La Serie A tra l’offerta di DAZN per entrare nel capitale e il gap che cresce sempre più con le rivali: il calcio italiano davanti all’ennesimo bivio

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Lo scoop di martedì 2 dicembre con il quale Calcio e Finanza ha svelato come DAZN abbia proposto alla Lega Serie A di entrare con una partecipazione di minoranza nel suo azionariato non ha fatto che confermare una questione che resta irrisolta nei palazzi del potere del calcio italiano: nonostante l’attuale intesa sui diritti televisivi del massimo campionato italiano termini nel 2029 le preoccupazioni sul tema sono più che mai in essere.Tanto più che nella serata precedente, nell’ambito del Gran Galà del Calcio AIC tenutosi a Milano, il presidente del Napoli Aurelio de Laurentiis non solo aveva acceso la miccia chiedendosi: «Ma se DAZN ci lascia come in Francia, noi cosa facciamo?». Rincarando poi la dose accusando i dirigenti della Lega seri di stare attenti solo al mantenimento della poltrona. «A loro – ha spiegato De Laurentiis – interessa solo il mantenimento della poltrona e noi veniamo utilizzati come se fossimo merce di scambio, della loro condizione e supremazia».D’altronde il patron azzurro non aveva tutti i torti ad essere esacerbato. Pochi giorni prima, infatti, LaLiga spagnola aveva annunciato di avere concluso ufficialmente la gara per i diritti di trasmissione del massimo campionato per il ciclo 2027/28–2031/32, spiegando di essersi assicurata da Telefónica e DAZN un valore complessivo superiore a 5,25 miliardi di euro solo per la prima divisione. In pratica un aumento del 6% rispetto al precedente ciclo (2022–2027), che aveva portato con sé 4,95 miliardi di euro.In questo quadro l’incasso per singola stagione ammonterà a 1,050 miliardi, ovvero circa 150 milioni all’anno in più rispetto a quanto incassato dalla Serie A per i diritti tv del campionato in Italia (assegnati a DAZN e a Sky fino al 2029). E non va dimenticato che la Serie A nell’ottobre 2023 ha rinnovato la vendita dei diritti con un calo nei confronti del quinquennio precedente, scendendo da 927,5 milioni annui a 900 milioni a stagione. Nei fatti non centrando nemmeno l’obiettivo che era stato inizialmente fissato dall’amministratore delegato Luigi De Siervo di incassare almeno 1,15 miliardi annui.Tornando ai dati de LaLiga va inoltre segnalato che considerando anche le categorie accessorie (quindi LaLiga Hypermotion, ovverosia la seconda divisione spagnola, e il segmento HORECA, cioè l’industria alberghiera, ristoranti e bar) il valore totale dei diritti domestici de LaLiga salirà a 6,135 miliardi di euro nel ciclo 2027/28–2031/32, pari a un incremento del 9% rispetto al ciclo precedente, visto che la crescita è sostenuta dalle solide performance delle altre categorie.Nello specifico:un aumento del 30% nel segmento HORECA (l’industria alberghiera, ristoranti e bar), da 500 milioni a quasi 650 milioni;un incremento del 40% dei diritti di LaLiga Hypermotion (la Serie B spagnola), da 125 milioni a circa 175 milioni;e le trasmissioni in chiaro e i video clip, che generano 60 milioni.Non a caso Javier Tebas, presidentissimo de LaLiga, non ha mancato di segnalare il proprio risultato evidenziando anche il dato in calo degli altri campionati: «In un momento in cui molte leghe registrano un calo del valore dei diritti media, la crescita costante di LaLiga e i nuovi record raggiunti sono particolarmente significativi. Questo risultato riflette la forza del nostro prodotto e la fiducia degli operatori, dovuta in gran parte alla nostra lotta determinata contro la pirateria, che ha contribuito ad aumentare la base utenti degli operatori, e all’impegno dei club nel migliorare i contenuti audiovisivi e offrire la migliore esperienza possibile ai tifosi», ha spiegato il manager.Tebas poi in una nota ufficiale ha proseguito spiegando che il successo della gara è stato il risultato di una strategia basata su tre pilastri fondamentali:il miglioramento continuo del prodotto audiovisivo, reso