“Mai dimenticherò quell’uomo senza gambe a Ground Zero. L’India? Ci sono foto che non ricordo di aver scattato”: la Leica compie 100 anni, i racconti di Steve McCurry e Joel Meyerowitz

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“Ci si fida della macchina fotografica per catturare ciò che si prova. E non è solo ciò che si vede, ma è anche istinto: quella è l’ispirazione”, ha detto Joel Meyerowitz, fotografo classe 1938, conosciuto soprattutto per i suoi scatti per le strade di New York, la cosiddetta “street photography” (la fotografia di strada). Meyerowitz è il testimone di più ere. Le sue istantanee, spesso, raccontano più di quanto potrebbe fare la scrittura o persino la parola. Il tutto con un oggetto familiare: la macchina fotografica.Scattare è anche la presa di coscienza nel poter “correre dei rischi”. Basti pensare ai reportage mediorientali di Steve McCurry. Al fotogiornalismo che lo ha spinto, per descrivere al meglio le realtà, ad immergersi nell’acqua alta, piena di rifiuti, carcasse di animali e le forti correnti. Questo e altro per la passione – o forse sarebbe meglio dire la “missione” – di una vita: la fotografia. Citando i rischi del mestiere, non possiamo tralasciare anche quelli imprenditoriali, risalenti ad esattamente un secolo fa. Sì, perché se oggi abbiamo la fortuna di poter raccontare storie e momenti iconici con reportage da ogni angolo del mondo, gran parte del merito è della fotocamera, che ci permette di fare tutto ciò.“Ho deciso: correremo il rischio”, erano state le parole pronunciate dall’imprenditore Ernst Leitz II, nel momento in cui ha deciso di inserire nel programma di produzione Leica un tipo di fotocamera inedito, basata sulla pellicola 35 mm. L’intuizione è di esattamente un secolo fa. Cento anni di storia, dalla nascita della prima fotocamera Leica I, che sono stati celebrati nel quartiere generale-produttivo dell’azienda tedesca, il Leitz Park, ovvero il mondo di Leica che si trova a Wetzlar, in Germania. I prototipi della Ur-Leica – inventata da “Oskar Barnack, responsabile dello sviluppo, che cercava un modo per dedicarsi alla fotografia, senza dover trasportare attrezzature pesanti” – erano già pronti nel 1914 ma, la Prima guerra mondiale che allora imperversava, ne ha ritardato lo sviluppo. Presentata per la prima volta al pubblico nel 1925 in occasione della fiera di primavera di Lipsia, la Leica I è stata la prima fotocamera 35 mm prodotta in serie che ha aperto la strada a nuove – rivoluzionarie – applicazioni fotografiche.E se nel primo anno di attività, Leica aveva venduto circa 1.000 fotocamere, oggi “abbiamo presentato la milionesima fotocamera della serie M, che rappresenta la sesta milionesima prodotta negli ultimi 100 anni”, ha proseguito Kaufmann sottolineando, tuttavia, che “nonostante questi numeri, non siamo ancora un produttore di massa”. Alta qualità, a discapito di una massiccia fabbricazione per un’azienda che, nel mondo, impiega 2.400 dipendenti e nell’anno finanziario 2023/24 ha realizzato un fatturato di 554 milioni di euro.Le fotocamere Leica, oggi più che mai, rappresentano per gli appassionati un oggetto di culto. E dietro le istantanee di persone o paesaggi, c’è sempre il racconto di storie. Come l’uomo che salta la pozzanghera alla Gare Saint-Lazare di Henri Cartier-Bresson, o che si tratti della fine della guerra con la bandiera sovietica sul Reichstag di Berlino immortalata da Jewgeni Chaldej. Pensiamo anche alla famosa immagine “Der Degendieb” (Il ladro della spada) di Robert Lebeck, divenuta simbolo della fine del colonialismo, o alla foto di Marc Riboud con la ragazza che affronta la guardia nazionale americana per dire “no” alla guerra. Tutti scatti fatti con una Leica. C’è chi l’ha comprata per la prima volta nel 1963 e difficilmente è riuscito a farne a meno. Perché la fotocamera non è da intendersi come un semplice oggetto che immortala un preciso istante. È molto di più. “La fotografia mi ha insegnato tutto quello che oggi so sul mondo e su me stesso”, ha spiegato Meyerowitz. Ed è questo ciò è che emerso anche dagli aneddoti di Steve McCurry e Jane Evelyn Atwood. Chi ha raccontato di Medioriente, chi delle carceri e chi, invece, ha svelato retroscena sugli scatti fatti durante il crollo delle Torri Gemelle.McCurry, si è soffermato nel raccontare la foto “Bombay India”, in cui, dall’interno del suo taxi, ha immortalato una madre dal vestito rosso con in braccio la figlia piccola. “Ero a Bombay, in India, su un taxi che andava al mio hotel ed ho istintivamente alzato la macchina fotografica e ho scattato. Sono tornato a casa uno o due mesi dopo e non le ho nemmeno riconosciute perché non avevo alcun ricordo di aver scattato quella foto. Da un lato c’ero io, in veste da turista straniero