USA – Un’economia che rallenta, ma non abbastanza da fermare i mercatiLa settimana americana si è mossa lungo una linea sottile: i dati mostrano un rallentamento sempre più evidente, ma non un freno brusco. Il mercato del lavoro è la prima crepa: l’ADP sorprende con –32.000 posti privati, il peggior dato dal 2023 e quasi interamente centrato sulle piccole imprese, mentre le aziende più grandi continuano ad assumere. L’ISM dei servizi rimane in territorio espansivo a 52,6, ma la componente ordini scende a 52,9, segnalando che la domanda si sta ridimensionando dopo un anno di consumi resilienti.La parte più attesa era il PCE, arrivato al 2,8% annuo e allo 0,2% mensile, il terzo rialzo consecutivo: un’inflazione che non accelera, ma neppure concede spazio. I consumi reali, nel frattempo, restano fermi a 0,0%, confermando una dinamica “a due velocità”: solidità nelle famiglie più abbienti, difficoltà crescenti nella fascia media colpita da prezzi elevati, salari meno dinamici e timori sul lavoro.Eppure i mercati hanno letto questi numeri come una conferma che la Fed interverrà. Gli operatori prezzano quasi il 90% di probabilità di un taglio alla riunione del 10 dicembre, mentre i Treasury restano bloccati in un range strettissimo intorno al 4,1%, incapaci di rompere al ribasso nonostante i dati deboli. È il segnale di un mercato che aspetta solo la conferma della banca centrale per capire se il rallentamento sarà gestito in modo ordinato o se, come alcuni temono, il ciclo potrebbe perdere forza più rapidamente nei prossimi trimestri.Prima di continuare, ti ricordo che questa domenica alle 17:30 esce la mia newsletter macroeconomica gratuita: un appuntamento in cui uniamo i puntini attraverso i dati ed eliminiamo tutto il rumore di sottofondo. CLICCA QUI PER ISCRIVERTI GRATIS EUROPA – Inflazione stabile, economia fragile e mercati che guardano altroveIn Europa il quadro si è mosso poco in superficie, ma sotto i dati si vede una dinamica che resta estremamente eterogenea. L’inflazione dell’eurozona risale leggermente al 2,2%, core stabile al 2,4%, mentre su base mensile i prezzi scendono dello 0,3%, il primo calo dal gennaio scorso: segnali che confermano una disinflazione lenta e ancora appesa al settore dei servizi, unico comparto a mantenere un ritmo elevato (3,5%).Il mercato del lavoro rimane sorprendentemente stabile, con la disoccupazione al 6,4% e livelli molto diversi tra i Paesi: dalla Spagna al 10,5% fino alla Germania al 3,8%, un mosaico che racconta un’Europa che rallenta in modo asincrono. I dati PMI confermano la stessa storia: la manifattura dell’eurozona torna sotto quota 50 (49,6), trascinata dalla debolezza di Francia e Germania, mentre Italia (50,6) e Spagna (51,5) restano in espansione. È una ripresa che non decolla, più psicologica che reale, sorretta da un miglioramento della fiducia che però non si traduce ancora in ordini o produzione.Sul fronte dei mercati, la BCE rimane ferma. Dopo i tagli estivi, Francoforte osserva una situazione che non giustifica ulteriori mosse: inflazione vicina al target, crescita debole ma non in caduta, rischi prevalentemente esterni. Per questo gli investitori guardano altrove: l’aumento dei rendimenti europei degli ultimi giorni non nasce da tensioni interne, ma dalla nuova fiammata dei titoli giapponesi, che ha rimesso in discussione l’intero equilibrio globale del reddito fisso.L’Europa quindi attraversa una fase sospesa: niente sorprese macro, nessun vero momentum, e un ciclo che sembra dipendere più dalla traiettoria USA e Giappone che da driver domestici. I mercati tengono, ma l’economia reale continua a procedere a passo lento. ASIA – Tra pressioni sui rendimenti giapponesi e una Australia che corre troppo veloceLa