di Giuseppe Gagliano –Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian e lo sceicco Mohammad Bin Zayed, presidente degli Emirati Arabi Uniti, hanno avuto un colloquio telefonico che ha riacceso un barlume di speranza in un Medio Oriente frammentato, dove le tensioni nucleari e il conflitto tra Israele e Iran minacciano di precipitare la regione in un vortice di instabilità. Questo dialogo, tanto discreto quanto cruciale, potrebbe rappresentare un punto di svolta per riavviare i colloqui sul programma nucleare iraniano e scongiurare un’escalation militare che nessuno, nemmeno i falchi di Teheran e Tel Aviv, sembra desiderare davvero. Ma in un contesto di diffidenza reciproca e interessi contrapposti, il percorso verso la de-escalation è un campo minato. Ecco cosa emerge da questo scambio e perché gli occhi del mondo sono puntati su Abu Dhabi.La telefonata tra Pezeshkian e MBZ, avvenuta in un momento di estrema tensione regionale, ha toccato tre aree chiave: il programma nucleare iraniano, le crescenti ostilità tra Iran e Israele, e il ruolo degli Emirati come possibile mediatore in un gioco geopolitico sempre più complesso. Secondo fonti vicine al Consiglio di Cooperazione del Golfo, il colloquio è stato richiesto da Abu Dhabi, preoccupata per l’impatto di un eventuale conflitto su larga scala che coinvolga Iran, Israele e Stati Uniti, con ripercussioni devastanti per l’economia e la sicurezza del Golfo.Pezeshkian, eletto nel 2024 come figura moderata all’interno del rigido sistema teocratico iraniano, ha ribadito la volontà di Teheran di perseguire una via diplomatica per risolvere la crisi nucleare. Tuttavia, ha sottolineato che l’Iran non è disposto a piegarsi a pressioni esterne, soprattutto dopo gli attacchi israeliani e americani alle sue infrastrutture nucleari, come Natanz, Fordow e Isfahan, avvenuti a giugno 2025. MBZ, dal canto suo, ha assunto un tono pragmatico, mettendo in guardia Teheran sulle linee rosse di Israele e sulle conseguenze di un’ulteriore escalation, ma aprendo anche la porta a opportunità economiche che potrebbero derivare da un disgelo con l’Occidente.L’Iran di Pezeshkian ha posto condizioni chiare per un ritorno al tavolo dei negoziati sul nucleare con gli Stati Uniti. Primo fra tutti, il riconoscimento del diritto di Teheran a un programma nucleare civile, incluso l’arricchimento dell’uranio per scopi pacifici. Questa posizione, ribadita anche dal Leader Supremo Ali Khamenei, è un punto fermo della strategia iraniana, nonostante le accuse occidentali che l’arricchimento a livelli elevati sia finalizzato a scopi militari.In secondo luogo Pezeshkian ha chiesto la rimozione delle sanzioni economiche che strangolano l’economia iraniana, un tema cruciale per un presidente che ha fatto della ripresa economica una priorità interna. Le sanzioni, reintrodotte con forza durante la presidenza Trump e mai completamente revocate, hanno alimentato il malcontento popolare e limitato la capacità di Teheran di rispondere alle crisi interne. Durante la telefonata, Pezeshkian ha sottolineato che un alleggerimento delle sanzioni potrebbe aprire la strada a colloqui più costruttivi, ma ha avvertito che l’Iran non accetterà negoziati sotto minaccia militare.Infine l’Iran ha chiesto garanzie che i negoziati non vengano sabotati da azioni unilaterali, come gli attacchi israeliani di giugno 2025, che Pezeshkian ha definito un atto di guerra orchestrato per deragliare la diplomazia. La diffidenza verso Washington e Tel Aviv rimane alta, soprattutto dopo le dichiarazioni di Trump, che ha alternato minacce di attacchi militari a inviti al dialogo.Lo sceicco Mohammad Bin Zayed, forte della sua posizione di leader regionale e alleato chiave degli Stati Uniti, ha messo in guardia Pezeshkian sulle conseguenze di un’ulteriore escalation. Secondo fonti del Consiglio di Cooperazione del Golfo, MBZ ha ricordato a Teheran che Israele considera l’arricchimento dell’uranio oltre certi livelli una minaccia esistenziale e non esiterà a colpire nuovamente se percepisce un pericolo imminente. Questa posizione riflette le preoccupazioni espresse anche da Arabia Saudita e Qatar, che temono di diventare bersagli di ritorsioni iraniane in caso di un conflitto aperto.Tuttavia MBZ non si è limitato a lanciare