La laurea in Scienze dell’Educazione è diventata un caso dopo che agli ex studenti che si sono iscritti nel 2017/18 e nel 2018/19 è stato riferito di non essere più abilitati per lavorare nei servizi per l’infanzia a causa di un vuoto normativo. Il ministero dell’Università e della Ricerca si è mobilitato e ha annunciato la stesura di una proposta normativa per risolvere quello che per oltre 30mila persone in Italia è diventato un incubo burocratico e professionale. L’obiettivo è una sanatoria da inserire come emendamento al decreto legge 90/2025, quello dedicato alle università. Il nodo del problema è scattato dopo l’adozione del decreto legislativo 65/2017, che ha modificato i criteri di accesso alla professione di educatore nei servizi per l’infanzia. Chi si era immatricolato entro l’anno accademico 2018/2019 si è ritrovato con un titolo non più valido per lavorare nella fascia 0-3 anni, pur avendo iniziato il percorso con tutt’altre garanzie. Ora è previsto, infatti, un curriculum universitario specifico. Cos’è successoL’allarme è partito da una lettera inviata in queste settimane dall’Università di Modena e Reggio Emilia agli studenti dei corsi di Scienze dell’Educazione immatricolati tra il 2017 e il 2018, molti dei quali già lavoratori. Lì si spiegava che, a causa delle modifiche legislative, i titoli rilasciati in quegli anni non erano più abilitanti. Coloro che, invece, si erano immatricolati negli anni successivi erano coperti grazie alle modifiche introdotte nel corso di laurea. Oltre 400 persone coinvolte solo nel territorio reggiano, molte delle quali già impiegate nei nidi, si sono viste sfilare sotto i piedi il proprio futuro lavorativo. L’università ha tentato di mettere una toppa proponendo una reimmatricolazione straordinaria solo per gli anni 2025/26 e 2026/27 con un costo fisso (500-550 euro) con l’obbligo di sostenere nuovi esami e la stesura di una seconda tesi. Una soluzione complicata, costosa, logisticamente difficile per chi ormai lavora o vive altrove. L’intervento del ministero dell’Università e della RicercaIl ministero ha dunque deciso di intervenire con un emendamento che mira a sanare la situazione di tutti gli studenti che si sono immatricolati fino all’anno accademico 2018/2019 nelle classi di laurea L-19 (Scienze dell’Educazione) e LM-85bis (Scienze della Formazione Primaria). Il principio su cui si fonda l’intervento è che quegli studenti avevano scelto il corso di studi sulla base degli sbocchi professionali allora previsti. Cambiare le regole in corsa, senza prevedere una transizione chiara e tutelante, ha creato un vuoto normativo. L’obiettivo ora è restituire validità ai titoli già conseguiti e fornire un’interpretazione uniforme alle istituzioni scolastiche e universitarie sull’idoneità dei titoli di studio pre-riforma.I tempi corronoL’emendamento verrà inserito nel pacchetto del decreto Università, ma deve ancora superare il vaglio del ministero dell’Istruzione e del Merito e l’iter parlamentare. Il rischio, segnalato da più parti, è che i tempi si allunghino, lasciando nel limbo migliaia di educatori a pochi mesi della ripartenza dell’anno scolastico. I sindacati hanno chiesto con forza che la questione venga chiusa entro settembre. Una pressione condivisa anche da esponenti politici come la deputata del Pd Ilenia Malavasi, che ha definito il provvedimento «un primo, importante passo» ma ha sottolineato la necessità di un’approvazione rapida e senza ostacoli. La posta in gioco non è solo la tutela dei singoli lavoratori, ma anche la tenuta del sistema educativo per l’infanzia. «Non possiamo permetterci di disperdere competenze preziose per responsabilità non loro», ha detto la dem Malavasi.L'articolo Il caso della laurea in Scienze dell’Educazione che non vale più per un vuoto normativo: il ministero interviene. Cosa sta succedendo proviene da Open.