A Venezia non poteva esserci film più spiazzante e necessario di Begonia: Lanthimos da urlo, Emma Stone antidiva pura in stato di grazia

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Tra plebe stolta e padroni disumani meglio l’apocalisse che cancella tutti i viventi (ma non le bestie). In Concorso a Venezia 2025 non ci poteva essere film più spiazzante, urticante e necessario di Bugonia. Dopo aver polverizzato secoli di patriarcato con Poor things, Yorgos Lanthimos atterra nel presente, qui statunitense, traboccante complottismi e sempiterna lotta di classe, centrando il suo film meno simbolico e più politico possibile del suo periodo hollywoodiano. Fisheye ridotti al minimo (forse, addirittura, non ce n’è nemmeno uno), il regista greco sposa la linea formalmente sobria per esibire una esplosiva, violenta, imprevedibile rappresentazione dei rapporti sociali alto-basso che non lascia scampo a bandierine ideologiche contrapposte. Il campagnolo apicoltore Teddy (Jess Plemons) allena e coinvolge il cugino ritardato Don (Aidan Delbis) per rapire Michelle Fuller (Emma Stone), la ricchissima amministratrice delegata di una multinazionale bio-farmacologica con sede non lontana dalla loro fattoria e dove l’uomo lavora meccanicamente chiudendo pacchi (ogni riferimento all’azienda celebre che lo fa nel mondo dovrebbe essere casuale). Ted è convinto che Michelle sia un’aliena, pardon una “andromediana”, e che il suo modo di inquinare e distruggere l’ambiente, far ammalare le persone, risarcirle per pulirsi la coscienza (tra cui anche la madre di Ted), banalmente comandare i più miserabili del pianeta, sia l’apice di un piano alieno scoperto sul web per radere al suolo la Terra. Il goffo rapimento della donna sembra andare a buon fine, ma Michelle, abituata a vincere quotidianamente su qualsiasi piano, dialettico come economico, si rivela un osso durissimo: Ted vuole una confessione registrata sulle sue origini extraterrestri ma lei non vuole cedere su quel piano del discorso. Giocato sui contrasti quotidiani estremi nella rapida presentazione iniziale dei due tizi e della CEO (loro fanno uno yoga maldestro su un tappetino mentre lei fa kickboxing con degli omaccioni, per dire), Bugonia si sviluppa attorno alla sanguinosa detenzione con tortura e si dipana lungo i tentativi di fuga della rapita con inusitata energia e ritmo forsennato. Ossa che si spaccano, elettroshock, teste che scoppiano, Lanthimos non ci risparmia particolari truculenti, esibendo materia viva che attraversa un tradizionale sottofinale thriller e un finale inaspettatamente sci-fi.“Estrema destra, estrema sinistra, marxismo, ho comprato tutto il negozio”, afferma Ted in una delle battute più politiche del film. Mentre Michelle rasata a zero (i capelli contengono sensori di rintracciamento, dice Ted) e cosparsa di pomata antistaminica (idem) mostra che nemmeno in condizioni di pericolo per la vita perde il suo piglio dittatoriale, frutto di una finta coscienza progressista e di un’idea di dominio sul mondo che fa spavento. Il contrasto noi/loro ondeggia tra paranoia individuale e realismo storico industriale, tra sottomissione idiota dei rozzi contadini verso l’alto e perfido disprezzo della manager verso il basso, in una spirale apocalittica che porta a scintille divertite e contundenti di esibito classismo. È un Lanthimos da urlo quello di Bugonia, frutto di una lucidità di analisi del presente e di un’idea disturbante di cinema che lascia materialisticamente il segno. Copia pedissequa del coreano Save the Green planet (2003). Emma Stone è oramai creta nelle mani del regista greco: denudata, vilipesa, offesa, zoppicante e sanguinante. Antidivismo puro in stato di grazia. Lanthimos ha già vinto un Leone d’Oro (Poor Things), così come la Stone la Coppa Volpi (La La Land) ma potrebbero e dovrebbero tornare a vincerlo.L'articolo A Venezia non poteva esserci film più spiazzante e necessario di Begonia: Lanthimos da urlo, Emma Stone antidiva pura in stato di grazia proviene da Il Fatto Quotidiano.