Se partiamo dalla provocazione del titolo – perché la Sicilia sforna da anni esempi eccellenti nel panorama estivo festivaliero – il caso di FestiValle risulta ancora più eccezionale: perché organizzare eventi in una regione in cui le infrastrutture – da quelle istituzionali a quelle logistiche – troppo spesso non hanno mezzi e risorse per supportare i promoter locali è un’impresa che noi, addetti ai lavori provenienti da altre zone d’Italia, non riusciamo a immaginare.FestiValle si colloca inoltre in una dimensione peculiare: incastonato nel cuore della Valle dei Templi di Agrigento, in qualche modo lontano dalle città della musica come Palermo o Catania o dalle mete turistiche più battute come Siracusa. Un luogo di confine, più vicino all’Africa che al resto d’Europa, dove ritrovarsi affacciati sull’orizzonte dispiegato del Mediterraneo mentre millenni di storia ci guardano benevolmente le spalle.In questo senso FestiValle è una metafora del presente dell’Occidente, con lo sguardo proiettato verso un futuro sconfinato, ma ancora cullato dalla costante nostalgia di un passato troppo ingombrante. E in qualche modo la line up, nel corso degli anni, sembra incarnare questo equilibrio fra classicità e innovazione, guardando tanto alle glorie delle decadi precedenti quanto a giovanissimi talenti, senza concessioni alle mode o alle soluzioni facili.(Mulatu Astatke in azione; continua sotto – foto di Fabiana Amato)Giunto alla nona edizione, FestiValle sembra aver trovato la sua dimensione in questo territorio straordinario e perciò estremamente complesso, partendo dalla relazione con la Valle dei Templi che, dopo diverse sperimentazioni, ha raggiunto ora una dimensione potenzialmente ideale. Certo, Mulatu Astatke in stato di grazia sul Main Stage sotto il Tempio di Giunone (anno 2023) è una visione da cartolina estiva inarrivabile; ma la nuova location del palco principale, sperimentata già nella precedente edizione, ha regalato al pubblico un’esperienza emotivamente totalizzante ed efficiente rispetto alla fruizione. La Cava di Tufo, dove nell’antichità veniva estratta dagli schiavi la pietra per costruire i templi, diventa simbolicamente una celebrazione a cielo aperto della libertà, della creatività e della condivisione, anche grazie ai visual site-specific che amplificano e moltiplicano lo stupore generato dalle performance.Gli headliner sono senza dubbi i più immediati traghettatori di pubblico di questa edizione da sold out in tutte le formule di biglietto. Da Vinicio Capossela, perfettamente a suo agio in una cornice che ne esalta il potere narrativo e sempre abilissimo nella scelta di musicisti precisi e carismatici, anche se non troppo a fuoco su un repertorio dedicato al concept delle Sirene e tratto in gran parte da “Marinai, profeti e balene”, che viene infatti in qualche modo messo in ombra dalla tirata finale in cui inanella i classici “Maraja” e “Il Ballo di San Vito”; ai Cinematic Orchestra, impeccabili pur in una certa staticità e con poche concessioni al fantasioso o all’inaspettato, unico guizzo la loro versione di Thème de Yoyo dell’Art Ensemble of Chicago, in cui le variazioni dinamiche risvegliano dal torpore compatto della performance; fino ai Fearless Flyers, quasi una prova da studio – con chitarre e basso suonati su supporti – in cui l’esattezza e la velocità d’esecuzione sono le coordinate principali. Discorso a parte per l’ineccepibile Nate Smith, vero catalizzatore dell’attenzione durante il concerto, che anche quando si concede un assolo riesce ad arricchire la perfezione esecutiva di sfumature e intenzione. Il pubblico comunque è in delirio, fra cartelli espliciti e richieste di autografi un po’ ovunque.(Rogê, foto di Fabiana Amato; continua sotto)Se Adi Oasis è brava in tutto, ma non brilla – canta, balla, suona il basso anche se sembra non essere in grado di fare le tre cose contemporaneamente – Bassolino sorprende con un live che va ben oltre la retorica del revival Neapolitan Power e costruisce un racconto cinematografico e lirico, dove il groove funk incontra echi di canzone popolare anche grazie all’intrigante prova di LNDFK, Rogê riveste la tradizione brasiliana più classica di un’immediatezza coinvolgente grazie a una sezione ritmica muscolare dal sapore afro e a un genuino carisma da entertainer sapiente, mentre la doppietta corto.alto e Mahari (italianissimi) sposta i riflettori sul jazz che flirta con i linguaggi contemporanei: elettronica, hip hop e afrobeat nel caso del trio di Liam Shortall, che non lesina assoli di trombone; dub, prog e ancora elettronica per il trio siciliano, che infilano un set esatto e serrato.La chiusura del Main Stage, domenica 10 agosto, è nelle mani di Kapote e Sam Ruffillo di Toy