settimana asiatica è stata dominata da una dinamica che ormai impatta i mercati globali più di quanto si voglia ammettere: il Giappone ha perso il controllo dei rendimenti, e ogni movimento della curva giapponese si riflette subito su Treasury, Bund e spread globali. Il decennale JGB ha toccato 1,917%, il livello più alto dal 2007, mentre i trentennali hanno segnato un nuovo massimo storico al 3,436%. Sembra un dettaglio locale, ma non lo è: più salgono i rendimenti giapponesi, più il mercato teme un ritorno del “repatrio” e una chiusura dei carry trade, gli stessi che nel 2024 avevano innescato una delle correzioni più violente degli ultimi decenni.La BOJ è ora stretta in una morsa: se alza i tassi rischia di far esplodere i rendimenti, se li ferma rischia di alimentare un’inflazione che da 43 mesi è sopra il 2%. È il peggior trade-off possibile per una banca centrale che ha appena abbandonato il controllo della curva e che deve anche fare i conti con un governo pronto a lanciare un maxi piano di stimoli da 11,7 trilioni di yen, aumentando ancora la pressione sul debito (già al 230% del PIL).La conseguenza operativa è semplice: la politica monetaria giapponese non è più un non-evento. Ogni conferma del rialzo del 19 dicembre può portare volatilità su bond globali, yen e settori sensibili ai tassi.In Australia, invece, il quadro è l’opposto: l’economia corre troppo. Il PIL del terzo trimestre cresce del 2,1% YoY, il ritmo più forte in due anni, mentre i consumi e gli investimenti mostrano una resilienza che ha spiazzato gli analisti. Nel frattempo l’inflazione ha toccato +3,8%, il massimo degli ultimi sette mesi. Risultato: i rendimenti dei bond australiani sono saliti fino al 4,70%, e il mercato ha iniziato a prezzare un ritorno ai rialzi dei tassi, nonostante la RBA abbia già tagliato tre volte quest’anno.L’elemento più interessante è che i segnali di pressione arrivano da tutte le direzioni: salari in aumento (+4,9%), consumi forti grazie a eventi e turismo interno, investimenti in AI e data center, prezzi delle case ai massimi. In poche parole: l’economia è “troppo calda” per permettere ulteriori allentamenti monetari.Lettura operativa:– Il Giappone è la variabile chiave per i mercati obbligazionari globali: se la BOJ conferma un rialzo a dicembre, possiamo aspettarci una nuova fase di volatilità su Treasury e Bund.– L’Australia potrebbe diventare il primo Paese sviluppato a invertire i tagli dei tassi, con un impatto diretto sulle valute a beta alto (AUD/NZD).– Per gli investitori globali, questo significa un’Asia che non è più solo “crescita”, ma due blocchi opposti: da un lato un Giappone che rischia di esportare volatilità, dall’altro un’Australia che rischia di esportare inflazione. ENERGIA – Prezzi sotto pressione mentre la geopolitica prova a cambiare il trendIl mercato dell’energia continua a muoversi in una zona grigia: abbastanza fragile da reagire a ogni notizia geopolitica, ma non abbastanza forte da invertire un trend ribassista ormai evidente. Il petrolio resta sotto pressione nonostante gli attacchi alle infrastrutture russe e la minaccia del Cremlino di colpire le navi che supportano l’Ucraina. In un contesto normale sarebbero notizie da rally immediato, e invece il Brent scivola ai minimi da fine ottobre. Il motivo è semplice: la narrativa dominante è quella della pace, o almeno di un allentamento delle tensioni. I negoziati USA–Russia non hanno prodotto svolte, ma bastano a trattenere il rischio geopolitico e a rallentare qualsiasi spinta rialzista.Anche i fondamentali spingono nella stessa direzione: le scorte API mostrano aumenti su tutta la linea (Crude +2.48M, Gasoline +3.1M, Distillates +2.88M), mettendo sotto pressione i crack dei