Studenti che rifiutano l’orale di maturità: protesta o furbata?

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di Davide Trotta*A conclusione di un nuovo ciclo di maturità è tempo di bilanci e la notizia che si è guadagnata l’onore delle cronache in questi ultimi giorni è l’ondata – o meglio ondina – di neo Masanielli veneti che, quale atto di protesta contro una scuola per loro inadeguata, hanno ritenuto opportuno non sottoporsi alla prova orale. A oggi sono già tre i casi, unicum nella storia della scuola italiana fino a oggi, il che impone alcune riflessioni.Muovo da un dato certo: ormai essere bocciati alla maturità è impresa da guinness, non ci riesce più nessuno, a giudicare dalle percentuali bulgare del 2024, per cui il 99,8% degli studenti ammessi ottiene l’ambito titolo. Ora, saremmo anche stati tentati di abbracciare le ottimistiche tesi di chi propugna la scuola italiana quale fucina inossidabile di geni, se non fossero arrivati questi tre casi ad adombrare qualche dubbio: anche la mente più sprovveduta trasalirebbe al vedere come costoro abbiano tutti raggiunto la soglia minima prevista, cioè il 60, soltanto tramite scritti e soprattutto crediti cumulati nei tre anni. Ciò fa capire quanto sbilanciato sia il rapporto tra competenze/conoscenze verificate in sede d’esame e il monte crediti erogato.Allo stesso tempo desta qualche perplessità anche il vuoto normativo che non contempla interventi in caso ci si rifiuti di sottoporsi all’orale. Il che a questo punto fa saltare il banco, perché la normativa vigente dispone che materie che prevedono scritto e orale, debbano presentare in sede di scrutinio sia voti di scritto sia di orale, pena l’impossibilità di formulare piena valutazione finale con conseguente bocciatura automatica (basta un non classificato in una materia).Considerata una faccia della medaglia, quella di natura burocratica, passiamo all’altra faccia, quella dei neo masanielli, che in realtà altro non sono che il prodotto della scuola (s)colpita dalle varie riforme. Una scuola in cui all’insegnante, stando all’integrazione apportata al codice disciplinare dall’attuale governo in carica, si richiede di “orientare il proprio comportamento alla soddisfazione dell’utente”. Parole che paiono derubricare l’insegnante al rango di cameriere di un excelsior ed elevare lo studente al rango di un cliente premium. E il cliente, si sa, ha sempre ragione. Alla luce di ciò forte è la tentazione di associare gli innumerevoli casi di aggressioni agli insegnanti proprio a questo clima di accondiscendenza eccessiva che facilmente può sfociare in cedevolezza.Venendo ai motivi dell’ammutinamento, il trait d’union sembra essere la protesta contro una scuola troppo centrata sulla valutazione e poco sulla valorizzazione del singolo. Questi gesti, non sorretti da fondamenti culturali preliminari a qualsiasi rivolgimento storico, tradiscono il loro statuto di vuota esibizione fine a se stessa, se non di soluzione di comodo tesa a “sfangarla”. Di fatto i tre aspiranti masanielli, nel sottrarsi alla valutazione, si ergono a giudici dei loro professori: è l’esaminato a stabilire se l’esaminatore o comunque l’istituzione ha i requisiti o meno per giudicarlo. Il prossimo passo è pensare di poter ripudiare un giudice in tribunale sol perché la giustizia non procede secondo nostro desiderio.Protestare a 18 anni di fronte a una delle prime vera sfide ufficiali della vita sembra prematuro anche per qualsiasi Robespierre in erba. Del resto se oggi i tre si trovano in possesso del diploma è proprio grazie a quel sistema scolastico che, tanto biasimato, si è rivelato infine così indulgente anche verso chi non ha sostenuto la prova orale; inoltre i tre paladini della giustizia si sono resi protagonisti di un atto fortemente ingiusto verso migliaia di coetanei che hanno dovuto sostenere quella prova, certo latrice di ansie e patemi d’animo.Dunque si vorrebbe che la scuola sia l’eldorado in cui il professore con fare sornione ti chiede durante l’interrogazione come sono andate le vacanze e se hai fatto il ruttino la sera prima, ma ciò rischia di creare un mondo falsato rispetto a quello in cui ti presenterai un domani per un colloquio di lavoro. E lì non troverai l’insegnante che deve “orientare il proprio comportamento alla soddisfazione dell’utente”, ma un selezionatore esigente che delle tue ansie se ne infischierà. E questa volta, possiamo starne certi, chi non si presenterà al colloquio per protesta, difficilmente beneficerà dei crediti ottenuti a scuola.Fino a quando non si ridisegneranno la figura dell’insegnante con una opportuna dose di autorevolezza – che certo non esclude umanità e comprensione – e più in generale il concetto di scuola quale palestra di vita, non già deposito di problemi individuali, la scuola stessa rischia di abdicare alla propria funzione educativa: non palestra per la società del futuro ma quasi ostacolo. Il rischio è che i futuri cittadini, usciti dalla comfort zone delle loro aule, dove vedevano il prof di turno preso a ceffoni o compagni di banco non sottoporsi all’esame e passarlo ugualmente, possano pensare che picchiare il futuro capo o non presentarsi all’appuntamento di lavoro sia ordinaria amministrazione in una vita di ordinaria follia.*docenteL'articolo Studenti che rifiutano l’orale di maturità: protesta o furbata? proviene da Il Fatto Quotidiano.