“Dopo quella foto dovevamo far qualcosa”. A Città della Pieve da 32 settimane ogni domenica un minuto di silenzio per Gaza

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Ogni domenica, da trentadue settimane consecutive, a mezzogiorno in punto, in Piazza Plebiscito a Città della Pieve, paese natale del Perugino sul confine tra Umbria e Toscana, un gruppo di cittadini si ferma per un minuto di silenzio. Nessun corteo. Nessuna voce urlata al microfono. Nessuna musica. Tutto ha inizio dopo il bombardamento israeliano del 29 dicembre 2024 all’ospedale Al-Wafa di Gaza City. Da lì inizia a circolare una foto che scuote le coscienze, quella del dottor Hussam Abu Safiya, direttore dell’ospedale Kamal Adwan, nel nord della Striscia. Solo, con il camice bianco, lo si vede camminare in mezzo alle macerie verso un carro armato israeliano, pochi istanti prima di essere arrestato. Due giorni dopo anche a Città della Pieve qualcuno decide che non si può più restare fermi e limitarsi a guardare le notizie.Il presidio del borgo umbro è promosso da quattro realtà locali – Città della Pieve Viva, Donne La Rosa, Centro Anti Violenza (CAV) e Arci Note – con i portavoce Livia Giuggioli Firth e Carmine Pugliese. È un’iniziativa indipendente e apartitica. Non si raccoglie consenso. Si prende posizione. Ogni domenica si scatta una foto e la si condivide pubblicamente “per affermare” spiegano i portavoce “una presenza reale e l’assenza della politica davanti a un conclamato genocidio”. A volte ci sono venti persone, altre volte cinquanta o più. Alcuni sono sempre gli stessi fin dall’inizio. Altri passano, si fermano, ascoltano, si uniscono. Non c’è un palco, non ci sono volantini. Solo qualche striscione scritto a mano e bandiere. “Condanniamo fermamente i crimini del governo israeliano guidato da Netanyahu”, affermano i portavoce. “La nostra non è una presa di posizione ideologica, ma una questione di giustizia. La violenza contro i civili, gli ospedali e i bambini non può essere giustificata e taciuta in alcun modo”.Nel frattempo, a Gaza, il conflitto non si è mai interrotto. Secondo le ultime stime dell’Onu, aggiornate a fine luglio, le vittime palestinesi sono oltre 60.000, più della metà donne e bambini. I feriti superano i 100.000. Più del 70% del patrimonio abitativo è stato distrutto o reso inagibile. Ospedali come al-Shifa, al-Quds, al-Karama sono stati colpiti, evacuati, resi inutilizzabili. Molti interventi avvengono in condizioni estreme, senza anestesia, senza elettricità e senza strumentazione minima.Il Programma Alimentare Mondiale e Save the Children denunciano un’emergenza fame senza precedenti, almeno 1,1 milioni di persone in denutrizione acuta, tra cui centinaia di bambini morti per mancanza di cibo e acqua potabile. I convogli umanitari vengono rallentati o bloccati. E i bombardamenti continuano. Negli ultimi giorni hanno colpito Bureij, Nuseirat e Shujaiya. Altri morti. Il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha parlato di “disastro umanitario senza precedenti”. La commissione internazionale sui diritti umani ha pubblicato un rapporto in cui si documentano possibili crimini di guerra e atti di genocidio: uso sistematico della fame, distruzione di strutture sanitarie, attacchi deliberati a civili.Il presidio di Città della Pieve è nato per reagire a questa orrenda realtà. Nessuno di loro pensa che un minuto di silenzio cambi le cose. Ma ogni settimana si sceglie di non voltarsi dall’altra parte. In un borgo di poco più di 7000 abitanti, senza passerelle o riflettori. “Noi ci saremo finché, purtroppo, questo genocidio non si fermerà”, ribadiscono Livia Giuggioli Firth e Carmine Pugliese. “Sole, pioggia, vento, neve. Proprio perché la guerra non si ferma davanti a nulla. E un minuto non è minimamente niente rispetto a chi oggi vive sulla Striscia di Gaza”.È un gesto minimo, il loro. Ma irriducibile. In un tempo che anestetizza l’orrore fermarsi anche solo un minuto significa rifiutare la normalizzazione del male. E dell’indifferenza.L'articolo “Dopo quella foto dovevamo far qualcosa”. A Città della Pieve da 32 settimane ogni domenica un minuto di silenzio per Gaza proviene da Il Fatto Quotidiano.