a proprio agio sul sedile posteriore. Dall’altro c’erano queste persone che stavano lottando lì fuori tra il caldo, il traffico e l’inquinamento. È una sorta di rappresentazione onesta di entrambi. Quando assistiamo a queste scene e ci muoviamo attraverso questi spazi, noi siamo sempre in grado di tornare a casa o di lasciare la situazione. Loro, invece, sono fuori tutto il giorno, fino a tarda notte, cercando di racimolare un po’ di soldi per nutrirsi”.Meyerowitz, invece, ha ripercorso i disordinati attimi conseguenti all’attentato dell’11 settembre. “Stavo lavorando a Ground Zero e c’era il caos ovunque. Lavoravo 14 ore al giorno a scattare lì e, solitamente, succedevano cose che erano la solita routine. In questo caso mi trovavo verso il piano principale della Torre Sud. E, un uomo senza gambe, si era offerto volontario per andare a Ground Zero perché – senza gambe – poteva strisciare attraverso gli spazi più piccoli dove c’erano travi cadute e tutto il resto. I pompieri usavano questo ragazzo per strisciare e trovare i corpi. È un po’ assurdo, ma è anche eroico”, ha detto il fotografo. “Uno dei pompieri si era trascinato attraverso le macerie, e si era imbattuto in una scala in cui c’erano cinque suoi colleghi morti. È strisciato fuori e ha detto: ‘Ho trovato cinque dei nostri ragazzi’ – ha aggiunto Meyerowitz -. A volte la vita ti offre scene straordinarie che non puoi aspettarti. E tutto quello che puoi sperare di fare è essere presente nel momento, esprimere il tuo stupore e cercare di fare una fotografia che giustifichi ciò che vedi senza renderlo più drammatico di quanto non lo sia già”.Jane Evelyn Atwood, invece, ha raccontato gli scatti dove immortalava coppie di detenuti che, dopo giorni trascorsi lontani, si rincontravano durante i colloqui e si abbracciavano, nonostante fosse vietato. “C’erano coppie che sono state arrestate contemporaneamente per lo stesso crimine. E se non sono terroristi, è loro permesso avere diritti di visita due o tre volte a settimana. Al prigioniero è permesso baciare sulle guance una sola volta il coniuge. Non è loro permesso abbracciarsi o altro. Ho incontrato una detenuta e mi ha detto che suo marito sarebbe stato d’accordo a essere fotografato. Si sono incontrati durante il colloquio e, quando hanno sentito i passi della guardia in lontananza, si sono abbracciati e baciati, nonostante non potessero”.E ancora: “Quando ho dato loro il modulo della liberatoria da firmare, hanno preso la penna e scarabocchiato uno ‘zero’ sulla pagina. Non sapevano leggere o scrivere. La mia domanda è: dobbiamo davvero mettere in prigione persone così? Cosa hanno fatto? Avevano fame e avevano rubato un quadro da un museo. Erano persone povere. Penso sia necessario trovare altre soluzioni per persone così”, ha detto la fotografa. Un’altra curiosità raccontata sul suo operato nelle carceri, riguarda gli Stati Uniti dove “per esempio, ho questa bellissima foto che ho scattato in Russia, dove venivano raffigurate alcune detenute senza vestiti. Negli USA, invece, potevi fotografare la sedia elettrica, ma niente nudismo”, ha concluso Atwood.L’iconicità delle fotocamere Leica viene supportata anche da una rete di appassionati e collezionisti provenienti da tutto il mondo, disposti a fare follie pur di portarsi a casa gadget ed istantanee edizione limitata. È il caso della Leica serie 0 n. 112 del 1923, una delle prime fotocamere 35 mm mai costruite, recentemente esposta alla Milano Design Week, battuta all’asta per 7,2 milioni di euro. Cifra che l’ha resa la seconda fotocamera più costosa mai venduta, dopo la numero 105 – sempre della Serie 0 del ’93 -, acquistata a ben 14,4 milioni di euro nel 2022.Con solo un secondo sito di produzione a Vila Nova de Famalicão, in Portogallo, Leica può considerarsi (quasi) completamente “Made in Germany”. Ed è ciò che ci è stato detto anche dal presidente del consiglio di sorveglianza di Leica Camera AG, Andreas Kaufmann. “In Leica ci sono valori ben precisi, come la precisione, l’artigianalità, la tecnologia e il design, veri elementi tedeschi. Ma alla fine sono sempre le persone a portare avanti questi valori. Quando siamo entrati in azienda nel 2004, il marchio Leica e la sua reputazione globale si erano un po’ affievoliti. La ristrutturazione dell’azienda tra il 2005 e il 2009 l’ha rimessa sulla strada del successo con le fotocamere digitali e una chiara strategia”, ha dichiarato Kaufmann. In più, “siamo entrati nei settori degli smartphone, degli orologi, dell’home cinema e delle lenti oftalmiche”.L'articolo “Mai dimenticherò quell’uomo senza gambe a Ground Zero. L’India? Ci sono foto che non ricordo di aver scattato”: la Leica compie 100 anni, i racconti di Steve McCurry e Joel Meyerowitz proviene da Il Fatto Quotidiano.