più attraente dagli investimenti nella tecnologia e dalla partecipazione attiva dei club;un approccio completo contro la pirateria, che ha protetto le entrate e rafforzato la credibilità dell’ecosistema audiovisivo spagnolo;e una visione strategica in linea con il nuovo quadro regolatorio della UEFA, che ha permesso un lancio anticipato della gara e ha evitato gli effetti negativi registrati in altre competizioni.Dalla Premier a Liga e Serie A: quanto valgono i diritti tv nazionali in EuropaLa Liga ha annunciato oggi la cessione dei diritti nazionali a DAZN e Telefonica per le stagioni dalla 2027/28 alla 2031/32.I numeri dei diritti tv in Europa: chi comanda e chi insegueConfrontando l’operazione spagnola con la situazione negli altri Paesi europei si nota che il paese iberico si colloca al terzo posto nella graduatoria per incassi sui diritti interni. Qui la graduatoria:Premier League – 1,91 miliardi di euro a stagione (cambio attuale partendo da 1,67 miliardi di sterline) per il ciclo 2025-2031Bundesliga –1,06 miliardi di euro a stagione per il ciclo 2025-2029Liga spagnola –990 milioni di euro a stagione per il ciclo 2022-2027 (1,05 miliardi a stagione per il ciclo 2027-2032)Serie A –900 milioni di euro a stagione per il ciclo 2024-2029Ligue 1 –78,5 milioni a stagione da BeIn Sports fino al 2028/29. A questa cifra andranno aggiunti i ricavi del canale di Lega lanciato in questa stagioneLa Premier League, come è noto, occupa il primo posto con quasi 2 miliardi di euro a stagione dalle emittenti che detengono i diritti a livello nazionale. Il gap con le concorrenti si amplia considerando anche i ricavi per la vendita dei diritti all’esterno, che nel caso del campionato inglese hanno addirittura superato quelli interni.Il secondo posto spetta alla Bundesliga, campionato che ha il vantaggio di avere alle spalle il Paese più popoloso e ricco nel continente. La lega tedesca ha venduto i suoi diritti per 1,121 miliardi (compresa la seconda divisione), di cui circa 1,06 miliardi riconducibili al massimo campionato.Terzo posto per la Liga, che in questa stagione è ancora ferma a 990 milioni annui, ma che con il nuovo ciclo supererà il miliardo a stagione arrivando a 1,05 miliardi all’anno.La Serie A non è distante quantomeno a livello nazionale visto che per la cessione dei diritti tv a DAZN e Sky incassa circa 900 milioni di euro a stagione. Questa cifra può salire oltre una certa soglia di abbonati e di ricavi, attivando un meccanismo di revenue sharing studiato con DAZN al momento dell’assegnazione dei diritti.Infine, il capitolo più complicato: quello relativo alla Ligue 1. Il campionato francese sta vivendo stagioni difficili a livello di diritti televisivi e dopo la fine del legame con DAZN ha deciso di lanciare un proprio canale di Lega a partire dalla stagione in corso. Attualmente, la LFP incassa 78,5 milioni annui da beIN per una partita a turno, mentre con il canale l’obiettivo è quello di arrivare a 350 milioni annui dal 2028.Polemiche su Tebas nonostante la crescita dei diritti tvIn questo quadro va notato che se per Tebas l’intesa sui diritti è stata un successo, in Spagna non tutti la pensano come lui. E non a caso lo stesso presidentissimo della Liga ha replicato sul social network X alle numerose critiche piovutegli addosso e basate soprattutto tra la distanza degli incassi tra Premier League e la Liga. In particolare Tebas ha pubblicato un post pepato confrontando la realtà economica e demografica spagnola e quella britannica, dimenticandosi, non si sa se volutamente o no, che la Premier League è il campionato della sola Inghilterra e non dell’intero Regno Unito:«È sempre divertente leggere paragoni tra LaLiga e la Premier League…  fatti come se Spagna e Regno Unito fossero lo stesso Paese. Un piccolo dettaglio:Il Regno Unito ha il 40% di abitanti in più,9 milioni di famiglie in più,un reddito pro capite superiore del 40%,e tre decenni di cultura alimentata dal pagamento della TV premium».