Kappa FuturFestival: don’t try this, se non è la tua cosa

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È bello partire dal presupposto di avere dei lettori intelligenti. È bello, perché sai che anche se fai ragionamenti un po’ meno basic della media da slide di Instagram il tuo articolo avrà comunque un pubblico, non resterà isolato nel nulla. È in realtà anche stimolante oltre che bello, oltre che consolatorio: perché ragionando così, partendo cioè dal presupposto di avere un’audience attenta e non bovina o prevenuta, di questi lettori ti capita spesso di immaginare le osservazioni, le critiche, le contestazioni – e pensare preventivamente a come affrontarle dà maggiore spessore a quanto ti capita di scrivere. Ragioni infatti non solo per quello che vuoi dire (o spingere, magnificare, infiocchettare, viralizzare…), ma anche per quello che chi ti legge ti potrebbe dire ed obiettare, costringendoti così a dare un giro di elaborazione teorica ed argomentazione in più. Spesso nel farlo impari tu per primo, tu che scrivi, sì: ti chiarisci le idee. Le rafforzi. In qualche caso, le cambi.Ecco allora che nello scrivere – spoiler! – un report molto, molto, molto positivo dell’edizione 2025 del Kappa FuturFestival torinese, invece di tuffarsi nella mera compilazione di quanto è stato figo questo, quanto è stato spettacolare quello, quanti numeroni ci sono stati di qua, quanti nomoni ci sono stati di là e, insomma, quant’è bella la musica elettronica e “…abbracciamoci tutti”, ecco, prima di fare tutto questo ti ricordi che dovresti, anzi, devi partire da una base di ragionamento molto, molto diversa.Molto diversa, ed anche piuttosto critica.Ovvero: il Kappa FuturFestival rappresenta perfettamente e plasticamente quel “Sistema” che da un po’ di tempo a questa parte su queste pagine tanto si critica. Perché negarlo? Perché nasconderlo? Perché ometterlo? Il Kappa FuturFestival – e in misura minore Nameless, ma ci arriviamo – rappresenta alla perfezione quanto il mondo della musica elettronica “nostra” sia diventato un playground prima di tutto per poterti forti, per grandi investimenti, per pubblici che cercano più il nome “da Instagram” che la sostanza narrata da chi-ne-sa(peva), così come per agenzie di booking in grado di offrire tanto e pretendere tantissimo e per festival che a colpi di soldi, grandeur ed arroganza hanno sfrattato dall’immaginario collettivo il clubbing come pratica sociale per sostituirlo invece con l’etica e l’estetica dello spettacolo son et lumière, uno spettacolo però a grandi dimensioni e ad economia scalabile solo da chi gestisce milioni e milioni di euro.(Più folla che Anyma; continua sotto) Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Anyma (@anyma)Che tutto questo sia pericoloso, che rischi di snaturare ed avvelenare i principi migliori della club culture più autentica, che possa a portare a derive in cui non vincono i più bravi e i più onesti ma i più squali, denarosi e cinici, lo abbiamo scritto cento volte; e, onestamente, altre cento volte lo scriveremo. Fidatevi. Tuttavia, questo report che avete iniziato a leggere sarà essenzialmente un grado atto d’amore e di stima verso il Kappa FuturFestival.…ma come?!Com’è possibile? Amore per il FuturFestival? Che rappresenta e si basa su ciò di cui si parla male già da mo’? Cos’è? Ipocrisia? Paraculaggine? Banderuole al vento che s’agitano instancabili ed impazzite, un giorno alfieri dell’underground, il giorno dopo barboncini del capitalismo, a seconda del momento e della convenienza?