prodotti e confermando che la domanda non sta accelerando. È una fotografia coerente con un diesel in forte normalizzazione e con timespread ancora in backwardation, un’anomalia per un mercato che dovrebbe allentarsi nel passaggio fra Q4 e Q1.Sul fronte del gas europeo, il quadro è altrettanto pesante: il TTF scende sotto 28 €/MWh, minimo da aprile 2024. Il meteo mite di metà dicembre e l’aumento dell’offerta LNG dagli Stati Uniti hanno pesato sugli stoccaggi, ora intorno al 75%, ben sotto l’85% dello scorso anno. Non siamo in emergenza, ma lo scenario è molto diverso da quello deciso e nervoso della scorsa stagione invernale.Lettura operativa:– Sul petrolio domina la variabile “pace”: finché non cambia la retorica, il mercato continuerà a prezzare scenari di rischio più bassi.– Le scorte USA confermano una domanda debole: difficile immaginare un rimbalzo sostenibile senza un catalizzatore macro.– Sul gas europeo, il rischio principale non è la domanda, ma la dinamica TTF–JKM: se lo spread resta ampio, l’Europa potrebbe ricevere meno LNG nei prossimi mesi. FX & METALLI – Dollaro indebolito dal “taglio Fed” e metalli spinti dai fondamentaliIl mercato valutario continua a muoversi in una sola direzione: tutto ruota intorno al taglio della Fed ormai dato per certo. L’idea di una banca centrale più morbida — insieme alla possibilità concreta che Kevin Hassett prenda il posto di Powell — sta creando una pressione ribassista strutturale sul dollaro.L’EUR/USD beneficia di due forze chiare:• costo dell’hedging in calo (1,82% → da 2,45%),• energia più bassa, che migliora i “terms of trade”.Range attuale 1,165–1,17, con spazio verso 1,18 in caso di Fed particolarmente dovish.Sul fronte yen, il mercato ora prezza 25 bps di rialzo BoJ il 18 dicembre, con il decennale giapponese a 1,95%, massimo dal 2007. Lo yen resta volatile, ma non più privo di supporto: se la BoJ conferma la virata hawkish, l’USD/JPY può rompere al ribasso la zona 155.Sul fronte metalli, è il rame a guidare la narrativa:• domanda fisica robusta,• premi Codelco ai massimi storici (oltre 350$/t, +300% YoY),• rischio reale di shortage nel 2026.Segnali che il movimento non è speculativo: posizionamento LME in lieve riduzione.L’oro resta sostenuto dagli acquisti delle banche centrali (+53 tonnellate a ottobre) e da un dollaro più debole.Conclusione operativa: FX: USD vulnerabile fino al meeting Fed. EUR e JPY con supporti chiari. Metalli: rame con fondamentali solidi, oro sostenuto dal flusso “istituzionale”. Il playbook per la prossima settimana (tattico, non è consulenza finanziaria)1⃣ Duration & bond USA – Treasury ancora intrappolati nel range 4,0%–4,1%: il breakout arriverà dopo il PCE e la Fed. Duration sensibile ai segnali di mercato del lavoro (ADP negativo) e alla narrativa sul nuovo presidente Fed.2⃣ Azioni USA – Consumi in rallentamento, servizi stabili ma con ordini in calo; tech ancora dominante ma più vulnerabile a dati macro deboli. Rotazioni probabili se il mercato prezza crescita più fragile.3⃣ Europa – Retail sales piatte, inflazione servizi alta: quadro che limita la BCE. Mercati sostenuti solo dalle aspettative sui tagli Fed. Germania e Francia senza catalizzatori evidenti.4⃣ Asia – Giappone con decennale al 1,95%, pressione sulla BoJ: yen più forte e movimenti violenti sulle valute. Australia con inflazione rigida e rischio rialzo RBA che impatta AUD.5⃣ FX & Materie prime – Dollaro in indebolimento per tema “Hassett trade”; yen reattivo, euro sostenuto da hedging e energia più bassa. Oro supportato dalle banche centrali; petrolio schiacciato tra geopolitica e scorte USA alte.L'articolo Settimana Macro: Inflazione USA, Eurozona sotto pressione e BoJ che cambia tutto proviene da MarcoCasario.com.