La mia solidarietà a Linda Maggiori, attaccata per la sua inchiesta sulla cybersicurezza israeliana

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Conosco Linda Maggiori da qualche anno, da quando ci siamo incontrati la prima volta a Faenza per difendere Julian Assange dalla violenza e dal sopruso. Più volte, in seguito, ci siamo incontrati per le strade che vorremmo portassero alla pace, allo sviluppo sostenibile, alla civile convivenza dell’uomo con l’uomo, con la natura e con il creato intero. Con diverse opzioni, da diverse strade, con diverse formazioni e saperi ci troviamo a percorre strade nuove che vorremmo portassero a nuove forme di giustizia ed equità.Con Linda, poi, condivido la professione. Una nobile e storica “missione” sociale e civile di “portare alla luce ciò che è nascosto” – per dirla con Horacio Verbitsky – resa oggi ancora più nobile dal precariato e dallo sfruttamento a cui sono sottoposti i giornalisti/e “non contrattualizzati/e” o “collaboratori/e”.Immaginate, dunque, con questo presupposto di conoscenza come sono rimasto, quando ho letto su un pezzo di mera propaganda, anonimo nel contenuto e nella paternità, pubblicato sulle pagine di due noti social media (anch’esse anonime) che la mia amica Linda; un altro collega; due attivisti “della causa ProPal” (sic) e, badate bene, lo stesso presidente della Regione Emilia-Romagna sarebbero a libro paga di non si sa bene chi.Ebbene, per come conosco Linda, per il suo modo di vita: parco, misurato e sostenibile, non posso che essere certo che le fonti del suo reddito siano certe e, sfortunatamente, fin troppo parche e misurate. Sugli altri non ho motivo di dubitare, pur avendone una conoscenza limitata e indiretta, soprattutto per il presidente della Regione i cui redditi oltre ad essere certi e pubblicati annualmente, sono il frutto dell’appannaggio che ciascun cittadino emiliano-romagnolo (in regola con il fisco) contribuisce a conferirgli.Lascio a ciascuno la libertà di approfondire il perché di tale iniziativa, a dir poco, “volgare” e infondata – nella forma, nei metodi e nella sostanza – operata da ignoti anonimi – che non mi azzardo a definire “a libro paga” ma, certamente, interessati sì – alle sorti di un’azienda azienda italo-israeliana che si occupa di cybersecurity.“Interessati” al punto di accusare di razzismo, antisemitismo e nazifascismo Linda e gli altri considerati colpevoli, oltre che di finanziamenti occulti, anche di aver fatto fallire, con diverse gradazioni di responsabilità, l’annuale summit “Zero Trust Cyber Security Summit 2025” a cui, peraltro, il presidente de Pascale ha tolto il patrocinio sospendendo, perdippiù, qualsiasi rapporto tra Regione e Stato d’Israele fino a quando durerà l’azione militare contro il popolo palestinese.Solidarietà, quindi, a Linda e a tutti gli altri “ostracizzati” dagli attivisti interessati alle sorti dell’azienda italo-israeliana ricordando che purtroppo la democrazia per le persone perbene è indispensabile ma faticosa soprattutto nella fase in cui, come ricordava Umberto Eco nel 2015 a margine della sua laurea Honoris Causa in Comunicazione e Cultura dei media: “I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.Per saperne di più:https://www.facebook.com/share/p/16F4tNPPGf/https://www.facebook.com/share/p/19G5ze6Qub/L'articolo La mia solidarietà a Linda Maggiori, attaccata per la sua inchiesta sulla cybersicurezza israeliana proviene da Il Fatto Quotidiano.