…ed è qui che ti capita di avere fiducia nell’intelligenza del lettore: un lettore che non ragioni solo ed unicamente per A e B (anzi: A versus B), ma che abbia invece la voglia di affrontare ragionamenti un minimo stratificati.Un lettore che sappia contestualizzare, prima di tutto. Sì. Un lettore che sappia in qualche maniera giocare a scacchi, calcolando le mosse (aka le opinioni e prese di posizione) in prospettiva – ed accettando soprattutto il fatto che ci siano diversi livelli di gioco. Consapevole magari del fatto che il punto spesso non è a quale livello di gioco ci si trova al momento, no, ma semmai a quello livello di gioco si ambisce, quale si ritiene più giusto per sé, e a cosa si è disposti a rinunciare per arrivarci. Perché ad immaginare cosa si può “vincere” e guadagnare sono bravi tutti, soprattutto i più superficiali; ma sapere a cosa si è disposti a rinunciare (e a cosa no), beh, è per giocatori più che abili. O, almeno, più che consapevoli. Hai detto nulla.È molto utile capire cos’è il Kappa FuturFestival oggi. Anzi: è fondamentale. E la morale è: don’t try this at home. Detto meglio: don’t try this, se non è la tua cosa.(Anche a due artisti ben navigati come Dj Tennis e Seth Troxler non capita spesso di suonare di fronte ad un pubblico così; continua sotto) Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da DJ Tennis (@djtennis)È infatti abbastanza impressionante quello che il Kappa è riuscito a raggiungere. E l’ha fatto anno dopo anno, passo dopo passo, con pochissimi aiuti esterni.Ha raggiunto – e superato – la soglia delle 100.000 presenze complessive (quest’anno si è arrivati, comunicati stampa alla mano, a 120.000, ed è una cifra molto vicina alla realtà). Ha trovato il modo di costruirsi un appeal internazionale, (unico festival musicale italiano a farlo ad oggi con numeri reali, grossi, imponenti). Ha trovato il modo di superare la burocrazia italiana e la miopia di molti organi politico-amministrativi, che spesso fanno di tutto per preservare e tutelare se stessi e il proprio presunto elettorato più ottuso invece di facilitare l’impresa e la liberazione di energie economiche e creative, in un gioco al ribasso che da decenni affossa il nostro Paese. Ha portato nel cuore diurno di un tessuto urbano di una città di quasi un milione di abitanti una musica ed una cultura, quella elettronica dei dancefloor, che per mille motivi sembrava naturaliter obbligata ad esser nicchia, ad esser nascosta di notte, ad essere cultura di serie B, ad essere sguaiato disimpegno e non positiva bandiera identitaria, e/o ad essere altero e residuale underground e non forza in grado di unire ceti e contesti. Ha ottenuto, infine, alcuni significativi riconoscimenti istituzionali, che portano zero soldi in realtà, ma possono (e devono) fare da rompighiaccio anche per altre realtà che vogliono cimentarsi nel rendere grande, popolare e significativa l’etica ed estetica da dancefloor, oltre a dare comunque prestigio e un minimo di accreditamento per sé.Ma: per riuscire a fare tutto questo, ha scelto di accettare, abbracciare e cavalcare le logiche più turbocapitaliste del mercato, anche quelle più velenose, ciniche e spregevoli? Vero.Assolutamente vero.Lo ha fatto.La prima domanda da porsi è: scelta spontanea o obbligata, questa? Ma, a ben vedere, forse la risposta a questa domanda è irrilevante, almeno nel momento in cui si prende atto dei risultati che sono stati raggiunti, raggiunti per davvero, non solo a parole e a colpi di comunicati stampa ed articoli accomodanti. Quello che infatti non è ancora forse chiaro a tutti è quanto il Kappa FuturFestival sia diventato un fenomeno – usiamo di nuovo l’aggettivo – popolare, un fenomeno oggettivamente globale che va oltre il mero discorso musicale, e questo senza compromettersi, senza “addomesticarsi”. Nei giorni del KFF passeggi per Torino e vedi una marea di stranieri che palesemente sono lì per il festival, li riconosci!, così come vedi molte persone che nel momento in cui si dirigono verso il Parco Dora hanno un dress code ben preciso, un dress code quasi ingenuo nel suo essere unpretentious, un dress code tra l’altro non imposto, non dettato da qualche hipsterismo fashionista di turno, bensì libero, spontaneo, naturale, comodo in