Uno dei festival più affascinanti d’Europa, se non del mondo: la prima immagine che viene in mente è la sua Dance Arena, iconica ed amatissima dagli artisti (si crea infatti un’atmosfera davvero pazzesca, e si va avanti ben oltre l’alba), ma in realtà sono tantissime le cose che rendono Exit un evento davvero speciale. La posizione, ad esempio, nella deliziosa cittadina di Novi Sad; la venue, la fortezza di Petrovaradin, la seconda cittadella fortificata più grande d’Europa, con uno dei lati che cade a picchio sul Danubio; l’offerta, con ogni edizione che offre mai meno di una ventina di palchi, quindi c’è davvero la possibilità di vedere un po’ di tutto (il sottoscritto c’ha visto Jamiroquai, Portishead, Nick Cave, Morrisey, oltra al gotha del clubbing mondiale, ma anche una miriade di act dell’Est Europa notevolissimi); la gente, con le sue decina di migliaia di persone a sera che sono prese bene, sorridenti, entusiaste, senza nessuna divisione o ciarpame machista o nazionalista. Ve ne abbiamo parlato più volte. Soprattutto, di Exit va ricordata la storia e la ragion d’essere: si tratta di un festival nato sull’onda delle proteste contro lo spregevole Slobodan Milošević che, di pari passo col suo omologo croato Tudjman, è il primo responsabile dello sprofondare nei nazionalismi e nell’odio dei Balcani negli anni ’90. Originariamente infatti si era trattato di una maratona di concerti che doveva intorrempersi solo con le dimissioni e/o la caduta di Milošević (da qui il nome “Exit“), poi tutto si è trasformato in un festival “normale”, adottato però subito da artisti ed agenzie politicamente sensibili perché Exit non era solo impresa, era anche affermazione di valori ed impegno politico, ed è così che in poco tempo l’evento di Novi Sad è diventato uno dei festival più grossi e rispettati d’Europa, grazie a questo boost iniziale. (Una veduta aerea dell’iconica Dance Arena di Exit; continua sotto)Negli anni Exit si è effettivamente “normalizzato”, standardizzato, ma è rimasto comunque un bastione di pluralismo e di valori positivi e condivisibili, in tante piccole cose, anche in tante piccole scelte del team che lo porta avanti, oltre ad essere di per sé un festival dove si sta divinamente e si resta spesso a bocca aperta. Negli anni abbiamo avuto anche la possibilità di visitarne la sede operativa, a Novi Sad, e abbiamo veramente incontrato nei suoi uffici – popolatissimi, a regime ci lavorano infatti decine di persone full time – davvero la “meglio gioventù” dei Balcani. C’è però non troppo e non tanto di “meglio” in Aleksander Vučić, l’attuale uomo forte della Serbia, uno che fra le varie cose ha come strategia dichiarata il fatto di controllare i media a piacimento e di occupare tutti i gangli nevralgici dello Stato in maniera più o meno lecita, costi quel che costi. All’inizio Vučić ha “sopportato” l’Exit, in quanto troppi erano i vantaggi materiali (in quanto a PIL) e d’immagine che il festival portava alla Serbia nel suo insieme, e bene o male ha continuato il supporto standard dato dall’amministrazione pubblica all’evento, anno dopo anno. Ora però è successo che Exit si è chiaramente schierato a favore delle proteste studentesche che da mesi stanno percorrendo la Serbia, facendo proseliti: tutto è nato da un evento drammatico, la caduta di una pensillina alla stazione ferroviaria di Novi Sad, 16 morti, e il fondato sospetto che tutto ciò sia accaduto perché i lavori di messa in sicurezza precedenti al crollo erano stati fatti a cazzo e siano stati funzionali più che altro a un vorticoso giro di mazzette, una goccia che ha fatto traboccare il vaso contro l’endemica corruzione della Serbia statale ai tempi di Vučić, un contesto dove la fedeltà al Capo e il cinismo para-criminale contano più dell’onestà e della professionalità. Gli studenti hanno iniziato una protesta che, ben presto, ha fatto proseliti (…e di cui peraltro si parla forse troppo poco in Europa: è un raro caso di rivolta civica, civile e non populista, ma non per questo meno dura, negli spazi europei). Vučić è ondeggiato ed ondeggia tra paternalistica sopportazione e dura repressione con metodi leciti o illeciti, a seconda dell’opportunità, a seconda dell’umore del giorno, facendo nel frattempo marciare a tutto vapore un keynesismo un po’ selvaggio e sospetto, fatto di investimenti infrastrutturali continui, spesso affidati a realtà non del tutto trasparenti, ma comunque utili a far crescere costantemente il PIL serbo ed a creare posti di lavoro. Il mondo della cultura è schierato in maniera quasi compatta con gli studenti. L’Exit, dopo qualche timidezza iniziale (comprensibile, volendo, visto quanto sia una realtà in vista ed “importante” anche nei grandi giochi politici), ha abbracciato in modo deciso le cause e le richieste degli studenti. Risultato? Quello che per anni è stato lodato come “fiore all’occhiello della Serbia“, “eccellenza nazionale che ci rende orgogliosi nel mondo“, si è ritrovato con zero fondi e con un’aperta ostilità della istituzioni a trazione vučićiana.Quello che Vučić e i suoi non si aspettavano, era che Exit passasse dalle parole ai fatti. E pare stia accadendo così. A sentire il team del festival, quella di questo weekend che inizia proprio oggi – l’edizione del venticinquennale – è l’ultima edizione di Exit che si svolge in Serbia. Lo stanno dicendo e ribadendo da mesi, in mille interviste, in cento comunicati stampa. Realtà? Semplice minaccia? Un tentativo di aprire una trattativa, partendo da una posizione dura?Sia come sia, ieri è emersa una indiscrezione che lascia un po’ perplessi: il team di Exit avrebbe chiuso l’accordo con una grande realtà che organizza eventi in primis nel Medio Oriente, la Venture Lifestyle, e quest’ultima avrebbe deciso di trasferire Exit armi e bagagli (forse con un nome diverso, ma forse chissà) in Egitto, in una location davanti alla Piramidi, indubbiamente suggestiva, già usata per singoli concerti o dj set ma mai per un intero festival. Capiamo il malcontento attuale di Exit. Sappiamo quanto è difficile stare in Serbia, e scegliere di opporsi al regime semi-democratico di Vučić e dei suoi scherani. Sappiamo anche come Exit spesso negli anni abbia dovuto subire maltrattamenti dalle istituzioni, e forse ora non ne ha più voglia, non ne ha più forza (…come per certi versi si evince anche dalle line up, anno dopo anno sempre più commerciali, sempre meno coraggiose e “profonde”). Però boh: trasferirsi dai Balcani all’Egitto è una scelta che può essere giustificabile solo dai soldi. Sapendo quanto è importante e preziosa la storia del festival serbo, una svolta di questo tipo – se confermata – non è al cento per cento gloriosa.The post Exit, che brutta storia (se vera) appeared first on Soundwall.