«Nel frattempo, LaLiga sta facendo quello che deve fare: crescere nel suo vero mercato, senza fare promesse vuote o chiedere miracoli demografici. A proposito, la Premier League ha aggiunto 70 partite in più nell’ultimo bando ed è cresciuta del 2%».Italia vs Spagna: i dati a confrontoAl di là delle polemiche spagnole, appare utile invece usare le categorie utilizzate da Tebas comparare la situazione tra Italia e Spagna, tralasciando per semplicità di esposizione Inghilterra e Germania, la prima perché la Premier League è oggettivamente di un’altra dimensione economica e tecnica, la seconda perché come si diceva in precedenza la Bundesliga, per quanto non brilli per spettacolo e abbastanza noiosa (nei fatti vince sempre il Bayern Monaco), ha comunque dietro il potenziale economico del Paese più popoloso e ricco nel continente.Nel dettaglio paragonando la realtà del nostro Paese e quello iberico si nota che l’Italia ha:59 milioni di abitanti rispetto a 49 milioni in Spagna;26,3 milioni di famiglie rispetto a 19,3 milioni di famiglie in Spagna;32.749 euro annui di stipendio medio rispetto ai 32.587 euro in Spagna.A conti fatti quindi, se si considerano i dati macroeconomici e demografici, De Laurentiis non ha tutti i torti nel reclamare maggiori incassi dalla vendita dei diritti interni e probabilmente (altrimenti non l’avrebbe detto) non sarà nemmeno senza ragione nel redarguire i dirigenti della Lega Serie A sulla loro attenzione alla poltrona, però appare quantomeno limitativo dare colpa solo ai manager della Lega Serie A.Non foss’altro perché alla fine uno vende la merce che ha. E se in Spagna i diritti permettono di vedere in televisione stelle del calibro di Mbappé, Bellingham, Vinicius Junior, Lewandowski, Julian Alvarez, Yamal e Nico Williams (questi ultimi due creati in casa per altro come gran parte della generazione emergente del Barcellona che include anche i vari Dani Olmo, Pedri, Gavi e Cubarsì), in Italia le stelle di punta possono essere considerate Lautaro Martinez, Leao o Kenan Yildiz che però non hanno lo status di prima grandezza dei vari Mbappé, Bellingham o Yamal nel firmamento del calcio attuale. Non a caso Lautaro, per quanto eccellente nella nazionale argentina per il posto vicino a Messi, deve competere con Alvarez che non è la stella di prima grandezza che LaLiga mette per primo nei cartelloni pubblicitari. Leao nel Portogallo è appena diventato un titolare e Yildiz è ancora un giovane di belle speranze e non certo già affermato nel mondo come il suo coetaneo Yamal.E in questo senso non aiutano nemmeno giocatori quali Modric e De Bruyne, che per quanto stiano o potranno fare bene nel Milan e nel Napoli, commercialmente non possono che essere considerati esuberi di Liga e Premier League.Insomma è una sorta di circolo vizioso per il quale i presidenti accusano i dirigenti di non sapere vendere bene i diritti e i manager incaricati dal canto loro non hanno dalle squadre un sottostante tale in termini di talento da potere chiedere molto alle televisioni.D’altronde il calcio italiano non può illudersi che non ci sia un prezzo da pagare per il suo doveroso passaggio dal modello dei patron poco attenti ai bilanci al paradigma sempre più necessario della sostenibilità economica. Ed è evidente che di questo si tratta.In questo quadro i nostri top club (Inter, Juventus e Milan in primis ma anche Roma e Napoli che seppero portare in Italia campioni del calibro di Falcao o Maradona) attualmente non possono competere con Real Madrid e Barcellona per assoldare i migliori talenti al mondo. Questo ovviamente detto non volendo entrare nella questione dei vantaggi fiscali legati alla struttura societaria di blancos e catalani legata ai soci e soprattutto in quella delle peripezie di bilancio dei blaugrana per continuare a investire molto sugli ingaggi.Però, per esempio, è un fatto che anche l’Atletico Madrid, ormai assurto a terza potenza stabile del calcio iberico, può consentirsi stipendi che le nostre big non possono. Simeone dice di vedersi nel futuro allenatore dell’Inter, però certamente la società