primis dal partire dai centimetri di pelle scoperta, tali per comodità e senso di libertà, non per ostentazione o calcolo a favore di story.Il Kappa FuturFestival non ha lavorato sulle mode: le ha eventualmente di tanto in tanto usate, anche per restare aggiornato, per non diventare lo stanco monumento di se stesso, e se ne è poi in qualche caso pure fatto usare per reciproco tornaconto, ok; ma tutto ciò lo ha fatto in primis per dettare una propria linea, una propria identità coerente con le proprie origini, non c’è stata insomma nessuna coachellizzazione – ed è una identità appunto profondamente libera, chiara, alla mano e globalizzata, aggettivo che qui entra in campo nella sua accezione migliore (quella che localismi, sovranismi e bellicismi rischiano di soffocare), così come è una identità profondamente inclusiva, nel senso più nobile, naturale e spontaneo del termine, senza cioè pedagogiche lezioncine e pedanti correctness stabilite da pochi ad obbligo e guida di tutti.(Per i cinici un messaggio ingenuo, per chi era lì ed era “Finally normal people“, come dice un cartello visibile in una delle slide, un messaggio comunque forte; continua sotto) Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Kappa FuturFestival Official (@futur_festival)Ma poi, un’altra considerazione: nel momento in cui il KFF dedica un palco – uno dei principali, il Solar – alla techno-dei-ventenni, quella tutta veloce e ultracolorata ed anche un po’ macchiettistica e superficiale rispetto alla sacra mentalità techno delle origini, hai come la percezione che lo faccia più per rinnovarsi stando nel solco del suo DNA dancefloor-oriented che per una affannosa ricerca di nuovi nomi e nuovi pubblici perché i “soliti” headliner non tirano più abbastanza. Differenza solo in apparenza sottile, in realtà profonda.Questo perché il FuturFestival è diventato grande abbastanza da poter diventare una nazione pluripartitica e multiconfessionale che accoglie tutto e tutti, a partire dai padri fondatori: perché difficilmente Octave One suoneranno di fronte a così tanta gente nella loro carriera come al Parco Dora a Torino, difficilmente Joe Claussell e Ron Trent avranno così tanti ventenni davanti, difficilmente Lil Louis avrà la responsabilità di chiudere un festival così grosso e così “commerciale” dal main stage (…e facendolo mentre su un altro palco sta suonando live Caribou, con a lato palco Peggy Gou, Diplo, Charlotte De Witte ed Enrico Sangiuliano a guardare e ballare coinvolti e convinti, invece di rintanarsi nelle aree VIP del backstage). Al tempo stesso, tuttavia, lo sguardo verso il presente, anzi, l’iper-presente è sempre attento e prioritario: e onestamente è vero che quanto visto al Solar non sarà la techno di Detroit, è un qualcosa che ha più adrenalina che anima&stile, più divertimento pronto-uso che profondità di pensiero, ok, però è pure vero che tutto questo diverte, coinvolge, è attuale, e alla fine dal ballo e dalla club culture vogliamo (anche) questo, non solo discorsi conservatori, accigliati e nostalgisti, che erano quelli che facevano i nostri padri appassionati di Beatles e Led Zeppelin contro la house e techno che ci stregavano il cuore (e le pupille).Le declinazioni di questo approccio “aperto”, transagenerazionale, multistrato e che non si vergogna di essere ambizioso numericamente si declinano su diversi campi, e si riflettono sulla geografia umana che via via ha popolato il festival.Il pubblico del Kappa Futurfestival è infatti tanto, tantissimo, ma mai troppo (merito dello studio ogni anno più attento ed efficace sui flussi di spostamento dentro l’area del festival); è spesso a torso nudo, tatuato e palestrato, ma guarda un po’ da anni mai aggressivo, mai predatorio; è truccatissimo e brillantinoso, sì, ma mai con l’idea di mettersi in posa e vivere solo per Instagram; soprattutto, il pubblico del KFF in modo organico e voluto