Allarme rosso. Dopo mesi di contatti formali e informali, a livello di leader e di tecnici, senza contare la lunga serie di viaggi negli Usa del Commissario Maros Sefcovic – a Bruxelles è arrivata la doccia gelata dell’annuncio di Donald Trump: dazi al 30% dal 1° agosto. Altro che intesa «zero su zero», come avevano auspicato all’inizio del lungo negoziato Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen. Ma altro, pure, che tariffa piatta del 10% con esenzioni su una serie di beni su cui i leader Ue contavano negli ultimi giorni. Quella che si profila all’orizzonte sarebbe una vera e propria mazzata per l’economia europea, con interi settori travolti da tariffe d’ingresso sul mercato americano pressoché insostenibili. L’imposizione di dazi del 30% sull’export Ue «sconvolgerebbe le principali catene di approvvigionamento transatlantiche», ha detto a caldo la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che in realtà aveva ricevuto la lettera con la funerea notizia 24 ore prima, nella giornata di venerdì. Il non detto ulteriore è che la mazzata commerciale rischia di decretare pure la fine dell’alleanza transatlantica sul piano politico, perché chiamare ancora «amico» o «alleato» un Paese che adotta un approccio tanto punitivo diventerebbe esercizio al limite dell’impossibile pure per i leader europei più vicini a Donald Trump. A partire da Giorgia Meloni. La riunione d’emergenza a Bruxelles Il tempo non è davvero esaurito, la scadenza del 1° agosto per l’entrata in vigore degli annunciati dazi significa che ci sono ora tre settimane lavorative piene per l’Ue per cercare di scongiurare il peggio. E tutti sanno che Trump è un giocatore di poker, uso alzare la posta per ottenere magari altro in cambio e poi scendere a più miti consigli con risultati da «vendere» al suo pubblico. Per questo la nota diffusa a caldo da Palazzo Chigi è ben più attendista e prudente di quella arrivata da Bruxelles: nessuna veste stracciata, focus piuttosto sui negoziati transatlantici da «intensificare ulteriormente nei prossimi giorni». Rimboccarsi le maniche, dunque. E da subito. I tecnici della Commissione che lavorano sulle relazioni commerciali con gli Usa sono stati richiamati in servizio senza troppi complimenti, con buona pace del weekend. Nel primo pomeriggio di domani, domenica 13 luglio, gli ambasciatori a Bruxelles del 27 Stati membri Ue terranno una riunione «d’emergenza» per iniziare a coordinare la risposta. Lunedì quindi si occuperanno della questione i ministri responsabili del Commercio nella riunione già in programma. Dogane, Big Tech, investimenti: come può rispondere l’Ue Ma in cosa potrebbero consistere concretamente le «contromisure proporzionate» preannunciate da von der Leyen che l’Ue potrebbe mettere in campo – o meglio, sul tavolo del negoziato come pistola carica? Le frecce all’arco europeo sono quelle di cui gli stessi capi negoziatori parlano in pubblico o in privato da mesi. Naturalmente controdazi di uguale o simile peso sui beni americani, inclusi magari pezzi da novanta dell’export a stelle e strisce come le moto, il whiskey, i jeans o la soia. Poi c’è il settore dei servizi, su cui il deficit di bilancio – al contrario di quanto accade per i beni – lo paga l’Ue, e pesantemente: il disavanzo stimato a beneficio degli Usa è di circa 100 miliardi l’anno. Qui la prima azione che potrebbe tornare in pista è quella di un intervento pesante contro le Big Tech tutte americane che in Europa macinano profitti record pagando tasse minime. Gli strumenti per «punirle» potrebbero essere diversi: sul piano fiscale o su quello normativo. E ci sono anche altri capitoli dei servizi che potrebbero finire nel mirino, a partire da quelli finanziari: potrebbe patirne ad esempio il dominio sin qui incontrastato delle società Usa nel settore delle carte di credito e dei pagamenti digitali. Resta infine sul tavolo anche l’arma «nucleare» che l’Ue ha nel suo arsenale normativo: quello Strumento anti-coercizione pensato per reagire con pesanti limitazioni commerciali, incluse restrizioni agli investimenti e ai finanziamenti, in caso di pressioni da un altro Paese tali da configurarsi come un vero e proprio «ricatto» capace di generare un «vantaggio sleale per le imprese di quei Paesi». Era stato immaginato per reagire a comportamenti sleali di competitor internazionali come la Cina, non certo dei «vecchi amici» americani. Sfoderarlo segnerebbe davvero la fine dell’alleanza trasatlantica. Ma fino al 1° agosto, pur di evitare il peggio, i negoziatori di Bruxelles rimetteranno sul tavolo pure quell’opzione. Foto di copertina: ANSA/GIUSEPPE LAMI | La premier Giorgia Meloni con la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen – Roma, 20 giugno 2025. L'articolo Whiskey, Big Tech e carte di credito: le armi dell’Ue per rispondere ai dazi di Trump. Domenica riunione d’emergenza a Bruxelles proviene da Open.