AGI - Una bolla papale che nel nome della religione divideva una parte della società di Roma nel segno della discriminazione. Correva l’anno di grazia 1555, e il 12 luglio Paolo IV emetteva la bolla Cum nimis absurdum (Poiché è oltremodo assurdo) con la quale veniva istituito il Ghetto per la popolazione ebraica. Venezia era stata la prima città italiana, nel 1516, a creare una zona a parte dove doveva dimorare la popolazione di religione ebraica, dando a essa un nome che si sarebbe imposto in tutto il mondo. Il gheto, area di fonderie, diventava ghetto per esprimere la discriminazione. Il provvedimento del pontefice abrogava tutti i diritti fin allora riconosciuti agli ebrei e imponeva che fossero concentrati dove la loro presenza era numericamente più significativa in quello che in un primo tempo venne chiamato “serraglio”, dove erano obbligati a risiedere. Obbligo di riconoscibilità con un cappello azzurroMa è leggendo i contenuti della bolla pontificia, prima ancora che le disposizioni, che si resta sconcertati dalle motivazioni esplicitate dal titolo. Era “assurdo” e “disdicevole” che gli ebrei mostrassero "ingratitudine" nei confronti dei cristiani che per amore e misericordia li avevano protetti e accolti tra di loro; loro che, a detta di Paolo IV, "solo la propria colpa sottomise alla schiavitù eterna". E inoltre: "l’insolenza di questi ebrei è giunta a tal punto che si arrogano non solo di vivere in mezzo ai cristiani e in prossimità delle chiese senza alcun distinzione nel vestire, ma che anzi prendono in affitto case nelle vie e piazze più nobili, acquistano e posseggono immobili, assumono balie e donne di casa e altra servitù cristiana, e commettono altri misfatti a vergogna e in spregio del nome cristiano". D’ora in avanti gli ebrei avevano l’obbligo di risiedere all'interno del ghetto e di rendersi identificabili come non cristiani portando un berretto se uomini o un capo di abbigliamento visibile se donne, di colore azzurro (glauci coloris). Una lunga lista di proibizioni e divietiLe loro attività commerciali erano drasticamente ridotte agli stracci e ai vestiti usati. I medici potevano esercitare ma non prestare le cure ai cristiani, che non potevano essere presi a servizio nelle case degli ebrei. Quanto alle case, era fatto assoluto divieto di possederne, così come ogni altro bene immobile. L’accesso e l’uscita dal ghetto avvenivano attraverso due porte che erano sbarrate dal tramonto al sorgere del sole. La restrizione della superficie abitabile nella Città eterna da parte degli ebrei, che vi vivevano sin dall’inizio dell’era cristiana, provocò la sovrappopolazione, e poiché le case non erano di proprietà diminuirono la manutenzione e la cura. Il divieto sui beni immobili fece sì che gli ebrei spostassero la loro sfera di attività sui beni mobili, e in primo luogo il danaro e i preziosi. I venti della rivoluzione e il riflusso della restaurazioneDal punto di vista strettamente religioso, un altro papa, Gregorio XIII, interverrà nel 1572 sulla comunità ebraica del ghetto imponendo che ogni sabato, giorno sacro, dovesse assistere a prediche che avevano come finalità la conversione. Questa imposizione permarrà per quasi tre secoli, ovvero fino a quando nel 1848, anno delle “rivoluzioni”, Pio IX la revocherà. Ma anni prima il vento della rivoluzione francese aveva idealmente abbattuto mura e confini, poiché il 21 febbraio 1798 il comandante delle truppe transalpine che avevano occupato Roma da una decina di giorni, aveva proclamato l’uguaglianza tra i gentili e gli ebrei; ma era durata appena sedici anni, poiché nel 1814 Pio VII aveva riportato indietro le lancette della storia. Sempre Pio IX il 17 aprile 1848 aveva ordinato di abbattere le mura del ghetto e la Repubblica Romana nel 1849 sancì la fine della segregazione; l’ulteriore restaurazione, pur prevedendo il confinamento nei tre ettari del ghetto, di fatto era inapplicabile per mancanza di delimitazioni fisiche. Un colpo di cannone a Porta Pia e l’emancipazione nel segno dell’ItaliaA nord dell’Italia il Re di Sardegna Carlo Alberto di Savoia nello statuto che porta il suo nome aveva emancipato di diritto gli ebrei parificandoli in tutto e per tutto ai regnicoli. E quando le truppe del figlio Vittorio Emanuele II, come Re d’Italia, si piazzarono di fronte a Porta Pia per fare di Roma la capitale e abbattere l’ultimo residuo del potere temporale, la prima cannonata venne fatta sparare a un ufficiale ebreo: non per sfregio al Papa, ma perché Pio IX aveva preannunciato che chi l’avesse fatto sarebbe stato scomunicato. Il capitano Giacomo Segre diede l’ordine e la storia cambiò. Il ghetto divenne un quartiere di Roma che conservava l’antico nome ma non più il carattere voluto dalla bolla di Paolo IV, e i successivi interventi urbanistici ne modificarono gli aspetti. Nel 1901 vennero avviati anche i lavori per la costruzione della sinagoga che termineranno tre anni dopo. Le leggi razziali fasciste del 1938 e la furia nazista del 1943Nel 1938 il regime fascista varò le Leggi razziali e gli ebrei italiani che avevano partecipato a tutte le fasi della storia italiana, compresa la Marcia su Roma del 1922, furono nuovamente discriminati e avversati. Censiti dal regime, le schede agevolarono i nazisti nell’identificazione degli ebrei. Il tenente colonnello SS Herbert Kappler, capo della polizia tedesca a Roma, dapprima estorse 50 chili d’oro altrimenti avrebbe deportato la popolazione ebraica (per evitarla alla raccolta contribuì anche la chiesa cattolica) poi il 16 ottobre scatenò una retata nel ghetto avviando più di mille romani di religione ebraica verso i campi di sterminio. Ne sopravviveranno solo sedici. Giovanni Paolo II e i «fratelli maggiori»La ferita con la Chiesa sarà risanata dal nobile gesto di Giovanni Paolo II, il polacco Karol Wojtyła che in gioventù in Polonia era stato in stretto contatto, a Wadowice e a Cracovia, con la comunità ebraica tra cui contava diversi amici. Il 13 aprile 1986, dopo duemila anni un pontefice varcava la porta di una sinagoga.Giovanni Paolo II abbracciava il rabbino Elio Toaff e definiva gli ebrei «i nostri fratelli maggiori». Il Tempio maggiore sarà visitato nel 2010 anche dal suo successore, il tedesco Benedetto XVI (Joseph Ratzinger), il quale ricordò in quell’occasione le vittime della Shoah, e nel 2020 dall’argentino Francesco (Jorge Bergoglio).