mette sullo stesso piano chi sa vita, morte e miracoli di ogni singolo nome in line up e chi invece viene solo perché è una “…gran bella festa”, più tutti quelli in mezzo fra questi due estremi: e questa cosa di mescolare pubblici ed attitudini è una cosa che sarebbe il caso di rivalutare anche nelle cerchie più esperte, snob ed educate dell’elettroniche, visto che sarebbe uno dei fondamenti del ballo e del clubbing (…come del resto insegnava, ma in chissà in quanti l’hanno capito, il Dissonanze di Giorgio Mortari, da tutti citato, da non tutti realmente compreso).Come è arrivato a tutto questo, il Kappa Futurfestival? In due maniere: investendo, e sbagliando.Investendo tanto, sbagliando tanto.Nel momento in cui vuoi creare una festa profondamente popolare ed internazionale, devi schierarti sul campo delle scelte e dei booking popolari ed internazionali; e il fatto che tu debba farlo proprio quando il booking in questione è in piena bolla speculativa, con costi esorbitanti ed ingiustificati scaricati sui promoter ormai da una decina d’anni e passa, ti pone davanti ad una scelta netta – insistere o mollare. Se insisti, però, devi farlo fino in fondo. Il Kappa FuturFestival di anno in anno è sempre andato in direzione della crescita, ha sempre investito di più da un’edizione all’altra; lo ha fatto anche quando le cose non andavano bene bene, eppure è sempre stato coerente col suo progetto ed ha sempre rilanciato, perché il rilancio, la grandezza è parte integrante del suo percorso, della sua anima. Alla lunga tutto questo ha pagato; ma ehi, per lanciarsi in un gioco del genere bisogna avere le spalle larghe ed una motivazione forte, bisogna mettere in conto anni ed anni di bilanci in rosso e notti poco dormite, per la paura di perdere molto, di perdere tutto.Altra fattore fondamentale per la crescita del KFF fino ai livelli attuali, gli errori. Sì: gli errori. Averli fatti, ed aver però avuto l’umiltà di capire a chi rivolgersi per risolverli, incorporando in modo sempre crescente nel proprio team di lavoro delle figure di comprovata esperienza pregressa, edizione dopo edizione, ha fatto la differenza. Avere solo-grandi-nomi-in-line-up o quasi implica infatti una pressione sul team produzione che è enorme, gigantesca: richieste tecniche impegnative, richieste logistiche sfibranti, bizze, pretese fuori luogo, sopportare errori altrui che però ti vengono rinfacciati come se fossero errori tuoi… Tutte queste cose sono nel menù di quando si decide di giocare ai più alti livelli. Non è bello che sia così? Indubbiamente. Non è giusto che sia così? Indubbiamente no, non lo è. Ma se il tuo obiettivo è chiaro e dichiarato, ed è appunto quello tra le altre cose di dare vita ad un evento che stupisca per dimensioni e per la naturalezza con cui queste dimensioni le destreggia, la via è obbligata.Lavorando duro e tenendo duro, ad un certo punto comunque arrivano dei bonus, e meno male: ci sono artisti grossi che impongono alle loro agenzie di booking di suonare da te, così come ci sono agenzie di booking grosse che ti trattano con un minimo di riguardo e sì, ti spennano per quanto possibile, vero, ma senza esagerare, senza tirare troppo la corda, perché hanno imparato a rispettarti e sanno che tu sai la differenza tra tirare sui margini e provare ad inculare. Ma tutto questo è status a cui si arriva dopo anni ed anni, non è qualcosa che si può avere subito, per diritto divino, perché si è simpatici, perché si è gran esperti di musica o perché si allunga la bamba alle persone giuste. Il team a capo del Kappa FuturFestival il rispetto se lo è guadagnato sul campo, anche perché hasempre trovato il mix tra cresta alta ed arroganza e fair play, senza mai puntare solo sulle prime (al contrario di altri), ed anche perché ha spessissimo ammesso i propri errori (anche qui al contrario di altri).Caratteristiche queste che sono rovesciabili anche su