moniti. Ha prospettato a Pezeshkian un possibile dividendo economico per l’Iran in caso di un accordo nucleare: l’accesso ai mercati globali, investimenti stranieri e una maggiore integrazione regionale. Gli Emirati, che hanno già normalizzato i rapporti con Israele attraverso gli Accordi di Abramo, si propongono come ponte per facilitare un dialogo indiretto tra Teheran e Tel Aviv, sfruttando i loro canali di comunicazione riservati. Questo ruolo di mediatore è rafforzato dalla storica capacità di Abu Dhabi di mantenere un equilibrio tra gli interessi occidentali e le necessità di stabilità regionale, nonostante le rivalità con l’Iran.Il ruolo degli Emirati Arabi Uniti come mediatore non è una novità, ma assume un’importanza cruciale in un momento in cui i canali diretti tra Iran e Stati Uniti sono fragili e quelli tra Iran e Israele praticamente inesistenti. La telefonata del 15 luglio si inserisce in una strategia più ampia del Consiglio di Cooperazione del Golfo, che vede nella de-escalation nucleare un modo per proteggere gli interessi economici e strategici del Golfo. La paura di un conflitto che interrompa le rotte petrolifere o destabilizzi ulteriormente la regione è un potente incentivo per Abu Dhabi, che ha investito miliardi nella diversificazione economica e nella sicurezza marittima.Fonti vicine al dialogo suggeriscono che gli Emirati stiano lavorando per aprire un canale di comunicazione riservato tra Iran e Israele, con il supporto di Qatar e Oman, che già in passato hanno mediato tra Teheran e l’Occidente. Questo canale potrebbe servire a gestire le tensioni immediate, come gli attacchi reciproci di giugno 2025, e a creare le basi per un ritorno ai negoziati nucleari sotto l’egida dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Tuttavia, la strada è irta di ostacoli: la sospensione della cooperazione iraniana con l’Agenzia, decisa dal parlamento di Teheran a seguito degli attacchi, complica la verifica del programma nucleare.Il contesto in cui si inserisce la telefonata Pezeshkian-MBZ è quello di un Medio Oriente profondamente diviso, dove le alleanze si intrecciano con rivalità storiche. Gli Emirati, insieme ad Arabia Saudita e Qatar, cercano di bilanciare il loro sostegno agli Stati Uniti e a Israele con la necessità di evitare un confronto diretto con l’Iran, che potrebbe destabilizzare il Golfo. La rivalità tra Teheran e Riyadh, in particolare, rimane un fattore di instabilità, con l’Iran che accusa l’Arabia Saudita di sostenere gruppi terroristici e i sauditi che temono l’influenza iraniana attraverso proxy come gli Houthi nello Yemen o Hezbollah in Libano.Tuttavia segnali di disgelo tra Iran e i paesi del Golfo, come l’incontro tra Pezeshkian e il principe saudita Khalid bin Salman ad aprile 2025, suggeriscono che il Consiglio di Cooperazione del Golfo stia cercando di costruire un fronte unito per contenere l’escalation. Gli Emirati, in particolare, vedono nella diplomazia un’opportunità per rafforzare la propria influenza regionale, posizionandosi come un attore indispensabile in un momento di crisi.La telefonata tra Pezeshkian e MBZ rappresenta un passo verso la de-escalation, ma il successo dipenderà da diversi fattori. Primo, la capacità dell’Iran di accettare compromessi sull’arricchimento dell’uranio senza perdere la faccia di fronte al suo pubblico interno e agli alleati regionali. Secondo, la volontà di Israele di astenersi da ulteriori attacchi, una prospettiva resa difficile dalla retorica belligerante del primo ministro Benjamin Netanyahu. Terzo, l’atteggiamento dell’amministrazione Trump, che oscilla tra minacce militari e aperture al dialogo, creando incertezza sulle reali intenzioni di Washington.In questo scacchiere, gli Emirati Arabi Uniti emergono come un attore chiave, capace di parlare con tutte le parti senza inimicarsi nessuna. Ma il tempo stringe: ogni missile lanciato, ogni dichiarazione infuocata da Teheran o Tel Aviv rischia di far deragliare il fragile equilibrio che Abu Dhabi sta cercando di costruire. Il Medio Oriente è una polveriera, e la telefonata del 15 luglio potrebbe essere ricordata come un tentativo disperato di spegnere una miccia già accesa. O, forse, come l’inizio di un nuovo capitolo di diplomazia in una regione che ne ha disperato bisogno.