Questa volta Washington non ci gira attorno: punta direttamente e impone restrizioni al visto del presidente cubano Miguel Díaz-Canel “per il suo ruolo brutale contro il popolo”, fa sapere il Dipartimento di Stato Usa in una nota diffusa venerdì 11 luglio, nel quarto anniversario delle manifestazioni che all’Avana sono state sedate con l’arresto di migliaia di manifestanti, molti dei quali ancora in cella. Misure analoghe sono state applicate ai ministri della Difesan Álvaro López Miera e dell’Interno Álvaro Álvarez Casas. Il nuovo pacchetto di sanzioni è stato annunciato sulla piattaforma X dal segretario di Stato Marco Rubio, che potrà anche avere un’agenda fitta di impegni – tra dazi, immigrazione, guerre – ma non sa fare a meno di sottrarsi alla sua ratio politica e identitaria: lottare contro il governo cubano. Lui, discendente di esuli, con un elettorato di riferimento costituito da seconde generazioni di migranti e dissidenti del Castrismo. Nasce in quei circuiti la cosiddetta strategia di massima pressione che ha trascinato la prima amministrazione Trump verso una politica errante in America Latina. E che rischia di farlo ancora.Il caso Ferrer – A mandare su tutte le furie il segretario di Stato Usa è stata la vicenda del dissidente Josué Daniel Ferrer, rilasciato a gennaio sotto misure cautelari ma riportato in cella tre mesi dopo. Ferrer era stato rilasciato su mediazione della Santa Sede insieme ad altri 553 oppositori detenuti all’Avana. Dal canto suo Biden aveva accettato di rimuovere Cuba dall’elenco di Paesi che finanziano il terrorismo. Ma al suo ritorno alla Casa bianca Trump ha reinserito l’Avana nella Blacklist segnando anche, senza volerlo, il destino dello stesso Ferrer. Ora Washington chiede la liberazione di tutti i prigionieri politici, ma non ci sono cenni di dialogo.Stretta sul turismo – Quello dei prigionieri politici non è l’unico dossier affrontato da Rubio, che rivolge pesanti critiche anche ai recenti investimenti dell’Avana in materia di turismo – specialmente per la costruzione della Torre K, l’albergo più alto dell’isola – denunciando che “il regime butta via i soldi” mentre “il popolo cubano soffre per scarsità di cibo, acqua, medicine ed elettricità”. Ma le critiche alle politiche turistico alberghiere dell’isola giungono anche da altri settori. Soltanto nei primi cinque mesi del 2025 il turismo è calato del 27 percento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le ragioni: mancano le infrastrutture e i servizi essenziali, con i blackout all’ordine del giorno. Tuttavia il Palazzo della Revolución non demorde e manda avanti il cancelliere, Bruno Rodríguez, il quale fa sapere che Washington sarà anche “capace di imporre sanzioni e di mantenere una guerra economica prolungata e spietata contro Cuba, ma non ha la capacità di piegare la volontà di questo popolo né dei suoi dirigenti”.Il dibattito sull’embargo – I rapporti tra Washington e l’Avana regrediscono rispetto al percorso di distensione compiuti dalle amministrazioni di Barack Obama e Biden. Non è certamente il 1962, ma Washington rischia di cadere nell’idealismo di Bill Clinton, con il Cuban democracy act nel 1992 e il Cuban democracy and liberty act che rafforzarono l’embargo senza alcun risultato. Visto dal Florida l’embargo non fa male. Anzi, secondo Eduardo Gamarra, docente di politica internazionale dell’Università internazionale del Florida, si tratterebbe di una “falsa narrazione” utile a “giustificare il fallimento della Rivoluzione“. Tuttavia già nel 1960 a Washington si parlava senza filtri di generare “fame e disperazione” nella popolazione attraverso l’embargo. A metterlo nero su bianco è stato il sottosegretario di Stato aggiunto Lester Mallory in un memorandum interno spedito al suo omologo per gli affari interamericani Roy Rubottom. Nessuno lo dice, ma l’aspirazione è ancora viva nei circuiti più oltranzisti del Dipartimento di Stato.L'articolo Usa contro Cuba, restrizioni al visto del presidente Díaz-Canel per il suo “ruolo brutale contro il popolo” proviene da Il Fatto Quotidiano.