nerazzurra al momento non può pagargli l’ingaggio da 20 milioni l’anno che percepisce dai colchoneros.Spagna, la Liga assegna i diritti a DAZN e Telefonica: superato 1 mld a stagioneAssegnati i diritti per il massimo campionato spagnolo per il ciclo che va dal 2027/28 al 2031/32: ecco il dettaglio.Il gap della Serie A rispetto all’Europa e le strade per colmarloE quindi come si esce da questo impasse?Nel lungo periodo è auspicabile che il percorso di risanamento economico intrapreso da numerosi dei nostri club potrà iniziare a dare i suoi frutti e riportare le società di Serie A a un livello economico tale da poter competere sul mercato con gli altri grandi d’Europa. Specialmente se accompagnato da quel processo di costruzione nuovi stadi che sembra stare per partire e che dovrebbe dotare finalmente il Paese di impianti moderni.Nel medio termine però ci sarebbe anche la strada della riforme normative. Nel suo sfogo l’altra sera De Laurentiis si è lasciato andare alla provocazione sulla possibile eliminazione delle retrocessioni, considerando che «in Nba non ci sono retrocessioni e sono diventati tutti miliardari». Una boutade perché il patron azzurro sa benissimo che la FIFA per statuto non ammette la mancanza di promozioni e retrocessioni nei vari campionati (l’unica eccezione è la MLS statunitense concessa unicamente per cercare di sfondare tramite le norme USA in un mercato importantissimo).Una boutade però che ha avuto il merito di porre nella massima evidenza possibile il tema delle riforme normative: se è evidente che l’eliminazione delle retrocessioni è una strada non percorribile, però una riduzione del numero di squadre della Serie A da 20 a 18 è sempre possibile (se non a 16 come vuole qualcuno è possibile). La Francia l’ha decisa nel 2021 e messa in pratica nel giro di due stagioni.Più volte in questo appuntamento editoriale si è parlato del fatto che, per quanto è dato a sapere a questa testata, i broadcaster non sono pregiudizialmente contrari a un abbassamento del numero di squadre in Serie A anche se toglierebbero nella loro programmazione quattro turni di campionato. Questo però a patto di introdurre novità in grado di colmare questo vuoto. Per esempio, sono solo ipotesi beninteso, perché non pensare a una sorta di playout con match di andata e ritorno tra la terzultima e la quartultima per decretare l’ultima squadra che deve scendere in Serie B? Oppure perché non pensare a una sorta di playoff  tra la quarta e la quinta in graduatoria per stabilire chi invece si aggiudica l’ultimo posto valevole per la qualificazione in Champions League?Automaticamente si riempirebbero con incontri da dentro e fuori (che hanno sempre grande pathos e quindi molto seguiti) almeno due dei week end “persi”. Lasciando altri due weekend liberi per esempio per posizionare al meglio la finale di Coppa Italia o comunque gestire con più agio i calendari sempre più intasati durante i quali le sorprese, vedi la morte del Papa in questa stagione, sono sempre possibili.Inoltre più volte si è parlato dei benefici che una riduzione nel numero delle squadre porterebbe con sé.  Tra questi:calendario alleggerito dalle partite, con maggior margine di manovra in caso di recuperi/rinvii;minor numero di gare per le squadre, con diminuzione quindi del rischio di infortuni;risparmio a livello economico per i club considerando la minor necessità di avere rose ipetrofiche per gestire tutti gli impegni;meno squadre mediocri e quindi aumento della qualità media per squadre e calciatori e di conseguenze delle partite.Il punto però sarà trovare la quadra con le squadre medio-piccole che sicuramente non gradiscono questa opzione, magari trovando delle modalità di compensazione tipo paracaduti anche per chi non retrocede ma non si qualifica alle coppe. È la legittima lotta per difendere i propri interessi, ma se non cambierà qualcosa, c’è il rischio che nulla si smuoverà mai nella foresta pietrificata che è diventato il calcio italiano, in tutte le categorie del movimento nazionale.