Tonics Krew, con un set che guida per mano il pubblico verso la fine del festival senza correre troppi rischi. Perché il vero re del palco principale di FestiValle 2025 è Carl Craig e il sabato sera è il suo regno: la cassa dritta non lascia scampo per tutte le due ore di un set che è però articolato con fluidità e passione. C’è la padronanza tecnica, c’è il peso di un personaggio che ha fatto la storia, ma soprattutto c’è un dj visibilmente entusiasta di far ballare 1.500 persone adoranti. Compresi i puristi della musica “suonata”. Carl Craig non sembrerà così ispirato e divertito, a distanza di una settimana dietro la consolle di We Out Here. Ma questa è un’altra storia.Alla vigilia del traguardo del decimo anno, FestiValle reinventa il rapporto con il territorio, persino con i suoi simboli più ingombranti. Il Tempio di Giunone appunto, emblema della Valle con le sue linee che dominano il mare, che fino a due anni fa era parte della scenografica del Main Stage e ora viene letteralmente riscoperto sotto una nuova prospettiva: guardato da lontano, con il Mediterraneo sulla sfondo e le stelle appese in alto, inquadrato alla perfezione dal light design del palco dell’Aftershow. Perché FestiValle, benché da sempre metta al centro la ricerca e la sensibilità rispetto all’abilità sullo strumento, nel 2025 riserva un’attenzione nuova anche allo spazio per dj e producer: nelle serate di venerdì e sabato, quindi, una consolle si staglia sul panorama della Valle, circondata dal pubblico della notte accorso non solo per il richiamo della festa estiva, ma perché sinceramente attirato dai nomi in cartellone. Un tappeto di gasba, dabkeh sintetica, rai mutante si dispiega con gli Acid Arab; Veezo inchioda tutti con un set spigoloso ed eclettico; Bradley Zero non si smentisce ed è ancora una volta quello che non sbaglia un colpo: bravo, bello, affabile e scaltro al punto giusto, anche se il suo set risulta dall’inizio alla fine un po’ troppo compatto e ancorato a una house solida e senza saliscendi dinamici o d’intenzione; Osunlade, invece, si avvicenda a lui in consolle con un approccio più intimo, virando l’house verso territori percussivi di matrice afrocosmic e morbidezze funk-oriented.(Veezo e i templi, foto di Fabiana Amato; continua sotto)FestiValle 2025 ripensa la sua geografia, ma non rinuncia a un punto di partenza letterale e anche, forse, metaforico: il Giardino della Kolymbethra, patrimonio FAI e scrigno che racchiude tesori archeologici e botanici, con i talk e i live alimentati con energia solare (quest’anno, Arabella Rustico e Visaga Trio) e il Sunset Stage, un palco circolare con vista spettacolare sul Tempio dei Dioscuri dove ogni anno si innescano delle piccole magie. Dal live di Alessio Bondì, capace di modulare il dialetto siciliano in un dialogo con i linguaggi contemporanei offerti dai suoi musicisti – tra percussioni, chitarre ed elettronica – e di parlare al pubblico fuori da facili tentazioni etno-folcloriche, soprattutto durante un momentaneo blackout che l’artista ha risolto in un unplugged intimo e quasi fuori dal tempo; a Cherise, voce cristallina e duttile, scrittura autenticamente nu-soul, direttamente dalla fucina londinese di Tomorrow’s Warriors – da cui sono usciti anche Nubya Garcia, Shabaka Hutchings, Theon Cross solo per fare qualche nome – e si sente.(Alessio Bondi, foto di Fabiana Amato; continua sotto)Menzione d’onore agli immancabili dj resident, che si sono avvicendati sul Main Stage tra un concerto e l’altro e nel nuovo, felice format diurno in riva al mare: Bangover Crew, la sottoscritta e soprattutto Dj Pinello. Se un giorno dovessero davvero istituire l’autarchia musicale, sarebbe l’unico a sopravvivere a colpi di Celso Valli e obscure gems di Pappalardo.Al rinnovamento sancito dall’edizione 2025 concorre anche una partecipazione diversa: non solo da un punto di vista numerico per i già citati sold out settimane prima del festival, ma anche e soprattutto per un’attenzione e una curiosità nuove che il pubblico ha dedicato a tutti gli artisti, dagli headliner ai nomi meno noti, riversandosi da una performance all’altra con grazia ed entusiasmo.FestiValle è diventato grande, imparando ogni anno, con pazienza e lungimiranza, a rapportarsi a un territorio complesso e con uno scenario del music biz in costante – e spesso delirante – evoluzione. Può affermarsi in modo più sicuro nel panorama dei “boutique festival” italiani e offrire anzi un’esperienza ancora diversa, potenziando al massimo le eccezionalità del luogo che lo accoglie, ma con la testa e il cuore dei grandi palcoscenici internazionali che non temono di mettere al centro la musica.The post FestiValle: non l’ennesimo festival in Sicilia appeared first on Soundwall.