di Giuseppe Gagliano –Francesca Albanese, la relatrice speciale dell’ONU sui diritti umani nei territori palestinesi occupati, è finita nella lista nera di Washington per aver osato criticare Israele. La giurista italiana aveva messo nero su bianco accuse precise: un rapporto che cita oltre 60 aziende, comprese alcune americane, per il loro sostegno diretto e indiretto agli insediamenti illegali in Cisgiordania e alle operazioni militari nella Striscia di Gaza. Tanto è bastato perché il segretario di Stato Marco Rubio annunciasse il 9 lugli, sanzioni personali contro di lei, accusandola di “azioni penali ingiustificate” contro cittadini israeliani presso la Corte penale internazionale.La reazione al Palazzo di Vetro è stata immediata. Volker Turk, Alto Commissario ONU per i diritti umani, ha invitato Washington a tornare sui propri passi, ricordando che “anche di fronte a divergenze profonde, il confronto deve restare costruttivo”. Ancora più esplicito Jurg Lauber, presidente di turno del Consiglio ONU per i diritti umani: “Gli Stati devono evitare ogni forma di intimidazione o ritorsione verso i nostri esperti”.Eppure il clima si fa pesante. Mariana Katzarova, relatrice ONU sui diritti umani in Russia, ha parlato di “precedente pericoloso” che altri governi potrebbero sfruttare per zittire le voci critiche. La Russia da parte sua ha respinto il mandato di Katzarova, ma finora non è arrivata a metterla sotto sanzioni.Dietro questo episodio si muove una strategia americana ormai chiara: smontare, pezzo dopo pezzo, ogni organismo internazionale che possa mettere in discussione l’impunità di Israele. Non a caso, negli ultimi mesi Washington ha colpito anche i funzionari della Corte penale internazionale, dopo che l’Aja ha emesso mandati d’arresto contro Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa per presunti crimini di guerra a Gaza.“La Casa Bianca sta demolendo le regole e le istituzioni da cui dipendono le vittime di gravi abusi”, ha dichiarato Liz Evenson di Human Rights Watch. Kenneth Roth, ex direttore dell’organizzazione, parla senza mezzi termini di “un tentativo di soffocare le indagini sui crimini di guerra e sul genocidio a Gaza”.Da febbraio gli Stati Uniti si sono ritirati dal Consiglio ONU per i Diritti Umani, denunciando un presunto pregiudizio anti-israeliano. Ma il caso Albanese conferma che la loro uscita non significa neutralità: al contrario, Washington intende ridefinire le regole del gioco per garantire che nessuno osi toccare lo status quo in Palestina.Intanto, mentre le cancellerie dibattono e i governi si schierano, a pagare il prezzo più alto restano i civili. E le istituzioni internazionali, già fragili, rischiano di vedersi svuotate dall’interno.