Usa. La nuova “fuga dei cervelli”… verso la Cina

Wait 5 sec.

di Giuseppe Gagliano – Per decenni gli Stati Uniti sono stati la calamita globale dei talenti scientifici. Ricercatori e studenti, attratti dai fondi miliardari destinati alla ricerca e dall’ecosistema tecnologico della Silicon Valley, sceglievano l’America come terra di opportunità. Oggi, invece, il quadro si sta ribaltando: tagli ai finanziamenti, clima politico ostile e tensioni con la Cina stanno alimentando un fenomeno inedito, la fuga dei cervelli dall’America verso l’Asia e l’Europa.L’amministrazione Trump ha ridotto le sovvenzioni pubbliche alla ricerca, destabilizzando università e laboratori. Parallelamente, il dibattito politico si è indurito: l’aumento del sentimento anti-immigrazione e la crescente diffidenza verso studenti e scienziati stranieri, in particolare cinesi, hanno trasformato il Paese in un ambiente percepito come meno accogliente. Per molti ricercatori, continuare a lavorare negli USA significa affrontare ostilità sociale e incertezza professionale.Pechino da anni ha messo in atto politiche di “reverse brain drain”: incentivi economici, posti di prestigio accademico, programmi di reinserimento per gli scienziati tornati dall’estero. A ciò si aggiunge l’investimento massiccio in settori strategici come intelligenza artificiale, biotecnologie, energie rinnovabili. Risultato: la Cina non è più solo un esportatore di talenti, ma anche un polo di attrazione.Non solo la Cina. Paesi come il Regno Unito e il Canada, con politiche di immigrazione più favorevoli e sistemi universitari competitivi, beneficiano anch’essi della disillusione americana. Il rischio per Washington è duplice: perdere capitale umano prezioso a vantaggio sia dei rivali geopolitici che degli alleati.La fuga dei cervelli ha una valenza strategica. L’innovazione tecnologica è ormai il cuore della competizione globale. Ogni ricercatore che lascia gli USA per la Cina significa trasferire know-how, reti di competenze e capacità scientifica al principale rivale degli Stati Uniti. In un contesto di “guerra tecnologica”, il capitale umano è forse l’arma più decisiva.Un sistema scientifico impoverito produce meno innovazione, rallenta la crescita e riduce la capacità di attrarre investimenti. Gli USA rischiano di vedere erosa la propria leadership proprio mentre la Cina consolida i suoi colossi tecnologici e investe in università di livello mondiale. La supremazia americana, costruita per decenni sulla capacità di attrarre i migliori talenti globali, è ora in discussione.Non si tratta solo di un flusso di ricercatori da un Paese all’altro. È un cambiamento di paradigma. Se l’America diventa meno ospitale e meno generosa nel finanziare la ricerca, e se la Cina continua a premiare chi rientra e investire in innovazione, il centro di gravità della scienza e della tecnologia mondiale rischia di spostarsi ad Est. La fuga dei cervelli è la fotografia di questa trasformazione: l’Occidente che si chiude, l’Oriente che si apre.