di Giuseppe Gagliano –A Tunisi la sentenza è arrivata come un colpo di scure: Rached Ghannouchi, figura storica dell’Islam politico tunisino e leader del partito Ennahda, è stato condannato a 14 anni di carcere per “complotto contro la sicurezza dello Stato”. Con lui, una ventina di personalità politiche, tra cui l’ex capo di gabinetto di Kais Saied e il genero di Ghannouchi, Rafik Abdessalem, hanno ricevuto pene fino a 35 anni. Alcuni processati in contumacia, altri in condizioni che i sostenitori definiscono arbitrarie, in quello che i media locali hanno ribattezzato “l’affaire complot 2”.Questo processo non è un caso isolato. È l’ultimo tassello di un mosaico inquietante che descrive la Tunisia di oggi: un Paese passato, in meno di dieci anni, dalla speranza democratica della Rivoluzione dei Gelsomini a una realtà in cui ogni dissenso è soffocato nel nome della sicurezza nazionale.Dal luglio 2021, quando Kais Saied ha operato il suo “coup de force” sciogliendo il Parlamento e accentrando su di sé tutti i poteri, la Tunisia è scivolata lentamente ma inesorabilmente verso un modello autoritario. Saied si è presentato come il “salvatore” di un Paese dilaniato dall’instabilità politica, dalla crisi economica e dal pericolo islamista.I suoi sostenitori vedono in queste condanne la prova di uno Stato che finalmente reagisce ai complotti interni e alle trame straniere. I detrattori, invece, parlano di un presidente che, per consolidare il proprio potere, ha avviato una purga sistematica contro tutti: islamisti, oppositori laici, giornalisti, magistrati e persino avvocati critici del regime.Sotto la bandiera della “lotta al caos”, Saied ha trasformato la fragile democrazia tunisina in un presidenzialismo senza contrappesi.Ma la storia, in Tunisia, non è mai bianca o nera. Ghannouchi e il suo partito Ennahda non sono i paladini della democrazia che qualcuno vorrebbe dipingere. Dopo la rivoluzione del 2011, il partito islamico è salito al potere, ma ha mostrato presto i limiti di un’agenda politica incapace di conciliare religione e Stato.Sotto la guida di Ghannouchi, Ennahda ha favorito l’emergere di un comunitarismo divisivo, ha intrecciato rapporti con ambienti vicini ai Fratelli Musulmani e ha beneficiato del sostegno discreto del Qatar. In quegli anni la Tunisia ha conosciuto una paralisi istituzionale e ondate di instabilità che hanno eroso la fiducia nella giovane democrazia.Il caso tunisino è emblematico di un dilemma più ampio: quando un sistema istituzionale fragile implode, le società sembrano oscillare tra due estremi ugualmente pericolosi. Da un lato l’Islam politico, che mina le basi dello Stato moderno; dall’altro l’autoritarismo, che soffoca ogni spazio di libertà.L’occidente osserva con ambivalenza. Se da una parte denuncia la deriva autoritaria di Saied, dall’altra fatica a nascondere il sollievo per il colpo inferto a Ennahda e ai suoi legami transnazionali. La Francia, storicamente legata alla Tunisia, mantiene un atteggiamento prudente. Gli Stati Uniti, concentrati su altre aree di crisi, hanno delegato la questione tunisina all’Unione Europea, che appare divisa e titubante.Intanto attori regionali come l’Egitto di al-Sisi e gli Emirati Arabi Uniti sostengono apertamente Saied, vedendo nella repressione dell’islam politico un tassello strategico per la stabilità del Nord Africa.Per la Tunisia la domanda è drammatica: può uno Stato mantenere ordine e sicurezza senza sacrificare le libertà fondamentali? La storia recente dice di no.Il rischio è che Saied, nel tentativo di estirpare il “virus” islamista, finisca per replicare i meccanismi del potere personale che la rivoluzione del 2011 aveva cercato di spezzare. Con un Parlamento ridotto a comparsa e una magistratura sotto controllo, il sistema tunisino appare oggi più vulnerabile che mai.La Tunisia è intrappolata tra due mali: da una parte l’Islam politico politico che ha tradito le speranze post-rivoluzionarie; dall’altra un autoritarismo strisciante che soffoca ogni voce dissidente.Solo un ritorno a una sovranità autentica, libera tanto dal comunitarismo religioso quanto dalle ingerenze straniere, potrebbe offrire al Paese una via d’uscita. Ma la finestra di opportunità si sta chiudendo.Se il passato insegna qualcosa, è che l’ordine senza libertà è fragile quanto la libertà senza ordine.