Nameless, l’altro grande evento outdoor italiano, con la differenza che Nameless parte fin da subito come evento (più) commerciale, avendo preso il via sulla prima onda lunga dell’EDM, mentre il Kappa FuturFestival è figlio della techno detroitiana, di Movement, di un clubbing in origine elitario ed anticommerciale, altero ed alternativo. Per il Kappa è stato più difficile crescere ma, al tempo stesso, non sconfessare le proprie radici, non fare finta che non siano mai esistite; le super line up “da intenditori” che ci sono al palco Kosmo sono in realtà uno “spreco”, è da sempre il palco meno frequentato del festival (ma ehi, quanta gente c’era quest’anno per Kerri Chandler!), però siamo abbastanza sicuri che a quel palco non si rinuncerà mai, perché raccontare l’albero genealogico e qualitativo dell’ecosistema in cui è nato e cresciuto il festival è visto come un imperativo. Lo si taglierà, probabilmente, solo se il KFF sarà ceduto a qualche fondo. Speriamo non accada mai.(Come il buon vino: Dj Hell allo stage Kosmo; continua sotto) Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Kappa FuturFestival Official (@futur_festival)Altro esempio significativo è la presenza quest’anno di Spoor, il fantastico progetto capitanato da Speedy J. Sarà perché la gente è distratta, sarà perché la gente è superficiale, sarà perché “Spoor” è sicuramente meno efficace come dicitura rispetto a mettere “Speedy J featuring Mathew Jonson, Surgeon, Fjaak & many more”, il dato di fatto è che soprattutto nel primo giorno – quello tra l’altro che ha dato i frutti musicalmente migliori – poca gente si è fermata lì ad ascoltare questo processo improvvisativo di techno a più layer. Però se parlavi coi fondatori del festival, gli si illuminavano gli occhi per il solo fatto di essere stati i primi ad ospitare, fuori dall’Olanda, questo esperimento artistico. C’è infatti ancora una forte componente ideale nel nucleo a guida del festival. L’errore che si fa è pensare che gli ideali siano per forza escludenti: ovvero, non puoi “tifare qualità e profondità” da un lato, e mettere insieme Lilly Palmer e Patrick Mason sul palco Solar dall’altro.Ma perché? Chi l’ha detto?Col suo approccio ecumenico, e qualcuno direbbe paraculo o qualcun altro direbbe avido ed assetato di profitto, Kappa FuturFestival col tempo ha via via riunito attorno a sé come pubblico età diverse, attitudini diverse, nazioni diverse. E nel farlo, ha messo una grande attenzione nel fornire palchi sempre migliori, bar sempre più numerosi, line up sempre più spettacolari, impostazioni logistiche sempre più calibrate.(Non male il tramonto, in questa foto di Antonio Corallo scattata dal Futur Stage; continua sotto)Il prezzo è stato “vendere l’anima al diavolo”, ovvero accettare le logiche più spietate del mercato: perché o così o fai altro, o così e accetti di essere solo un boutique festival (ma quanti boutique festival, oggi, sono già nel loro piccolo strangolati dal mercato, per giunta con potere negoziale nullo?). Chiaro che il sistema del pagamento con bracciale non è il massimo, perché col suo funzionamento ti spinge sempre a sprecare qualche euro, chiaro che i prezzi dei bar sono alti (birre e acque in particolar modo), però è anche vero che i costi unitari sia di biglietti che di abbonamenti sono onestissimi, rispetto a quello che è l’offerta artistica (e la bellezza del luogo, e la difficoltà di allestirlo e renderlo sicuro).Il Kappa FuturFestival è diventato quel tipo di festival a cui puoi portare amici che di elettronica sanno poco e frequentano nulla, ma una volta al Parco Dora restano prima a bocca aperta e poi si divertono un sacco. Così come è un festival dove comunque, se cerchi bene, se non fai il giochetto di “Se c’è quella merda commerciale in line up io col cazzo che ci vado a quel festival”, trovi un mare di qualità (…e non è vero che sia solo una foglia di fico, uno sfizio