Mentre il governo Meloni, in vista della legge di Bilancio, continua ad annunciare novità sulle pensioni vantaggiose solo sulla carta, chi vorrebbe uscire dal lavoro fa i conti con i pesanti effetti delle misure adottate negli anni scorsi. I sindacati denunciano che un messaggio di chiarimento dell’Inps pubblicato il 25 agosto penalizza ulteriormente lavoratori e lavoratrici degli enti locali, della sanità, della scuola e della giustizia condannandoli ad avere assegni pensionistici decurtati.La nota 2491 dell’istituto di previdenza spiega le conseguenze del combinato disposto delle ultime due manovre. Con quella per il 2024 il governo ha modificato in peggio il calcolo della quota retributiva delle pensioni dei dipendenti pubblici iscritti alle casse Cpdel (dipendenti degli enti locali), Cps (sanitari), Cpi (insegnanti di asilo e di scuole elementari parificate), Cpug (ufficiali giudiziari e coadiutori) con meno di 15 anni di contributi al 31 dicembre 1995. L’aliquota di rendimento, che in precedenza cresceva dal 24,45% del primo anno fino al 37,5% al quindicesimo, è stata uniformata al 2,5% annuo. Da quella penalizzazione sono stati però fatti salvi i medici e in aggiunta è stato stabilito che non sarebbe stata applicata alle pensioni di vecchiaia, cioè a chi lasciava il lavoro al raggiungimento dell’età pensionabile senza anticipi.Poi, con la legge di Bilancio 2025, il limite massimo di età per previsto dagli ordinamenti del pubblico impiego è stato alzato a 67 anni, allineato al requisito per la pensione di vecchiaia. L’Inps ora ha fatto sapere che i vecchi criteri più favorevoli continueranno a valere solo se l’uscita dal lavoro avviene direttamente e obbligatoriamente a 67 anni per raggiungimento del limite ordinamentale. Chi invece si dimette prima dei 67 anni e aspetta da “inattivo” di maturare la pensione di vecchiaia non godrà della deroga: anche in questo caso si applicheranno le nuove aliquote ridotte. Il risultato è che i lavoratori che a quell’età non sono più in servizio, anche se attendono la vecchiaia, si vedranno ricalcolare l’assegno al ribasso.Tabella dell’Ufficio Politiche Previdenziali CGIL Nazionale“Si tratta di una misura retroattiva, che interviene sull’importo delle pensioni future in violazione dei principi di certezza del diritto e con evidenti profili di incostituzionalità“, attacca la Cgil, con le sue articolazioni Fp Cgil (funzione pubblica) e alla Flc Cgil (scuola e università). “Per la prima volta, non era mai accaduto neanche con la Legge Monti-Fornero, si interviene sulle posizioni contributive già maturate”. Secondo le stime dell’ufficio previdenza della confederazione, di qui al 2043 oltre 730mila dipendenti pubblici subiranno complessivamente 33 miliardi di tagli. Su una pensione di 30mila euro lordi l’anno la riduzione può variare da 927 a 6.177 euro, che salgono fino a 14.415 euro l’anno per un assegno da 70mila euro.Le sigle parlano di “un vero attacco ai dipendenti pubblici”. Altro che il propagandato superamento della Legge Fornero o della “quota 41 per tutti”: “Il rischio concreto è che chi ha iniziato a lavorare presto debba restare al lavoro fino a 48/49 anni di contributi per evitare il taglio alla pensione. A tutto ciò si aggiunge il tema del Tfr sequestrato: nonostante la Corte costituzionale abbia esplicitamente chiesto un intervento, il governo non ha fatto nulla. Anzi, in queste settimane si ipotizza addirittura che per accedere al pensionamento anticipato si possa utilizzare il Tfr, un paradosso inaccettabile se si considera che ai dipendenti pubblici il Tfr continua a non essere liquidato nei tempi dovuti”. I dipendenti pubblici, infatti, attendono ancora in media dai 2 ai 7 anni per ricevere il salario differito.Anche la Uil Fpl si è già espressa contro la misura, che per la segretaria generale Rita Longobardi, è “ingiusta e discriminatoria perché colpisce chi assicura ogni giorno servizi essenziali al Paese e, al momento dell’uscita dal lavoro, si vede riconosciuta una pensione ulteriormente decurtata”. Preoccupa poi che l’Inps non riconosca “le deroghe per chi accede alla pensione di vecchiaia non in costanza di rapporto di lavoro pubblico, nonostante la legge preveda in modo chiaro che le nuove aliquote non si applichino a queste pensioni. In questo modo introduce interpretazioni che finiscono per superare la normativa stessa, restringendo diritti che la norma aveva già tutelato”.Le sigle sono d’accordo sul fatto che, grattando la superficie della propaganda governativa sui presunti interventi positivi sulle pensioni, si scoprono “solo nuovi tagli e penalizzazioni per le lavoratrici e i lavoratori pubblici”. La Cgil e le sue organizzazioni sono quindi “sempre più convinte nel proseguire la vertenza a tutela delle pensioni, anche attraverso un rafforzamento del contenzioso che si sta portando avanti in questi mesi per il taglio alle aliquote di rendimento e per il TFR/TFS, fino alla Corte Costituzionale”.L'articolo Stretta sulle pensioni dei dipendenti di enti locali, scuola e sanità: l’Inps limita le deroghe ai tagli decisi dal governo proviene da Il Fatto Quotidiano.