparire talvolta banale, alla portata di chiunque. Tuttavia, dopo un’ora e tre quarti, al servizio avanti 5-4 nel secondo set, ha uno sbandamento che gli costa un controbreak.Djokovic e il problema fisicoAnche l’ultimo parziale è equilibrato, con Nole - rimesso in sesto da un massaggio nella pausa - che impazza tra incrociati e palle corte. Jannik per la seconda volta si trova a rischiare forte nel decimo game, quando deve annullare tre set point. Nel tie-break la pressione che piace a Jannik è massima. Ottiene un minibreak in apertura, un secondo quand’è in vantaggio per 5-2, poi chiude sul 7-3. Il punteggio finale è 6-4 7-5 7-6. L’uscita dal campo del vincitore di 24 slam è mesta.Finale Alcaraz-SinnerDopo la prestazione di oggi, Sinner non ripeterà più - ne siamo certi - che sta ancora cercando la forma dopo la forzata sosta di tre mesi. Alla undicesima partita dal rientro in circuito al Foro Italico, è pronto a tentare di battere Carlos Alcaraz, l’unico che può metterlo in difficoltà. Perché, tra due giorni, il titolo del Roland Garros se lo prenderà l’italiano o lo spagnolo, i co-padroni degli slam da Melbourne 2024.Per Musetti l’incubo AlcarazA differenza di Sinner, Musetti dispone di un mental coach. Di sicuro i due faranno quattro chiacchiere nei prossimi giorni. Parleranno della pressione, dei suoi effetti, di come sia difficile gestirla. Per un attimo, facciamo finta che quanto successo oggi alla fine del secondo set della semi con Alcaraz sia non un evento reale bensì un incubo del giovane carrarino che inizia con la sua sensazione che il murciano non sia più forte, né più preparato di lui, che ha vinto il primo set 4-6 e ora sta per servire per primo nel tie break. Poco prima, per due volte ha recuperato bravamente lo svantaggio di altrettanti break. È lui che dà le carte, quindi, non Carlos. Invece, tutto cambia in un attimo. Lo spagnolo s’invola, Lollo non lo contiene, si fa sfuggire il set. L’allievo di Simone Tartarini si guarda intorno, incredulo, impaurito, incapace di reagire. È come se avesse già perso il match. Poi si sveglia.Fosse davvero un incubo, per i freudiani rappresenterebbe il desiderio frustrato. Ma la frustrazione non è solo esterna: è spesso autoimposta, legata a inibizioni o a una conflittualità tra il desiderio conscio e l’inconscio. Il “competitor” diventa una proiezione del Super-Io. I seguaci di Jung, invece, parlerebbero di una manifestazione del nostro “doppio ombra”. In questo senso, colui che ci batte non è altro che una parte di noi stessi che ci mette alla prova. Nella psicologia più moderna, sogni simili sono collegati ad ansie da prestazione, o a paura del successo (non solo del fallimento). Il rivale “non migliore di noi” è una figura simbolica che rappresenta il timore che, nonostante tutto, ci sia qualcosa di intangibile che ci manca.La forza di AlcarazTorniamo alla realtà, quella vissuta dai due protagonisti in campo e vista dai quindicimila sulle tribune del Philippe Chatrier e dai milioni davanti agli schermi. La realtà è che Alcaraz è davvero più forte, più solido, più concentrato di Musetti. Nel terzo set non ha più un singolo minuto di pausa, macina gioco da ovunque e comunque. Adesso, improvvisamente, Lorenzo non dispone di alcuna delle armi che per più di un’ora e mezza hanno messo in grave difficoltà il murciano. È la frantumazione del palazzo di cristallo bellissimo - quello di Lorenzo - costruito nei primi due set con diritti e rovesci magistrali, con movimenti perfetti, con una tensione agonistica encomiabile. Carlitos colpisce e colpisce come una palla da demolizione, senza strafare, con calma e freddezza. Abbatte muri, pareti, sicurezze con metodo, fino a quando il numero 6 del mondo si ritira dopo otto-game-otto consecutivi ceduti (4-6 7-6 6-0 2-0). Da qualche minuto si toccava la gamba, forse dolorante, ma non aveva chiamato in campo il massaggiare né il medico.Musetti, problema alla coscia sinistraLa psiche non c’entra, fa intendere più tardi Musetti ai giornalisti. Tanto meno la pressione. Colpa della coscia sinistra, assicura. Per il resto, la sua è un’analisi lucida e onesta del match. Riconosce i meriti dell’avversario: “Carlos fa emergere i miei limiti”, ammette. Poi sottolinea come nei primi due set si sia sentito vicino al livello del campione spagnolo. Il problema fisico si sarebbe evidenziato all’inizio del terzo set, quando avverte un fastidio all’adduttore, in alto, sotto il gluteo, in una posizione diversa da quella di aprile a Montecarlo (in finale, ancora contro Alcaraz, sconfitta per 3-6 6-1 6-0). Il dolore, spiega, lo condiziona nei game successivi, non riesce più a stare negli scambi con le stesse intensità e mobilità. A quel punto, andare avanti sarebbe stato risultato rischioso. Forse però la verità sull’accaduto va cercata anche altrove.La crescita di MusettiResta il fatto che a 23 anni e 3 mesi, Musetti è ora saldamente tra i Top 10. Il continuo confronto, talvolta doloroso, con i migliori rappresenta un passaggio ineludibile per restarci a lungo. A Parigi ha eliminato Hanfmann, Galan, Navone, Rune e Tiafoe. Mica poco. Al termine del match, il team social del Roland Garros lancia un meme con lui sullo sfondo della Torre Eiffel: “Merci, Lorenzo”, dice la scritta in sfondato bianco. Ora deve resettarsi. Il bilancio del periodo è positivo: “Sono stanco. Questo mese è stato molto impegnativo: mi ha dato tanto, ma mi ha anche tolto tanto”, riferendosi forse alla lontananza dalla compagna, che è incinta, e del figlio Ludovico, che ha 15 mesi. Una pressione sistemica, direbbe qualcuno.Errani-Paolini in finale del doppioSara Errani e Jasmine Paolini meriterebbero più spazio di quello che dedico loro qui oggi. Nella Court Simonne Mathieu strapiena maltrattano un’altra volta le giovani russe Mirra Andreeva e Diana Shnaider. Le campionesse olimpiche non concedono alcuna palla break e strappano il servizio alle avversarie sei volte. Finisce 6-0 6-1. Domenica mattina per la romagnola e la toscana sarà seconda finale consecutiva a Parigi: l’anno scorso persero contro Coco Gauff e Katerina Siniakova. Affronteranno la nuova coppia, nel senso che giocano insieme da poco, formata da Anna Danilina e Aleksandra Krunic. La russo-kazaka e la serba hanno superato in semifinale Ulrikke Eikeri ed Eri Hozumi. Sara e Jasmine le conoscono per averle incrociate nei tornei di singolare, mai in doppio. Ci faranno divertire, prima di vedere Sinner vs. Alcaraz.