degli organizzatori che poi il pubblico non si fila: le folle per i live di Floating Points – mentre nello stage contiguo sciabordavano in b2b Anyma e Solomun – e Caribou lo dimostrano, di Kerri Chandler abbiamo già detto, pure Dozzy ormai ha lo status di star all’interno del festival tanto quanto un Dixon).Il Kappa FuturFestival non è e probabilmente non sarà mai il festival dove scoprire le nuove tendenze, le sperimentazioni di oggi che diventeranno il mainstream di domani, le sofisticazioni coraggiose che cambiano le regole del gioco, in questo è molto diverso dal concittadino C2C: al KFF vieni a suonare ben pagato e ben ospitato e per mille motivi opti per andare a colpo sicuro, ed il pubblico è talmente ampio che certe dozzinalità – vedi quelle fatte quest’anno da Anyma e Peggy Gou, ma non solo loro – sono addirittura incoraggiate, apprezzate. Ci vuole però comunque polso e personalità per salire sugli stage del festival del Parco Dora, ci vuole comunque piglio per tenere migliaia, anzi, decina di migliaia di persone a ballare davanti a sé, e quando qualcuno è bravo – vedi Carl Cox col suo live, vedi Charlotte De Witte, vedi Enrico Sangiuliano, vedi il back to back tra Adiel e Quest, quello tra Dj Tennis e Seth Troxler – anche se non sta facendo chissà che di sorprendente, beh, la differenza la senti, la percepisci.(Lo sappiamo, in realtà volete che vi parliamo di questo coglionazzo, come stanno facendo tutti, e non tanto o non solo degli artisti – beh, ora ci arriviamo; continua sotto) Visualizza questo post su Instagram Un post condiviso da Trance Generator (@trance_generator)Insomma, riassumendo: Kappa FuturFestival quasi ogni anno è sempre meglio, e quest’anno è stato davvero un’esperienza bellissima. Vero: è un festival che rappresenta senza troppo girarci intorno anche l’anima della business techno che tanto rischia di avvelenare i pozzi e di crescere una generazione di ascoltatori entusiasti ma superficiali, però in realtà rappresenta così tante cose e così tanti valori importanti da far pendere alla fine la bilancia nettamente a suo favore, se il criterio è capire chi fa qualcosa di buono per la scena, per la musica, per le persone. A questo è arrivato dopo un lungo viaggio fatto (anche) di mutamenti, di errori, di aggiustamenti, ma certi valori fondanti sono rimasti intatti. Kappa FuturFestival è in fondo quello che la musica elettronica e il ballo dovrebbero sempre ambire ad essere: un’utopia possibile. C’è chi vuole esserlo per una nicchia selezionata ed illuminata, c’è chi vuole esserlo in maniera popolare, inclusiva e commerciale.Queste due declinazioni possono coesistere.E tutt’e due hanno pro e contro.Di sicuro, il Kappa FuturFestival 2025 è stato una grande messe di “pro”. Poi chi sta a casa e a chi al Parco Dora non c’era si concentrerà sui filmati del coglionazzo che ha scalato la torre di 30 metri e, vivaddio, è stato poi tirato giù dai pompieri, interrompendo così per un’ora parte del festival e seminando panico e presa ammale, perché se cadeva sicuro che si sfracellava. Si concentrerà su questo, e farà battute, battutine, chi “da sinistra” (ecco cosa succede in festival dozzinali e commerciali come il Kappa! Come se in contesti più elitari e sofisticati mancassero gli imbecilli e i fuori di testa…), chi “da destra” (ecco cosa succede nei festival con la musica unz unz, solo drogati e teppisti pericolosi per sé e per gli altri! Quando in realtà il “clima umano” al KFF è da anni per lo più esemplare ed invidiabile, soprattutto considerando ci si radunano 30/40.000 persona al giorno…).C’è chi fa le battutine dal divano. C’è chi lavora. C’è chi balla. I secondi e i terzi hanno dato vita ad uno dei festival di musica elettronica ormai definitvamente tra i più suggestivi e quotati al mondo; i primi, un cazzo.The post Kappa FuturFestival: don’t try this, se non è la tua cosa appeared first on Soundwall.